Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
-
09 / 08 / 2024
Agosto 2024
Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico....
-
09 / 08 / 2024
Agosto de 2024
Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique....
-
09 / 08 / 2024
Agosto de 2024
Edvige Terenghi, administradora central, visita los grupos en Mozambique...
-
09 / 08 / 2024
19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
interrogati dalla complessità del nostro presente
Il 18 maggio 2024, il
coordinamento italiano ha organizzato un incontro di formazione per missionarie
e familiares sul tema della famiglia oggi.
Condividiamo la relazione di padre Bruno Scuccato S.C.J.
che ha svolto il tema con competenza e chiarezza, lasciando anche interrogativi
su cui continuare a riflettere.
Inizio con questo
riferimento evangelico: «Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo,
come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non valutate da voi
stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57). Gesù premette alla frase l’espressione
“ipocriti!”.
Lasciamo il contesto in cui
è posto il richiamo di Gesù, che riguarda la sua presenza di messia di Dio non
riconosciuta, non accettata; sentiamo, invece, questa frase molto pertinente al
nostro tempo, al nostro presente che stiamo vivendo, e sentiamola rivolta a noi
chiamati a valutare ciò che accade oggi e a starci dentro “con il cuore”, con
il desiderio e l’impegno di trovare modalità idonee (forse non soluzioni) con
cui affrontarlo. E, diciamolo subito, a noi che viviamo una ben definita
spiritualità dell’amore, della riparazione, della solidarietà con il vissuto
dei nostri contemporanei.
* C’è di mezzo il discernere l’insieme delle
vicende che possono apparire diversificate ma che, se viste nel loro
insieme, vengono a costituire un quadro complesso ma convergente nelle
problematicità che presenta, e che ci coinvolge. Richiede perciò discernimento,
per evitare di stare alla finestra come spettatori passivi, che subiscono gli
eventi, anziché affrontarli in vista di capirli, (capirne le cause, le
dinamiche) e individuare almeno delle piste per dare delle risposte e
trovare, per quanto possibile, il come affrontarli, almeno nei parametri
fondamentali.
*
Il nostro presente è complesso, è carico
di problematiche, di breve o lungo
respiro, di carica emotiva o esistenziale…
Esso
segna, più che nel passato, un cambio epocale in ambito
tecnico-scientifico, geopolitico, ecclesiale, del pensiero, del vissuto
relazionale ed emozionale. Un cambio velocissimo, sovente inatteso, che coinvolge
tutti i settori e, di conseguenza, tutti noi.
Basta
accennare ad alcuni di essi, a partire dall’ultimo fatto: l’impianto nel
cervello di un micro-cip che manda impulsi sulle parti malate e le stimola
per riprendere il sano funzionamento; è un intervento che promette grandi
possibilità di recuperare invalidità fisiche e psichiche, ma che potrebbe
venire utilizzato, in negativo, per manipolare la personalità. Questo ci fa
capire che stiamo vivendo il passaggio dall’umanesimo al post-umanesimo, dove
il nuovo ritrovato tecnico viene ad avere la prevalenza: gestisce
l’interazione, il condizionamento sulla persona, il modo di pensare e di agire.
Cambia, così, l’antropologia: dalla centralità dell’uomo alla centralità
della macchina, dall’umano al post-umano. Pensiamo all’intelligenza artificiale
che viene a competere con l’intelligenza umana.
*
Vediamo, in breve, i principali ambiti:
-
L’ambito bio-etico: le nuove
problematiche etiche che riguardano la vita nel suo iniziare e nel suo
terminare: inseminazione (ovodonazione o semedonazione), gestazione non in utero (in vitro, eterologa,
per procura), affido – genitorialità (a coppie omosessuali), il gender (il
genere non è di natura, ma di scelta), il transgender (sentirsi nel corpo
sbagliato e nel sentire interiore dell’altro sesso), la manipolazione genetica
(con intervento chirurgico e ormonale); il fine vita assistito o procurato
(eutanasia…).
-
Il rapportarsi alle nuove realtà affettive:
coppie separate-divorziate, con nuovi legami; realtà LGBTQI+ (coppie
omosessuali, fluide e loro richieste di omologazione …).
-
L’ambito religioso: la crisi
della fede, il primato del naturale sul soprannaturale, la secolarizzazione, il
primato del soggettivismo sull’oggettività - di conseguenza il relativismo -,
il venir meno della trasmissione della fede, lo svuotarsi delle chiese… La
ricerca di altre espressioni religiose (induismo, buddismo) o almeno di
tecniche meditative (yoga) per coltivare una forma di interiorizzazione, di
spiritualità; una religiosità new age…
*
Come affrontare queste numerose e complesse problematiche, che
necessariamente possono diventare divisive? Come guardarle in ottica della
nostra spiritualità dehoniana? Che cosa esprimono? Come si possono leggere e
sentirle dentro il nostro oggi? Fino a che punto investono anche il nostro
vissuto? Quali risposte dare?
*
Ora ci soffermiamo sulle problematiche che hanno investito la famiglia
(coppie separate, divorziate, con nuove relazioni, i figli, le persone
omosessuali o transessuali che desiderano vivere relazioni di coppia o di
essere riconosciute come famiglia, quindi che può avere o adottare figli…).
La
famiglia ‘naturale’
(uomo/donna) è la realtà da cui sboccia la vita della persona, entro la quale
riceve il primo imprinting, che è veicolo al primo inserimento nella
trasmissione dei valori, anche quello della fede, e nel tessuto della realtà
sociale.
Ha
subito un fortissimo scossone, che l’ha disorientata, con la legge del divorzio:
ha intaccato la sua unità, ha posto in risalto la libertà del singolo sul
valore della indissolubilità del matrimonio, e il modo di intendere l’amore
(prevale la legge o la libertà?). Sono calati i matrimoni religiosi, sia per la
crisi di fede, sia per ciò che comporta una eventuale rottura.
Per cui il timore di vincoli legislativi ha sviluppato
le convivenze, con il rischio – al contrario - di non godere dei diritti
degli sposati regolarmente (da qui la richiesta di essere riconosciuti dallo
Stato come conviventi).
-
Dal divorzio si è passati all’aborto: la vita non tanto vista come dono,
ma come decisione personale, per cui può anche essere interrotta, rifiutata,
ritenuta come un diritto. Primato dell’autonomia, della libertà personale,
soprattutto della donna: “L’utero è mio, e lo gestisco come voglio io”.
*
Quali le conseguenze?: nuclei familiari saltati, figli contesi o
demandati all’altro coniuge o non voluti, famiglie allargate, problematiche
anche economiche, interruzione delle nascite a dimensione macro sociale (in
Italia 6 milioni di calo nascite), non cambio generazionale con invecchiamento
della popolazione…
-
Il tema si è allargato alla gestazione oltre quella naturale: eterologa,
utero in affitto (gestazione per procura).
-
Si è innestato il tema delle coppie omosessuali con richiesta di
riconoscimento statale, di genitorialità riconosciuta per ambedue i conviventi.
-
Nel contesto familiare si è inserita la problematica del gender: quale
identità personale assumere, di conseguenza quale educazione ai figli; il
primato della libertà di scelta nella costruzione della propria identità
psicosessuale (transessualità).
Prospettiva ecclesiale
*
Il quadro che si ha e che si vive è complesso, è fonte di conflittualità
ideologica e di soluzioni non condivise, spesso dirompenti… Se è vero a livello
sociale, lo è pure a livello ecclesiale.
Emerge
il grande problema della fedeltà alla dottrina ordinaria, delle irregolarità
canoniche, delle difficoltà nell’agire pastorale…
La
Chiesa è intervenuta con diversi documenti nel passato, ma ultimamente, con
Papa Francesco, con due documenti, che hanno inteso dare degli orientamenti: Fiducia supplicans del 18 dicembre 2023
e Dignitas infinita dell’8 aprile
2024.
a)
Fiducia supplicans: è una
“Dichiarazione”, non una Enciclica o un Motu proprio o una Esortazione
Apostolica. Ha il tenore della risposta a un preciso interrogativo giunto al
Papa stesso (all’interno dei cinque dubia posti da alcuni cardinali o
conferenze episcopali), a cui il Papa ha risposto brevemente in precedenza e
che ha dato una formalità più articolata investendo il Dicastero della Dottrina
della fede.
Parte
dal principio dottrinale sul matrimonio:
dà per scontato che la dottrina sul matrimonio rimane intatta: l’amore di
coppia (uomo-donna), ratificato dal sacramento, caratterizzato dall’amore
fecondo e perpetuo.
