La Parola del Signore raccoglie in sé ogni espressione della nostra
vita e sa condurci per mano nell’attraversare ogni sua fase. Anche se il tema
dell’anzianità e dell’invecchiare non siano al centro della Parola di Dio, è
possibile trovare in essa delle sottolineature interessanti per il nostro
cammino spirituale.
Un primo aspetto importante, che troviamo
nell’Antico testamento, è il richiamo alla fecondità: Abramo e Sara sono molto
avanzati negli anni quando nasce Isacco, il figlio della promessa e della
benedizione (Gen21,5). Una lunga vecchiaia è il segno della fedeltà di Dio alle
sue promesse: «Poi Abramo morì dopo una felice vecchiaia, vecchio e sazio di
giorni e fu riunito ai suoi antenati» (Gen25,8). Così anche Isacco (Gen35,29) e
Giuseppe che morì all’età di centodieci anni (Gen50,26). Potremmo dire che in
età avanzata Dio si rivela, Mosè riceve la rivelazione del Nome di Dio e la
missione di liberare il suo popolo quando è già anziano. Il Signore Dio gli era
molto vicino e gli parlava come si parla ad un amico (Es33,11). La Parola dice
che Mosè era «molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra» (Nm12,3). Come
a confermare che Dio, per operare la salvezza, si serve non dei forti e di
coloro che godono di prestigio, ma degli umili e piccoli, di quel popolo umile
e povero che lo cerca con fiducia (Sof2,2; 1Co 1,26-31).
Troviamo nei libri sapienziali un altro aspetto
quello del tempo della fatica interiore e della tristezza ... gli anni in
cui dovrai dire: «Non ci provo alcun gusto» (Qo12,1-8).
Ma più spesso ci offrono il ritratto dell’anziano
invecchiato bene, segnato cioè dalla saggezza e dal timore del Signore: «Nella
giovinezza non hai raccolto; come potresti procurarti qualcosa nella vecchiaia?
Come s'addice il giudicare ai capelli bianchi, e agli anziani intendersi di
consigli! Come s'addice la sapienza ai vecchi, il discernimento e il consiglio
alle persone eminenti! Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto
il timore del Signore» (Sir 25,3-6).
Nel nuovo Testamento Gesù, Maestro di sapienza,
ci insegna come affrontare le paure e le preoccupazioni che si accentuano col
passare degli anni, in particolare la paura del futuro che, insieme alla
tentazione pericolosa dell’accumulare ricchezze e cibo, si può curare solo con
l’abbandono fiducioso nella Provvidenza (Lc 12, 12-21.22-31; Mt 6,25-34).
Dopo aver affidato la sua Chiesa a Pietro, Gesù
gli annuncia che, quando sarà vecchio, sarà condotto ad una morte violenta per
il suo Nome: «In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la
veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv21,18).
Gesù indica come si svilupperà la crescita di
Pietro, che è un po’ anche la nostra: si passerà dal tempo della decisione in
prima persona alla stagione in cui si dovrà cedere l’iniziativa e «lasciarsi
fare».
Arrendersi - accettare - lasciar perdere -
abbandonare - distaccarsi sono i verbi che impariamo e/o dovremo imparare a
coniugare col passare degli anni. È un cammino impegnativo. È un po’ come una
spogliazione progressiva che, se vissuta nella prospettiva dell’amore del
Signore che non viene meno, che rimane affidabile sempre, poco per volta porta
ad assomigliargli nei suoi passaggi di vita più difficili fino al culmine della
crocifissione.
«Egli deve crescere, io diminuire» (Gv3,30)
Questa prospettiva pasquale che potrebbe comportare progressiva riduzione
dell’attività, con il rischio di disabilità, di crescente solitudine, di paura
e di arrabbiature soffocate, a pensarci bene ci ripugna profondamente, perché
ci avvicina al mistero della sofferenza, il più arduo della nostra esistenza,
che nessuno riesce a comprendere e accettare, se non nella fede e nella
contemplazione del mistero di Dio.
Il ruolo fondamentale
della preghiera
Non dobbiamo scoraggiarci: esiste un cammino che
ci consente, poco alla volta, di vivere la vita quotidiana in un atteggiamento
contemplativo. In questo contesto, anche la preghiera segue la dinamica della
nostra crescita personale. Partiamo dalla preghiera vocale, passiamo alla preghiera
discorsiva, arriviamo a quella affettiva, per approdare alla preghiera
contemplativa che viene chiamata anche preghiera del cuore. Essa è come una
sosta silenziosa ai piedi del Maestro, nella quale ci esponiamo senza maschere,
nella nostra realtà più profonda Ma dobbiamo perseverare nel dedicare al
Signore il tempo destinato alla preghiera. La contemplazione non è solo un
atteggiamento da agire, diventa stile di vita, diventa una dimensione di essa e
ne determina la qualità.
Lo «stare» cambia la qualità della vita e ci dà
la possibilità di vivere il presente e nel presente. Produce in noi la capacità
di stupirci e di godere delle creature di Dio.