Tocca
poi il problema delle coppie irregolari (divise, risposate, omosessuali,
transgender…), che si sentono dentro la realtà cristiana, intendono rimanerci,
e che vogliono sentirsi accolte dalla Chiesa. Come accompagnarle? Che cosa
riconoscere a loro? Dare loro almeno una benedizione “particolare”
che le faccia sentire accolte dentro la comunità cristiana, rispettate, amate?
Il
Papa fa capire che la benedizione può essere data, ma pone delle previe
chiarifiche:
- Non va
confusa con il sacramento;
- Non va data
in un contesto rituale;
- Andrà
indicato un modo idoneo (non dice quale, non dà indicazioni).
- Non intende
ratificare ma sostenere: va indicato un cammino che le mantenga orientate a
Dio, partecipi della vita della comunità cristiana.
b) Dignitas infinita
Anche
questo documento è una “Dichiarazione”. Tocca molti punti di attualità, nuovi
per tanti aspetti. Intende richiamare la posizione dottrinale della Chiesa,
aprire fin dove è possibile, collegare il vissuto umano alla realtà complessiva
dell’ambiente.
I punti
problematici toccati e posizioni prese:
Il dramma della povertà, la guerra, il travaglio dei migranti, la tratta delle persone, abusi sessuali, le violenze contro le donne, aborto, maternità surrogata, eutanasia e suicidio assistito, lo scarto dei diversamente abili, teoria del gender, cambio di sesso, violenza digitale.
*
Considera la totalità della persona: corpo e anima, nella reciproca
interazione sociale e spirituale, senza categorie discriminanti, persona dal
suo sbocciare in utero al suo declinare e spegnersi nella morte. La considera
nel suo evolversi normale e problematico, sessuale e affettivo.
*
Ribadisce alcuni punti fondamentali:
- Ogni essere umano possiede una dignità inestimabile, per il solo
fatto di appartenere alla stessa comunità umana e questa dignità non può mai
essere perduta.
- L’essere umano è tanto più “degno” di
rispetto e di amore quanto più è debole,
misero e sofferente, fino a perdere la stessa “figura” umana.
-
In quanto è creata ad immagine di Dio, la persona umana non perde mai la sua
dignità e mai smette di essere chiamata ad accogliere
liberamente il bene;
-
Alcuni propongono che sia meglio usare l’espressione “dignità personale” (e
diritti “della persona”) invece di “dignità umana” (e diritti dell’uomo),
perché intendono come persona solo “un essere capace di ragionare”. Di
conseguenza, sostengono che la dignità e i diritti si deducano dalla capacità
di conoscenza e di libertà, di cui non sono dotati tutti gli esseri umani. Non
avrebbe dignità personale, allora, il bambino non ancora nato e neppure
l’anziano non autosufficiente, come neanche chi è portatore di disabilità
mentale.
-
Solo riconoscendo all’essere umano una dignità intrinseca, che non può
mai essere perduta, è possibile garantire a tale qualità un inviolabile e
sicuro fondamento.
-
Il concetto di dignità umana, a volte, viene usato in modo abusivo anche per
giustificare una moltiplicazione arbitraria di nuovi diritti, molti dei quali
spesso in contrasto con quelli originalmente definiti e non di rado posti in
contrasto con il diritto fondamentale della vita, come
se si dovesse garantire la capacità di esprimere e di realizzare ogni
preferenza individuale o desiderio soggettivo. La dignità s’identifica allora
con una libertà isolata ed individualistica, che pretende di imporre come
“diritti”, garantiti e finanziati dalla collettività, alcuni desideri e alcune
propensioni che sono soggettivi. Ma la dignità umana non può essere basata
su standard meramente individuali né identificata con il solo
benessere psicofisico dell’individuo. La difesa della dignità dell’essere
umano è fondata, invece, su esigenze costitutive della natura umana, che non
dipendono né dall’arbitrio individuale né dal riconoscimento sociale.
- La dignità umana, alla
luce del carattere relazionale della persona, aiuta a
superare la prospettiva riduttiva di una libertà autoreferenziale e
individualistica, che pretende di creare i propri valori a prescindere dalle
norme obiettive del bene e dal rapporto con gli altri esseri viventi. Sempre
più spesso, infatti, vi è il rischio di limitare la dignità umana alla capacità
di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener
presente l’appartenenza alla comunità umana. - L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una
pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione
della dignità degli esseri umani. -
Perché sia possibile un’autentica libertà «dobbiamo rimettere la dignità umana
al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative
di cui abbiamo bisogno». - «Ogni essere
umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun
Paese può negare tale diritto fondamentale… Quando questo principio elementare
non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la
sopravvivenza dell’umanità».
-
Si dovrà riconoscere che si oppone alla dignità umana «tutto ciò che è
contro la vita stessa, comeogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto,
l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario».
Interrogativi su cui riflettere,
inerenti il tema della coppia/famiglia,
amore/sessualità, inizio/fine vita
1. Il cambiamento di molti parametri, a cui siamo stati educati
nel considerare la realtà familiare, come risuona in noi?
- Quali sentimenti suscita: di sgomento o, nonostante tutto,
di fiducia?
- Ci mette in disponibile ricerca di comprensione dei
fenomeni o in reazione?
- Ci porta a trovare orientamenti nuovi/soluzioni idonee, o
ci intimorisce?
2. La Chiesa è madre e maestra: indica i valori portanti, oggettivi, da rispettare… e
indica anche l’ambito pastorale per accompagnare quanti non sono dentro le
“regole canoniche”.
Come armonizzare le due esigenze?
3. L’approcio alle persone
Nell’accostare le persone con situazioni compromesse o
problematiche, per un cammino di crescita umana e cristiana, come porci? Quali
passi fare nell’accompagnarle? Ci sono delle premesse da tenere presenti, in
modo da non creare false aspettative o incomprensioni o indebite ingerenze
(abuso spirituale)?
4. Con i documenti Fiducia
supplicans e Dignitas infinita,
la Chiesa ha dato degli orientamenti: come intenderli? È chiuso ogni dibattito
o c’è spazio di libertà entro cui potersi muovere? Manca qualche aspetto
importante?
5. - Alla luce della nostra spiritualità, come accostare queste
problematiche rapportate al vissuto delle persone?
- La spiritualità del “cuore”, dell’amore misericordioso,
fino a che punto ci permette di andare oltre le indicazioni normative,
demandando alla “coscienza” del singolo?
- Dio è amore, misericordia, accoglienza, perdono… Tutto
accoglie e perdona? Come interpretare la frase del Card. Martini: “Dio è
misericordia, ma la sua misericordia è esigente”?
- Che cosa mettere in risalto nel cammino di
accompagnamento? C’è qualche esperienza da raccontare?
compagnia missionaria e spiritualità di comunione
Le parole di s. Paolo e di p. Dehon, citate sopra, esprimono
alcuni atteggiamenti fondamentali perché un gruppo di persone possa stabilire
rapporti di comunione. La fraternità da voi scelta come condizione in cui
esprimere la vostra vocazione – anche se in forme diverse – ha il suo fondamento nella vita teologale, dal
momento che il segreto della felicità dell’uomo e di una nuova umanità sta nel
mistero stesso della Trinità: la comunione.
Premessa – Comunione: un’urgenza attualissima
Sentirsi uniti da un carisma – la
spiritualità del Cuore di Cristo – e dal valore della comunione, può darci la sensazione
di pensare e sentire tutti allo stesso modo, poiché abbiamo valori e linguaggio
comuni, che danno una sensazione di omogeneità. Di fatto, la realtà è più
complessa. Ogni persona aspira a valori e atteggiamenti che ritiene importanti
per la propria esistenza e cerca di tradurli in comportamenti coerenti. Le
aspirazioni ideali, tuttavia, anche se sono fondamentali non bastano:
costituiscono il punto di partenza, che deve incarnarsi in scelte di
comportamento coerenti con tali valori. Il cammino della nostra vita sta tutto
in questa costante tensione tra l’ideale
oggettivo e l’impegno soggettivo
di tradurlo nella vita quotidiana.
Davanti alla spiritualità del Cuore di
Cristo, declinata nella vita e negli scritti di p. Dehon – e mediata per la Compagnia Missionaria da p. Albino
Elegante – ognuno sente risuonare dentro di sé alcuni valori che percepisce più
“suoi”, più in sintonia con il suo essere. Questa risonanza interiore,
tuttavia, va vissuta con una particolare avvertenza: ciò che uno sente
risuonare dentro di sé come elemento più in sintonia con la propria realtà
personale è semplicemente il punto di partenza per fare spazio a tutto il
resto del Vangelo. Lo stesso va detto degli aspetti che sente più
faticosi: essi indicano i punti più bisognosi di attenzione e di
comprensione per farli oggetto del proprio cammino di conversione.
A livello generale, infatti, è
importante vigilare per non ridurre la spiritualità a una realtà
teorica o puramente soggettiva. Pur sentendo più centrali ed
evocativi per sé alcuni valori del Vangelo, ognuno di noi non può/non deve
confondere una parte con il tutto ma, a partire da ciò che sente più sintonico
con la propria realtà personale: tutti siamo chiamati a vivere una vita interamente
evangelica, che ci conduca a essere un’umile incarnazione di Dio Amore.
Il mondo di oggi, così ferito e offeso
nelle relazioni ha bisogno di questo. Infatti, oggi in ogni ambito della nostra
società, la libertà
è percepita come un valore che divide più che unire. Essa viene sempre più
spesso chiamata in causa per mettere distanza, per marcare dei limiti tra le
persone, non per favorire la loro unione. Oggi, la competizione
ha un ruolo crescente, anzi, sembra essere il criterio dominante: egocentrismo,
arrivismo, carriera, culto del successo ad ogni costo, arrivare a essere i
primi e meglio degli altri... sono questi i nuovi “comandamenti” della cultura
attuale. E anche noi, in comunità o in famiglia, non siamo esenti da questi
idoli e dalle dinamiche che innescano. Il risultato, lo vediamo, è la rottura delle relazioni umane.
Il mondo intero – non solo quello
occidentale – è malato, colpito da un morbo che progressivamente lo corrode in
ciò che possiede di più umano: la
capacità di stabilire e mantenere relazioni permanenti e fedeli, la capacità di comunione, gratuità, amore,
appartenenza, unità... L’esaltazione unilaterale dell’individuo come
soggetto che può trovare la propria realizzazione in se stesso, sganciato dalla
comunità e dalla famiglia, o addirittura in contrapposizione agli altri, è il leit-motiv
della cultura attuale. Non importa se il nostro tempo si caratterizza anche per
fenomeni dilaganti come la depressione, il suicidio, l’insoddisfazione per la
vita: nonostante l’enorme bisogno di comunicazione e di comunione, la nostra
epoca sembra paradossalmente complottare contro di essa.
D’altra parte, ciò è riconducibile a un dato ontologico: in
tutti noi c’è il desiderio di
comunione/amore/amicizia, ma queste realtà ci fanno anche paura. C’è un aspetto di fascino
e paura nell’incontro con l’altro, chiunque esso sia, perché la diversità
dell’altro ci mette in discussione, perché intuiamo che l’aprirsi all’“altro” provoca ed esige un cambiamento.
Quando noi consacrati scegliamo di vivere alla luce del
Vangelo – in comunità o in famiglia – accogliamo l’invito a intraprendere
un’avventura misteriosa, enormemente più grande della nostra capacità di
immaginazione. Non abbiamo scelto di vivere in comunità perché ci sentiamo già
capaci di vivere in modo evangelico. Neppure possiamo aspettarci di godere un
clima di rapporti perfetti, ideali, forniti dai fratelli o dalle sorelle.
Piuttosto, intraprendiamo la vita comunitaria perché crediamo nella possibilità e nella
verità di tali valori per noi e per il futuro del mondo; perché crediamo e speriamo che solo nella tensione
costante a un amore semplice, povero, disinteressato diventiamo davvero “figli”
del Dio di Gesù Cristo e costruiamo il suo Regno.
Vivere insieme alla luce del comandamento dell’amore è un
ideale che ci ripetiamo spesso, ma è un progetto molto al di sopra della nostra
genialità e delle nostre povere forze, e riserva continue sorprese. Cominciamo
questo cammino, ma non sappiamo dove ci condurrà e cosa ci chiederà. Crediamo e
speriamo però che la vocazione
ricevuta porta con sé la grazia per riconoscere quegli indizi della storia che
ci permetteranno di sintonizzarci con il cuore di Dio, purché sia
tenace e visibile nei gesti quotidiani la nostra continua ricerca e apertura al
Bene, la scelta di mettere l’amore e la riconciliazione di Cristo a fondamento
della nostra vita.
Il comandamento dell’amore – amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi
(Gv 15,13; 1Gv 1,3-4) – è il fondamento della vocazione cristiana e della
spiritualità del Cuore di Cristo. Ciò significa: dare la vita. E per non cadere
nel moralismo o nel soggettivismo, in una spiritualità disincarnata o in un
attivismo autoreferenziale, una sana spiritualità ci fa tenere unite contemplazione e azione,
per vivere in un
atteggiamento di discepolato concreto, per rimanere nella sana tensione verso la libertà di amare come
ama Dio.
A partire dal testo ricco di significati dei vostri Statuti di Missionarie e Familiares
e dalle vostre risposte, vi presento alcuni spunti di riflessione per una
verifica e un approfondimento specifico che aiuti a concretizzare, non solo a
conoscere, i valori propri della spiritualità del Cuore di Gesù.
1. Una spiritualità di
comunione
Per evitare voli pindarici,
chiediamoci: che cosa si
intende con il concetto di “spiritualità”? Intendiamo una vita teologale, cioè
fede e speranza vissute come amore responsabile nella/della storia. Proprio per vivere a fondo la
storia degli uomini noi cerchiamo costantemente la sintonia con il
Cuore di Dio-Amore, unico principio attivo di ogni possibilità di
comunione. La nostra vita fraterna, in comunità e
in famiglia, trova
qui le sue radici.
Tutto inizia dall’atteggiamento
dell’accoglienza. Si tratta di
accogliere il dono dello Spirito di Dio che ci vuole costruire
a sua immagine; accogliere l’Amore che ci precede e ci viene incontro sempre.
L’Amore accolto ci porterà a essere figli,
cioè a essere immagine di Dio. E poiché Dio non è solitario, ma mistero di
comunione, anche noi troviamo
la nostra identità nell’apertura e nella comunione con l’altro
(natura, uomini, vicende, Dio). Solo rimanendo sempre aperti all’alterità si costruisce in noi
l’immagine di Dio, scopriamo la nostra identità.
Noi siamo chiamati a vivere insieme per accoglierci: siamo affidati gli uni agli
altri per essere segno di quell’accoglienza originale di Dio che ci fa essere e
ci pone costantemente nella Vita, nel Bene, nell’Amore; perché si riveli la sua
potenza nelle nostre debolezze.
In questo senso comunità e famiglia sono luogo privilegiato di crescita verso l’amore e fondamento di ogni azione
pastorale. A
condizione che noi cerchiamo di vivere un’autentica vita teologale e possediamo uno sguardo contemplativo in grado di
vedere Dio costantemente all’opera nella nostra vita. Dio è presente in tutto,
anche se non lo si vede, ma per rendersi visibile deve passare attraverso la
nostra accoglienza. Infatti, per agire nel mondo creato Dio
ha scelto di incarnarsi: prima nella Parola, e
poi nel Verbo fatto uomo. Ora chiede di incarnarsi nella storia di
ciascuno di noi. La nostra scelta di vita è offrirsi a Dio con tutto
noi stessi per essere spazio
della sua azione nel mondo, oggi, e ci impegna sul cantiere
della storia. In questo senso realizziamo quel «complemento reale dell’immolazione di Cristo» (Statuti, 10), che non aggiunge niente all’offerta di Cristo, ma la
attualizza nella nostra vita, permettendo a noi di vivere quell’unione al Cuore
di Gesù che ci fa “rimanere in Lui”
(cfr. Gv 15), essere una cosa sola
con Lui. Così si vive la conversione alla libertà di amare come Dio
ama...
2. Per una
comunione viva
La vocazione consacrata si nutre della comunione con Dio e
con i fratelli/sorelle. Cosa
dire di più specifico a questo proposito? A quali atteggiamenti sollecitano
i vostri Statuti per crescere nella sua
realizzazione? Condivido con voi alcune brevi riflessioni in
progressione, che ritengo importanti per vivere realisticamente di una
spiritualità di comunione.
Ciò che è riferito alla comunità è valido – con le necessarie distinzioni –
anche per la famiglia.
a. Una visione dinamica della vita.
La vita è in sé stessa relazione, così come l’amore dice
relazione.
Le scienze umane, con la visione dinamico-evolutiva che le
caratterizza, ci informano che la persona è relazione e si struttura
attraverso i rapporti. L’uomo, cioè, non è già sé stesso in modo
chiaro e definitivo al momento della nascita, ma lo diventa attraverso una fitta rete di relazioni che lo costituiscono
nella sua identità, permettendo così anche
l’espressione della sua interiorità. Ciascuno di noi cresce e diventa individuo in forza di comunità vitali (società, famiglia, scuola, gruppi, comunità...) e dei rapporti che in esse stabilisce.
Proprio la qualità dell’inserimento nel nostro tessuto comunitario esprime
quanto anche noi siamo vitali, cioè capaci di generare vita e alimentare altre
comunità.
b. In comunità per divenire noi stessi.