La dimensione contemplativa, in questo nuovo
tempo della vita, dove diminuiscono gli impegni, in particolare quello
lavorativo, ci può portare ad un nuovo «agire», caratteristico di questa età,
più pacato e più profondo, più attento alle persone, più disponibile ad offrire
una compagnia. Ci aiuta a perseverare nell’attesa vigilante del ritorno del
Signore. La preghiera contemplativa si consolida nel corso degli anni,
ricordiamo qui la famosa espressione del santo Curato d’Ars che descriveva la
sua preghiera come un incontro silenzioso con Dio: «Io lo guardo ed Egli mi
guarda» Nella contemplazione scopriamo di essere preziose agli occhi del
Signore, così come possiamo pregare nel salmo 131: «Io sono tranquillo e
sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è
l'anima mia».
Certamente siamo poco abituate ad usare la parola
«contemplazione», ci sembra molto impegnativa, quasi una dimensione non
raggiungibile, ma non dobbiamo lasciarci intimorire. Essa è un obiettivo per
tutti i cristiani, purtroppo non è favorita dalla cultura attuale, centrata
sull’efficienza e assopita nella distrazione.
Nella nuova situazione, il tempo per la preghiera
non manca, ma potrebbe essere carente il metodo e la costanza, potremmo correre
il rischio della mediocrità se durante lo scorrere degli anni non avremo curato
la nostra vita spirituale con l’ascolto della Parola, la vita dei sacramenti
(penso che dovremmo riprendere la valenza, ad esempio, del sacramento della
riconciliazione), la riflessione e un’offerta al Signore delle nostre fatiche.
Le prove dell’anzianità possono richiamarci alla necessità di crescere nel
nostro abbandono nel Signore.
La centralità della formazione
“Nella vecchiaia - dice un proverbio africano -
ci si riscalda con la legna che si è raccolta durante la giovinezza”. Per
questo possiamo dire che la riflessione di oggi è davvero per tutte.
Infatti, se nel momento dell’invecchiamento non riusciamo ad accettare
questa nuova situazione con le sue implicazioni, forse non siamo mai state
richiamate da giovani a riconoscere ed accogliere i nostri limiti, a sentire
che non tutto è possibile, che non ha senso coltivare dei complessi, o meglio
dei deliri di onnipotenza. Forse, non siamo state educate a camminare secondo
le possibilità, a spendere del tempo gratuitamente, a contemplare la bellezza
senza volerla possedere, a voler bene a sé e agli altri. Forse abbiamo sempre
vissuto con l’acceleratore al massimo per riuscire a percorrere in fretta tutte
le strade, con l’unico obiettivo di poter governare e possedere il controllo di
tutto.
Ma tutto non si può possedere e/o governare. Gli
atteggiamenti che ci portano alla fiducia, a credere in noi e negli altri,
sono, da una parte, iscritti nel carattere della persona e, dall’altra, possono
essere il frutto di una formazione iniziale e, sicuramente, di una formazione
permanente che faccia leva sulla gratuità e sulla dimensione contemplativa
dell’esistenza, grazie alle quali la persona continua a crescere.
Dovremmo continuare ad essere sollecitate, dalla
formazione permanente, a sviluppare curiosità intellettuale e cura della nostra
preparazione professionale. Chi arriva alla stagione dell’invecchiamento senza
aver coltivato l’abitudine alla lettura e allo studio e senza interessi
culturali, senza un’attenzione ai bisogni del contesto e senza un hobby
costruttivo, farà molta fatica a far passare il tempo e a riempire le lunghe
giornate non più ritmate dagli orari lavorativi.
La lettura di qualche testo di teologia, o di esegesi biblica, di
qualche buon romanzo, di qualche bel giallo, di qualche buona rivista di
aggiornamento, potrà non solo renderci umanamente vive e all’altezza dei nostri
nuovi impegni, ma anche tenere viva ed esercitata la nostra mente in un momento
di notevole cambiamento, dove il fermarsi potrebbe significare non solo perdere
irrimediabilmente i neuroni necessari per il buon funzionamento del cervello,
ma anche spegnere la lampada della saggezza, rendere vana l’esperienza e
ridurre la conoscenza di sé.
La comunità è il
luogo privilegiato della formazione
Vorrei che non dessimo per scontata questa cosa,
cioè l’importanza di essere, per tutta la vita, formate dalla comunità. Non vi
è un periodo temporalmente definito nel quale ci si forma, ma abbiamo la prima
formazione e la formazione permanente, cioè formazione per sempre.
Sappiamo che la formazione è importante per ogni
età della vita. Allora la questione è non solo riaffermare questo principio
fondamentale, ma anche cercare «come» poter fare questo. Come tradurre nella
vita di ciascuna e della comunità questa consapevolezza, oggi, nelle diverse
situazioni.
Piccola conclusione
Tutto questo ci colloca nella prospettiva che fa
ritenere, appunto, che anche la stagione dell’invecchiamento può continuare ad
essere feconda e, con il salmista, sapere che «anche nella vecchiaia
porteremo frutti e saremo ancora rigogliose», capaci ancora di «fiorire
negli atri del nostro Dio», sempre pronte ad «annunziare quanto è retto
il Signore» (Salmo 92,14-16).