La comunità ha questo scopo
fondamentale: la piena
maturazione delle persone. San Paolo esprimeva questa realtà quando
scriveva che la sua paternità aveva come scopo che i fratelli potessero
crescere « finché Cristo sia formato in voi » (Gal 4,19); e altrettanto quando
spiegava che i diversi doni di grazia da loro ricevuti dovevano condurli alla «
piena maturità di Cristo
» (Ef 4,13).
Questi riferimenti paolini non sono casuali: ci dicono che la nostra vera identità consiste nel
giungere a essere figli come “il” figlio Gesù, a immagine del
quale noi siamo stati creati (cfr. Ef
1,3-14).
La comunità, quindi, è per la crescita delle
persone, le quali giungono alla verità e pienezza di sé aprendosi
progressivamente e continuamente alla novità del vangelo e del Regno. Essa
vuole essere luogo privilegiato affinché ciascuno possa giungere alla sua piena
identità di figli di Dio, dando un volto unico ed originale al
desiderio/vocazione al bene che porta iscritto dentro di sé.
E in una comunità/famiglia tutti contribuiamo a creare quel
clima vitale che permette questa crescita. O si cresce insieme o non si cresce.
Se qualcuno non dà il suo contributo tutti ne risentono; se qualcuno presenta
resistenze all’accoglienza della vita, che arriva a noi sempre attraverso mediazioni umane - cioè gli altri fratelli –,
tutti subiscono conseguenze. L’unità e la comunione prima ancora che essere frutto
di un impegno della nostra volontà sono un dono che viene a noi da Dio nella forma
del dono di sé che ci facciamo gli uni gli altri.
Per questo la comunità religiosa – diceva s. Tommaso – è
una scuola di
carità perfetta. È una scuola dove nella relazione con i fratelli si
impara a voler bene, a volere il Bene a ogni costo e per tutti. Ciò richiede di
saper riconoscere il Bene presente nella propria storia e in quella dei
fratelli; saper interiorizzare il Bene che è Dio-Amore e lasciare che si
esprima attraverso i nostri gesti, le nostre parole, i nostri silenzi, ecc...
M. GRAZIA VIRDIS, Ut unum sint
c. Scegliere la propria comunità.
Quando entriamo in comunità troviamo
un ambiente e persone che hanno una storia, una tradizione e stili già
collaudati. Educarsi alla comunione e vivere la fraternità – o, come è scritto
nei vostri statuti, « farci comunione
» – comincia con la scelta consapevole di
accettare la storia e la tradizione di una comunità che ci accoglie
e che noi accogliamo.
È il grande tema del senso di appartenenza alla comunità
e al carisma dell’Istituto. Accettare non significa lasciare tutto com’è, ma
arricchire la comunità con il contributo della propria unicità, della propria
diversità anche etnica e culturale e stimolarla a crescere in forza delle
energie presenti in essa. L’arricchimento personale di ognuno risulta tale
quando non è imposizione della propria
sensibilità o dei propri modi di vedere la comunità, ma quando è offerta che si rivela fermento capace di far lievitare la
comunione della comunità. Per questo è indispensabile l’accoglienza della
comunità e delle persone, con tutte le loro qualità e con tutti i loro limiti.
Se noi accettiamo solo le cose belle, le caratteristiche
positive di una comunità, ciò che si accorda immediatamente con il nostro modo
di essere o di pensare, costruiamo rapporti falsi. Non esistono persone,
culture, tanto meno comunità, che abbiano solo pregi e nessun difetto; tutto e
tutti, in quanto creature, hanno pregi e limiti/difetti. Se vogliamo costruire
il Regno – e quindi evangelizzazione, fraternità, unità e comunione – bisogna
fare i conti con entrambi.
Penso sia questa uno dei motivi delle nostre difficoltà a
vivere insieme: viviamo ancora prigionieri di meccanismi ingenui di idealizzazione e di individualismo.
d. Gli ideali sono vissuti nella storia.
Tutti noi, sia che viviamo in
comunità o in famiglia, siamo animati da grandi ideali. Ma siamo chiamati a fare i conti con la storia e con la
dinamica evolutiva che la caratterizza. Essa ci insegna che solo
progressivamente, nel divenire della vita, possiamo dare
un’espressione visibile e credibile ai valori e agli ideali. E questo richiede
che ci accogliamo senza riserve e senza pregiudizi, ci aiutiamo con delicatezza
e grande rispetto se vogliamo rispondere alla nostra vocazione.
Vivere le fatiche dell’accoglienza
reciproca, dell’andare incontro all’altro con discrezione, del coraggio della
correzione fraterna data e ricevuta, della consapevolezza che la nostra
crescita passa attraverso l’altro..., è la condizione che ci dispone a essere
attenti, recettivi, capaci di rispondere alle provocazioni della vita che
incontriamo anche nell’apostolato. Non dobbiamo desiderare convivenze in cui
non ci siano problemi, ma comunità/famiglie in cui le diversità, e le tensioni
che ne derivano, sono affrontate in modo evangelico, con simpatia, umorismo,
disarmo, amore.
Non possiamo vivere bene a compartimenti stagni. Quando noi
viviamo le relazioni in un certo modo in comunità/famiglia e in un modo diverso
fuori, stiamo strumentalizzando gli altri per un nostro benessere; non abbiamo
ancora compreso il dono della relazione con l’altro, che cosa significhi vivere
in comunità, e come l’unità e la comunione tra noi sia la prima testimonianza
da rendere: vi riconosceranno da come vi
amerete (cfr. Gv 13,35).
e. Tensioni, conflitti, crisi: che senso hanno?
Il cammino che porta alla comunione
e all’unità è accidentato, lo sappiamo bene. Difficoltà, tensioni (anche prolungate), momenti di crisi sono passaggi obbligati.
Per fare spazio alla fraternità è necessario rivalutare questi momenti,
cogliere la loro valenza positiva proprio in ordine al valore della comunione. La comunione ha senso proprio perché siamo
diversi: la nostra diversità riconosciuta, accolta e valorizzata
rivela la bellezza del piano di Dio, che vede ogni realtà creata ordinata
all’Uno.
Di solito percepiamo ogni
difficoltà/conflitto/tensione che interferisce con i nostri programmi come una
minaccia. Presi dalla paura di non sapere che cosa fare, o di perdere il
controllo della situazione, siamo portati istintivamente a scongiurare ogni
eventualità di crisi. In questo modo anziché essere profeti di quella comunione
e unità che sarà destino futuro dell’uomo, ci mostriamo custodi di un museo
archeologico: quello delle nostre paure e rigidità infantili, che non
accettiamo di mettere in questione.
Le scienze in generale ci insegnano
che le crisi sono
il segno di un processo di divenire in atto, hanno un ruolo positivo nel
processo evolutivo, ci fanno crescere. In un organismo vivente le crisi sono normali. L’eccezione è la
condizione di equilibrio, l’assenza di tensioni, i passaggi indolori. Siamo
diversi per età, cultura e famiglia d’origine, estrazione sociale, educazione
ricevuta, sensibilità, intelligenza, esperienze vissute, preparazione
culturale...: come potrebbero non esserci difficoltà e fatiche al confronto e
alla collaborazione? È proprio il
confronto e la condivisione delle singole originalità che stimola alla
conversione e rende possibile la comunione. Anziché essere una penalizzazione,
allora, tutti questi elementi di diversità ci aiutano a scoprire la nostra
identità e il nostro futuro come singoli e come comunità, e ci richiamano a un
atteggiamento di discernimento permanente.
Invece di inasprire le differenze individuali e la
competizione, dovremmo rivalutare l’ascolto, il silenzio, la pazienza,
l’accoglienza, la valorizzazione dell’altro...!
f. L’identità sta davanti a noi, nel futuro.
Quando noi parliamo di identità la
tentazione è quella di guardare istintivamente indietro - la
nostra storia passata, gli eventi salienti della nostra esperienza di vita, i
nostri tratti caratteristici, ecc. -
in modo statico e implicitamente “conservatore”. E facciamo così anche
per la nostra identità di istituto consacrato, pensando che la fedeltà al
carisma dipenda da quanto è già stato detto e fatto dal fondatore, o da chi è
venuto prima di noi. Pensiamo, insomma, che la nostra identità è qualcosa da conservare piuttosto che da cercare
e costruire.
La
storia attuale, con tutta la sua complessità, ci dice che la fedeltà più impegnativa riguarda il futuro.
Il passato e la tradizione non sono il riferimento assoluto, e il
cammino della nostra vita non è tutto predeterminato e definibile a priori.
Anche la vita consacrata segue i sentieri dell’umanità, dove tutto è in
evoluzione.
Gli ideali e valori che guidano un
istituto di persone consacrate sono sempre formulati e vissuti in modo
provvisorio e parziale. Fedele al carisma, infatti, è chi ne permette e
facilita un’espressione adeguata all’oggi: i suoi gesti esprimono
un’adesione e una tensione sincera ai valori della tradizione in cui si è
inserito, ma che con le sue scelte cerca di sviluppare.
L’importante è aver chiaro qual è il
progetto
che ci tiene insieme. È la chiarezza sul progetto che crea le basi per l’unità
e la comunione e la testimonianza della comunità. Di per sé la comunione non è
lo scopo ultimo della nostra vita religiosa. Lo scopo è e rimane sempre conoscere Dio, dimorare in Lui, giungere
alla piena maturità di Cristo e godere della Vita in pienezza
(cfr. Gv 13,15.17); la ricerca di unità e comunione è l’atteggiamento
che ci consente di rimanere sempre aperti ad accogliere e vivere questo dono.
E noi, abbiamo chiarezza sul
progetto da realizzare?
g. Siamo un cantiere sempre in costruzione.
Ho trovato molto bella una definizione della comunità vista
come « il luogo dei
passaggi verso l’amore » (J. Vanier). È vero! Fare comunione – in
famiglia come in comunità – comporta passaggi decisivi per il proprio divenire
persone e credenti adulti. Il passaggio dall’egoismo all’amore, dalla paura
alla fiducia, dal litigio all’unità, dalla menzogna alla verità, dalle teorie,
dai sogni e dall’idealismo alla realtà, dalla vanagloria alla gloria di Dio...
La comunità è, in sé stessa, una realtà fortemente evolutiva. È
un’offerta di vita che può favorire la scoperta di sé, di ciò che si può
divenire e ci si sente chiamati a essere, sia come singoli che come gruppo. La
costruzione della propria identità è un processo che avviene soltanto
accettando di stare di fronte all’altro, alla sua diversità, lasciandosi
mettere in questione, mantenendosi in uno stato di costante ricerca.
M. GRAZIA VIRDIS, Frutto in maturazione
Vivere insieme chiede di essere sempre disponibili al cambiamento, e cichiama
a vivere in un atteggiamento di continuo distacco
da noi stessi e dalle cose, dagli affetti e dalle persone. Sembra un paradosso:
per crescere e far crescere la sorella/il fratello nell’unità e nella comunione
è necessario saper vivere il distacco, da intendere non come
negazione della dimensione affettiva ma come attenzione a non dare a nulla e a nessuno il posto di Dio.
h. Crescere è fare spazio alla Vita.
Secondo una visione
dinamico-evolutiva, che è poi evangelica, ciascuno di noi nasce incompiuto e
vive la propria storia camminando verso il suo compimento. E per giungere al nostro compimento abbiamo
accolto la chiamata alla vita consacrata, nella comunità o in famiglia.
Esse sono un aiuto, ma entrambe comportano molte fatiche.
Il tempo trascorso fino a oggi in famiglia e in comunità
penso ci abbia insegnato che i nostri cambiamenti non sono avvenuti per un
volontaristico programma personale steso a tavolino, ma perché abbiamo dato spazio a nuove provocazioni
della vita, a nuove situazioni: abbiamo permesso agli altri di
spostare qualcosa dentro di noi, di modificare qualcosa di cui, forse, fino ad
allora andavamo sicuri e orgogliosi.
Noi cerchiamo la comunione perché crediamo che
la Vita giunge a noi sempre attraverso gli altri: se da una parte
richiede un
atteggiamento di accoglienza e di apertura fiduciosa, dall’altra
comporta che noi accettiamo la
nostra insicurezza.
In altre parole, noi sappiamo entrare in comunione quando
diventiamo vulnerabili, quando lasciamo cadere
le nostre maschere e ci mostriamo così come siamo; quando ci lasciamo
conoscere, apriamo la nostra porta, e non viviamo l’altro come un intruso, ma
come una visita della grazia che vuol portarci vita. Non possiamo sapere in
anticipo cosa ci chiederà e cosa ci porterà a cambiare dentro di noi. Crediamo
però che certamente Dio vuole condurci sempre più in profondità alla verità di
noi stessi, e infine -
lo speriamo -
alla Verità tutta intera. Possiamo accettare la nostra insicurezza e debolezza
quando con fede abbiamo posto la nostra certezza nel Risorto, e speriamo nella
potenza generatrice di vita della sua presenza in comunità.
Ci vuole coraggio per vivere tutto questo!
Perché non esisto solo io con le mie sicurezze personali. Esistono anche gli
altri attorno a me, e mi lanciano continui stimoli che mi mettono in questione.
Se li so accogliere posso crescere e scoprire la ricchezza mia e dell’altro in
ordine al compimento della nostra identità di figli di Dio: giungere alla libertà di amare come ama Dio. Se invece temo la mia
insicurezza mi irrigidisco sulle mie posizioni, non accetto le provocazioni che
mi portano nuova vita, e non mi trovo bene con gli altri.
Ci vuole fiducia per vivere così il
rapporto fraterno in comunità/famiglia. Dare fiducia è il senso profondo dell’amore.
Dio si fida dell’uomo in modo totale. Egli ha messo nelle nostre mani il
mondo, il Figlio, la Chiesa, tutto... crede nella nostra capacità di portare
frutto e, senza scandalizzarsi delle nostre imperfezioni e infedeltà, ci invita
a fare altrettanto con i nostri fratelli.
Se proviamo seriamente a vivere
questa fiducia, la nostra ricerca di comunione ci vedrà servitori del Bene che è presente nella
sorella/nel fratello, forti della “speranza attiva” che ci porta a
giocare tutto su ciò che l’altro ancora non è ma potrebbe divenire con l’aiuto
del nostro sostegno fraterno.
i. Chiamati perché peccatori, uniti perché salvati.
E infine viene da chiedersi: perché mai Dio ha affidato a
creature deboli come noi il Sint unum, il buon messaggio della
unità e della comunione trinitaria? Cosa possiamo fare di fronte al nostro
limite, alle nostre paure e debolezze così evidenti?
E se stesse proprio qui la sfida e
la testimonianza della vita consacrata? Una vita
insieme, camminando ogni giorno alla ricerca dell’unità e della comunione, senza scandalizzarci delle debolezze e delle
povertà nostre e degli altri. Dio ci ha chiamati così come siamo...
e Lui sa bene cosa ci chiede, perché non vede solo i nostri difetti ma anche i
nostri talenti.
Nessuno è perfetto! Non lo erano i primi
discepoli, e non lo siamo neppure noi. Con tutto il fardello della nostra debole
umanità noi siamo chiamati a rendere visibile l’onnipotenza della Grazia di Dio
nelle nostre fragilità e la sua sovrabbondanza proprio lì dove abbonda il
nostro peccato (cfr. Rom 5,20). Mi sembra che sia questo il
messaggio che papa Francesco ci sta mandando con forza e perseveranza
dall’inizio del suo pontificato.
Se crediamo nella buona notizia dell’amore
di Dio e vogliamo viverla, nelle nostre case si dovrebbe vedere che nessuno si
scandalizza se le cose non vanno sempre bene, se i programmi non riescono, se i
fallimenti bussano alla nostra porta, se non ci sono i risultati previsti...
perché crediamo che la Grazia sovrabbonderà anche lì dove noi leggiamo i segni
del fallimento. La Grazia ci trasformerà se ci rendiamo disarmati e disponibili
alla conversione, se non usiamo le nostre debolezze come giustificazioni, ma
continuiamo a cercare anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia.
Allora la nostra vita diventa segno. Segno
del Risorto che dà continuamente la vita a chi si rende disponibile ad
accoglierla. L’accoglienza della sua volontà di comunione diventa in noi
decisione di prestare a Dio le nostre mani, le labbra, il cuore... perché il
suo amore trovi spazio nella nostra storia di uomini.
Smettiamola di guardarci con occhi
di giudizio, di tormentarci – spesso solo a parole – con i sensi di colpa per
le nostre incoerenze come consacrati.
Sarebbe molto più produttivo,
proprio a livello di testimonianza, riconoscerci peccatori senza fare dei drammi, e
accogliere la salvezza di Cristo ogni volta che ci troviamo vuoti e sconfitti
per le nostre infedeltà e per le nostre resistenze. Chi sa mettersi
in questione fa circolare lo Spirito e cammina con i suoi fratelli, libero di
esprimere in forme sempre nuove la sua comunione con il cuore di Cristo, in un
atteggiamento di conversione
permanente.
La gente che ci guarda, allora, non avrà più paura di Dio se potrà vedere noi
che, ogni volta che ci troviamo a terra, ci rialziamo prontamente con il
sorriso di chi sa di essere amato e salvato, e può riconoscere questa salvezza
nel gesto accogliente e riconciliante della sorella/del fratello.
M. GRAZIA VIRDIS, Cuore di luce
P. Enzo Brena scj
Domande per la riflessione/condivisione
· Quali ostacoli/resistenze sperimentiamo più
frequentemente nello stabilire tra noi relazioni di comunione?
· Se è vero che siamo sempre in crescita, che cosa
concretamente ci frena/ci impedisce di accogliere gli stimoli quotidiani alla
nostra conversione/crescita?
· Il più grande ostacolo alla libertà, alla comunione e
alla gioia di vivere siamo noi stessi!
Che cosa mi sono proposto personalmente per stare in un cammino di libertà
evangelica? Che cosa suggerisco e propongo alla comunità?
· Un grande ostacolo all’amore-comunione è il legalismo,
per il quale contano più le regole (e le abitudini personali!) che il Vangelo!
Che cosa stiamo facendo e come ci stiamo aiutando su
questo punto? Quanto la nostra via è vissuta con il cuore aperto?
· Come percepisco il mio limite personale? Quanto vigilo
sul pericolo di una vita vissuta in modo “pelagiano” o “gnostico”? Quanto credo
nella grazia e nella salvezza gratuita di Dio? e quanto la vivo nei confronti
degli altri?
come vivere la nostra secolaritÀ oggi alla luce dei cambiamenti sociali ed ecclesiali
(Seconda parte )
Toccare con mano, sullo stile del
samaritano…
(…presentando il volto della misericordia e della
tenerezza).
Ha a che fare con la missionarietà.
Sempre nel discorso
consegnato all’Udienza con i Responsabili degli Istituti secolari italiani papa
Francesco afferma: “In forza dell’amore
di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e di
tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e
le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è
espressione di una cura che cancella ogni distanza. Come il Samaritano che
passò accanto e vide e ebbe compassione. E’ qui il movimento a cui vi impegna
la vostra vocazione: passare accanto ad ogni uomo e farvi prossimo di ogni
persona che incontrate, perché il vostro permanere nel mondo non è
semplicemente una condizione sociologica, ma è una realtà teologale che vi
chiama ad uno stare consapevole, attento, che sa scorgere, vedere e toccare la
carne del fratello”.
In EG al n.49 scriveva: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e
sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la
chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una
Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio
di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e
preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la
forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una
comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più
della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle
strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in
giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre
fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi
date loro da mangiare”.
Considerazioni.
Anche la preoccupazione
per le vicende prettamente sociali rientra nello spirito missionario della
Chiesa di papa Bergoglio, perché il Vangelo è per tutti e, se qualcuno può
essere privilegiato da questo movimento ‘in uscita’, questi deve essere il
povero, colui che è stato ferito nella battaglia della vita e cerca qualcuno
che gli sia prossimo.
La missionarietà è insita
nella consacrazione secolare: la consacrazione, dicevamo, consiste nel
dedicarsi al progetto di Dio sulla storia e la secolarità consiste
nell’abitarla, condividendone “gioie e speranze, tristezze e angosce”. Da
questa posizione, che per noi costituisce un vero e proprio stato di vita, si
impone la testimonianza del Vangelo.
La profezia sta nella
chiamata a soccorrere senza giudicare, a evidenziare il positivo all’interno di
qualsiasi situazione, a “non aver paura della tenerezza”, a rivalutare tutte
quelle virtù umane che rendono vero ogni tipo di rapporto e solidale l’impegno
per un mondo nuovo.
… nella povertà, gratuità, disponibilità
Se
la radice della testimonianza è l’amore gratuito di Dio e la scelta di Cristo,
il segno caratteristico è la gratuità, la semplicità, il disinteresse, la pace.
Questo
atteggiamento spirituale di povertà-gratuità ci libera da quell’ansia di dover
fare, organizzare, proporre, convertire… per verificarci su come viviamo noi la
fede, l’amore, il perdono, la pace, il rapporto con le persone, la condivisione
con chi soffre. Spesso il fare per gli altri diventa una scusa per non
verificare noi stesse.
Un
altro aspetto della povertà riguarda i mezzi. Il grande, unico mezzo scelto da
Gesù per la missione è la persona, quelle persone concrete che lo seguivano.
Possiamo anche usare mezzi moderni, sussidi aggiornati per attirare la gente,
ma il vero, unico mezzo della missione siamo noi, la nostra persona, quello che
noi siamo e cerchiamo di diventare.
Gesù
non si è servito dei grandi mezzi, anche se ne aveva la possibilità: non ha
chiamato studiosi ed esperti, che pullulavano anche a quel tempo; non ha
costruito scuole bibliche o un grande tempio alternativo a quelli di
Gerusalemme e del Garizim. Ha scelto delle persone e le ha mandate. Ha
stabilito con esse un rapporto personale e le ha mandate a creare, a loro
volta, dei rapporti personali (di casa in
casa), portando un primo annuncio essenziale: la pace, l’amore di Dio che è
Padre, la fiducia, la speranza.
… nell’ordinarietà
La secolarità consacrata è l’esperienza di
donne e di uomini che amano la vita, che vivono con gioia la loro esperienza
familiare e sociale, le relazioni con gli amici e con i vicini di casa, la
politica e la professione. I laici consacrati sono persone che sanno apprezzare
l’umanità in tutte le sue dimensioni: affetti, responsabilità, fatica, amore;
che sanno dare un senso alle esperienze difficili che segnano l’esistenza di
tutti: la malattia, il dolore, il limite, la solitudine, la morte.
L’ordinarietà è la paziente assimilazione
delle condizioni comuni del vivere: i linguaggi della gente comune, i linguaggi
familiari, i ritmi vitali, le sfumature delle situazioni, i conflitti
quotidiani, le pene consuete, le fatiche di chi ci vive accanto, gli aspetti
sociali e individuali del vivere.
L’ordinarietà vissuta in pienezza esprime
lo spessore del nostro radicarci nella storia.
Una
secolarità vera detesta gli artifici, i privilegi, le corsie preferenziali,
quelle che magari portano ad avere un posto di primo piano, un trattamento
migliore, nell’ambito dei ruoli e delle responsabilità che si assumono.v
La secolarità consacrata ci colloca nelle “condizioni ordinarie della vita”.
Dovremmo tentare di non cadere nello schematismo: ci sono condizioni ordinarie
e condizioni straordinarie, dove l’accento sulla straordinarietà assume il tono
di una maggiore valorizzazione…..quasi che l’ordinarietà fosse condizione di
serie B.
Allora potremmo chiederci: “Che cosa dire
della nostra disponibilità al nascondimento, della discrezione con cui viviamo
in mezzo agli altri?
Che cosa dire del nostro modo di vivere le
condizioni ordinarie?
Come fare perché la nostra vita non si
trasformi mai in una ostentazione? In un’esibizione della nostra bravura?
Rivalutare il senso di appartenenza…
(…alla propria comunità
vocazionale, dove si sperimenta l’essere Chiesa povera per i poveri e si
diventa “antenne”).
Ha
a che fare con la fraternità.
Il
discorso consegnato dal Papa all’Udienza del 10 maggio 2014 conteneva anche
questa affermazione: “E’ urgente
rivalutare il senso di appartenenza alla vostra comunità vocazionale che,
proprio perché non si fonda su una vita comune, trova i suoi punti di forza nel
carisma. Per questo, se ognuno di voi è per gli altri una possibilità preziosa
di incontro con Dio, si tratta di riscoprire la responsabilità di essere
profezia come comunità, di ricercare insieme, con umiltà e con pazienza, una
parola di senso per il Paese e per la Chiesa, e di testimoniarla con
semplicità. Voi siete come antenne pronte a cogliere i germi di novità
suscitati dallo Spirito Santo, e potete aiutare la comunità ecclesiale ad
assumere questo sguardo di bene e trovare strade nuove e coraggiose per
raggiungere tutti”.
EG
ai nn.91-92 approfondisce: “E’ necessario
aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con
gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come
compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di
imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro
richieste. E’ anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso
quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di
scegliere la fraternità.
(…) Proprio in questa epoca, e anche là
dove sono un ‘piccolo gregge’ (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati
a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt
5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza
evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!”.
Considerazioni.
Le
relazioni costituiscono il tessuto su cui ricamare la ricchezza dei nostri
carismi. Senza relazioni tutto si sfalda.
E
parlo delle relazioni esistenziali nei diversi ambiti di vita e di lavoro,
nelle diverse situazioni psicologiche e sociali, in famiglia, nella comunità
cristiana e in quella civile, relazioni di cui l’esperienza del gruppo diventa
autentico “laboratorio”.
Le
ricadute più significative sono quelle del perdono, della collaborazione, del
discernimento comunitario, della fraternità.
La
fraternità porta a stare sullo stesso piano, non ammette superiorità o
sudditanza, richiama il concetto di creaturalità, porta ad accogliere povertà e
fragilità proprie ed altrui, motiva lo scambio non solo in termini di intesa
psicologica, ma soprattutto di condivisione della fede e degli impegni.
La
comunità vive delle esperienze di ciascuno dei suoi membri, gioisce e soffre
con loro e attraverso queste esperienze viene a contatto con il mondo e con la
storia, imparando a cogliere i segni della presenza del Risorto e irradiando il
gusto dell’appartenenza.
La
profezia sta nella chiamata a vivere le relazioni interpersonali, soprattutto
all’interno dei nostri gruppi, non come una circostanza ma come il luogo
dell’ascolto, del dono di sé, della ricerca e della testimonianza della propria
identità.
Trasmettere la gioia…
(…dell’incontro con Cristo e della vicinanza ai
fratelli).
Ha a che fare con la spiritualità.
Sempre nel discorso del 10
maggio leggiamo: “Insieme ed inviati,
anche quando siete soli, perché la consacrazione fa di voi una scintilla viva
di Chiesa. Sempre in cammino con quella virtù che è una virtù pellegrina: la
gioia”.
Del tema della gioia è
intrisa tutta l’EG. Si apre così: “La
gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano
con Gesù. (…) In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani,
per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e
indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (n.1). “Per essere evangelizzatori autentici occorre
anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente,
fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore” (n.268).
Considerazioni.
Non è un generico invito
alla gioia, ma la sottolineatura che la gioia è, nello stesso tempo, contenuto
e forma dell’annuncio. La consacrazione secolare mette in comunione piena con
la sorgente della gioia, che è Cristo Gesù e il suo Vangelo, e nello stesso
tempo domanda una testimonianza che passa più attraverso la vita che la parola.
Se i nostri occhi non sprizzano gioia vuol dire che non abbiamo incontrato
veramente il Signore e la nostra fede appare stanca, faticosa, senza attrazione.
Acutamente
Paolo VI, nell’esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975)
– uno dei testi più belli del suo magistero pastorale – afferma: “Ci sarebbe
bisogno di un paziente sforzo di educazione, per imparare o imparare di nuovo a
gustare semplicemente le molteplici gioie umane, che il Creatore mette già sul
nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore
casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia
talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere
compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione;
gioia esigente del sacrificio. Molto spesso, partendo dalle gioie naturali, il
Cristo ha annunciato il regno di Dio” (n.1).
Nelle relazioni secolari,
le più diverse, il primo impatto è dato proprio dalla capacità di irradiare
serenità, fiducia, entusiasmo. La comunicazione della fede ha come obiettivo la
pienezza della vita, del suo senso, della sua realizzazione, della sua
felicità.
La gioia del cristiano non
è frutto della fuga dalle problematiche del quotidiano, ma certezza, anche
nella prova, dell’amore del Signore che ci raggiunge, ci coinvolge e ci salva.
Così
testimoniare è la gioia di poter annunciare quello che, personalmente, ci dà
vita e giovinezza in cuore. Anche quando i 20 anni si sono o si saranno
moltiplicati per 4 e oltre. Testimoniare è più forte delle mie fatiche fisiche,
morali e spirituali.
Vi
auguro di conservare sempre questo atteggiamento di andare oltre, non solo
oltre, ma oltre e in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia,
l’educazione, la famiglia…
Lo stile della nostra vocazione è
l’assumere questa dimensione dello stare dentro, dello stare accanto, del non
appartarsi nel vivere la vita cristiana, del guardare al mondo come realtà
teologica.
Questa dimensione profonda, direi
strutturale, ha all’origine la disponibilità a mettersi accanto, ad accogliere,
a condividere ciò che è nostro con chi è in condizioni di minori risorse, a
caricarsi dei pesi, a farsi prossimo, a prendersi cura sul modello del buon
Pastore e del Samaritano.
Che
dire di noi? È vero, respiriamo tutti noi un clima di conflittualità sociale
che pervade anche noi e i nostri ambienti, in cui regnano le spigolosità, le
rigidità e le fatiche relazionali, che impediscono di fatto il dialogo sereno,
la difesa intransigente delle proprie posizioni, precludendo un ascolto sereno
dell’altro. Un clima che gradualmente ci sospinge nell’insufficiente dialogo e
così non favorisce l’incontro e l’interscambio.
Ma
tali constatazioni ci dicono che siamo chiamate a fare un lavoro quotidiano di
discernimento, imparando a leggere la cifra dell’attualità e riscoprendo i
segni dello Spirito in tutto, mediante una lettura ordinaria dei segni dei
tempi.
«È
necessario cogliere l’emergenza della vita – scrive un teologo italiano, Carlo
Molari, morto da poco – le forme nuove che essa cerca di esprimere. Dobbiamo
ricordare però che i segni dei tempi emergono sempre in ambiti di frontiera
della vita e della storia quindi, marginali e periferici. E’ tuttavia
attraverso queste frontiere che si apre un cammino verso i nuovi traguardi».
Dunque,
è su questi crinali del luogo, del tempo e della storia, che le nostre
esperienze possono compenetrarsi e aiutarsi reciprocamente con una fecondità di
vita e di pensiero.
Maria Rosa Zamboni
come vivere la nostra secolarità oggi alla luce dei cambiamenti sociali ed ecclesiali
(prima parte)
Premessa
E’ importante
una premessa.
In che contesto
noi viviamo?
Il contesto
ecclesiale in cui si pone questo nostro momento di riflessione è caratterizzato
dallo svolgimento del Sinodo sulla Sinodalità.
Il contesto
socio-culturale, invece, è segnato dalla pandemia e dalla guerra in Europa, che
si aggiunge alle numerose guerre in atto e dalla crisi economica, divenuta
presto anche sociale ed etica, capace com’è stata di mettere a nudo le
diseguaglianze, gli abusi di potere e i comportamenti immorali di singoli
cittadini e della stessa classe dirigente. In Italia è diminuita la fiducia
nella partecipazione, ha preso piede una forma strisciante di egoistico “fai da
te” da parte di singoli e di gruppi, la disperazione si palesa nei suicidi,
nelle depressioni, in diverse forme di violenza, anche privata.
Per quanto
attiene il carisma della secolarità consacrata rimane confermato lo scarso
impatto che esso ha nella realtà ecclesiale e a livello di rilevanza sociale.
Nella Chiesa non è più riconosciuto come una novità e, dato il limitato numero
dei membri e la loro età avanzata, non incide significativamente
nell’elaborazione della sua identità e della sua missione. Nella società la
mancanza di fiducia nelle istituzioni ha fatto crescere il sospetto anche nei
confronti delle persone impegnate cristianamente, fatte salvo quelle che
operano nel campo del volontariato e della carità.
Il luogo della
santificazione personale di noi laici consacrati è, senza dubbio, il mondo con
quello che implica l’essere immersi nelle sue vicende e nella storia. Il modo
in cui esserci esige un continuo discernimento secondo la Parola di Dio e il
mistero della vita di Gesù di Nazaret, prima della sua vita pubblica, a cui far
riferimento per vivere in pienezza la vocazione secolare.
L’impegno
secolare trova la sua massima espressione nel lavoro (come impegno, esecuzione,
competenza, esercizio professionale e assolvimento del comando divino di
assoggettare le cose). Accanto ad esso e non di importanza secondaria sono le
attività di “pubblico servizio”, sia in ambito associativo che attraverso un
impegno diretto in politica. E’ edificante la testimonianza del come i primi
membri degli Istituti secolari siano riusciti a conciliare gli impegni anche
onerosi, sotto l’aspetto della presenza secolare nei vari ambiti, con fedeltà
assoluta alla preghiera, fondamentale per ogni vocazione.
Quale
testimonianza chiede a noi il Signore? E’ la domanda sempre attuale, che ci
poniamo per verificare se il nostro cristianesimo nella vita ordinaria è
rivolto tutto alla costruzione del “Regno”, senza riserve e ripensamenti.
Il cammino
compiuto in questi 75 anni dagli Istituti secolari, dalla Provida Mater
Ecclesia a oggi, sia a livello di riflessione teologica e magisteriale che a
livello di esperienza di vita, ci permette di affrontare l’argomento di questo
incontro tenendo sullo sfondo gli elementi prima ricordati.
Oggi però si
stagliano in primo piano alcune suggestioni di grande attualità, sottolineate
dal magistero di papa Francesco, che conferiscono agli Istituti secolari e al
loro carisma una rinnovata connotazione profetica.
Basti citare
alcune definizioni che il papa ha dato degli Istituti secolari all’Udienza
concessa ai Responsabili italiani il 10 maggio 2014.
A partire da
una lettura attenta del suo discorso mi sembra si possano individuare 5
suggestioni.
Custodire la
contemplazione…
… (verso il
Signore e nei confronti del mondo).
Ha a che fare
con la consacrazione.
L’espressione è
stata usata da papa Francesco nella conversazione libera. Precisamente egli ha
affermato: “E da quel tempo (il tempo
della Provida Mater) fino ad ora è tanto
grande il bene che voi fate nella Chiesa, con coraggio perché c’è bisogno di
coraggio per vivere nel mondo (…). Tutti i giorni, fare la vita di una persona
che vive nel mondo, e nello stesso tempo custodire la contemplazione, questa
dimensione contemplativa verso il Signore e anche nei confronti del mondo,
contemplare la realtà, come contemplare le bellezze del mondo, e anche i grossi
peccati della società, le deviazioni, tutte queste cose, e sempre in tensione
spirituale …”
Nella Evangelii
Gaudium (EG) al n. 264 aveva scritto: “E’
urgente recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire
ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre
una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri”.
Vengono
spontanee alcune considerazioni.
Innanzitutto,
va focalizzato l’oggetto primario della nostra consacrazione che è il Signore
Gesù. È al suo amore che noi aderiamo, alla sua chiamata che noi diciamo il
nostro ‘sì’; è del suo progetto che noi ci mettiamo a servizio. La stessa
professione dei voti, quindi, va nel senso di quell’incontro personale con Gesù
che ci mette in movimento dietro di lui dentro la storia.
Va poi
specificato che, intesa in questo senso, la consacrazione non porta fuori, non
distrae, non separa dalla realtà mondana, positiva o negativa che essa sia, ma
offre piuttosto una prospettiva pasquale, di redenzione e di speranza. Addirittura,
la relazione personale con Cristo passa attraverso le vicende umane e si
sostanzia di tutto ciò che noi portiamo della nostra esistenza concreta.
Avere uno
spirito contemplativo significa allora dedicarsi consapevolmente a tutto ciò
che è bene, che rende migliore l’uomo e la società, che qualifica la storia
come ‘storia di salvezza’. Custodire la contemplazione è proprio di chi, a
diretto contatto con il mondo, ne conosce le dinamiche e vi incarna la fede
attraverso il suo vissuto.
La consacrazione
ci chiede di essere, in mezzo
agli altri, sacramento vivo di Dio. Noi siamo chiamate a manifestare questo
primato di Dio, a proclamare che Lui è al centro delle nostre vite e l’unico
vero significato della nostra esistenza. A questo scopo, mettiamo a disposizione
la visibilità, nella nostra umanità, del Dio silenzioso, nascosto, del Dio
“debole”, in modo che ancora una volta tra gli uomini e le donne del nostro
tempo possano rendersi visibili l’amore fraterno di Cristo, la paternità del
Padre, la sua misericordia, la sua tenerezza, il suo perdono, la sua speranza …
La profezia sta
nella chiamata a tenere sempre uniti fede e vita, dimensione spirituale e
vissuto concreto, celebrazione dei sacramenti e impegno storico…o, ancora
meglio, il nostro essere nel mondo e il nostro essere di Dio senza che questo
costituisca dicotomia ma generi continuità e si configuri come preannuncio del
Regno.
Camminare per
le strade del mondo e abitare le periferie…
(… in uscita,
andare oltre e in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia,
l’educazione, la famiglia…)
Ha a che fare
con la secolarità.
Anche questa
espressione è stata usata dal Papa all’Udienza, in questo preciso contesto: “Non perdete mai lo slancio di camminare per
le strade del mondo, la consapevolezza che camminare, andare anche con passo
incerto e zoppicando, è sempre meglio che stare fermi, chiusi nelle proprie
domande o nelle proprie sicurezze. La passione missionaria, la gioia
dell’incontro con Cristo che vi spinge a condividere con gli altri la bellezza
della fede, allontana il rischio di restare bloccati nell’individualismo”.
Nella EG al
n.20 aveva scritto: “Ogni cristiano e
ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti
siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e
avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della
luce del Vangelo”. E al n.46: “La
Chiesa ‘in uscita’ è una Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri per
giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una
direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da
parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze
per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre
del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà
possa entrare senza difficoltà”.
Anche qui
alcune considerazioni.
La Chiesa vive nel mondo e in dialogo con esso. Il Signore Gesù ha voluto
la Chiesa come sacramento della sua presenza di risorto nella storia. Ora
Cristo continua “a prendere l’iniziativa”,
a “precedere nell’amore, (come spiega
il n.24 dell’EG) e quindi la Chiesa è chiamata a “coinvolgersi” (“La comunità evangelizzatrice mediante opere e gesti si
mette nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino
all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana…”), ad “accompagnare” (“Conosce le lunghe attese e
la sopportazione apostolica. Usa molta pazienza ed evita di non tener conto dei
limiti…”), a “fruttificare” “Trova il modo per far sì che la Parola si
incarni in una situazione concreta e dia
frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti e incompiuti…”) e
a “festeggiare” (“Celebra e festeggia
ogni piccola vittoria, ogni passo avanti (…) si fa bellezza nella Liturgia in
mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene…”).
Sono 4 verbi
della secolarità, cioè di una presenza operosa ed incisiva in ogni angolo di
umanità dove risuonano più forti gli interrogativi degli uomini e dei popoli.
La Chiesa abita
le periferie attraverso di noi che, per vocazione, siamo chiamati a restare “in
saeculo” e ad agire “con i mezzi che sono propri del mondo” senza alcuna
distinzione che non sia la testimonianza di fedeltà al Vangelo che connota le
nostre scelte e il conseguente stile di vita.
Secolarità è
anche andare, non restare bloccate sulle proprie posizioni e le proprie
sicurezze. Richiede la capacità di porsi delle domande e non solo di dare delle
risposte, rischiando nella ricerca, ascoltando la realtà della vita prima di
stigmatizzarla con delle norme.
La profezia sta
nella chiamata a non temere nessun luogo e nessuna situazione, anzi a leggere e
a collaborare nel compimento della storia della salvezza proprio a partire da
lì, dove la persona è al limite dell’esclusione, soffre l’indifferenza, è
svuotata della sua dignità.
“Voi fate parte di quella Chiesa povera e in uscita che sogno!”: ci ha detto papa Francesco.
Ci sono tante questioni che ci spiazzano, nella vita, nella fede e nella
Chiesa. Camminare con responsabilità significa rifiutare ogni soluzione facile
e ogni scorciatoia, per percorrere i sentieri più ardui del pensiero, della
ricerca e del dialogo.
Qui è sempre attuale l’immagine che ci ha affidato Paolo VI: essere
laboratori sperimentali… con tutto ciò che questa immagine significa…
Maria Rosa Zamboni
incontro giovani consacrate
Nei giorni 25 e 26 giugno
2022 si è realizzato l’incontro online delle giovani
consacrate della CM sulla
piattaforma Meet.
Per il Consiglio Centrale hanno
partecipato Graciela Magaldi, Serafina Ribeiro, Amelia Gabriel Sitoe, Gloria
Neto e Marcellina Mudji. Per l’Italia: Santina e Orielda, per il Cile Teresa
Pozo e Ely, per l’Argentina Irma, Rosa e Andrea, per l’Indonesia Lucy, per il
Portogallo Justina, per il Mozambico Anna Maria, Helena, Julieta, Bina,
Dalaina, Isabel, Joana, Ilda, Melita, per la Guinea Bissau Antonieta e Ivone.
Tenendo conto della
differenza oraria dei vari paesi si è
potuto lavorare solamente alcune ore della giornata. Il primo giorno è iniziato
con un momento di preghiera animato dalla realtà mozambicana. Graciela ha
aperto l’incontro rivolgendo un saluto
ed un augurio a tutte le partecipanti. Poi si è dato spazio alla presentazione
di ciascuna. Questo primo tempo l’avevamo programmato proprio per questo scopo
così da lasciare a ciascuna la possibilità di farsi conoscere un po’ meglio.
Alla fine con un canto mozambicano abbiamo terminato questo prima “giornata”.
Il giorno seguente si è aperto
con la preghiera animata dall’America Latina. In seguito, è stata data la parola a Maria Rosa Zamboni, membro
dell’Istituto Secolare delle “Spigolatrici della Chiesa”. Maria Rosa è
conosciuta dalla CM perché altre volte è venuta ad aiutarci nei nostri
incontri. Il tema che ci ha presentato e che noi avevamo proposto era: “Come vivere la nostra secolarità oggi alla
luce dei cambiamenti sociali ed ecclesiali”. Ecco un piccolo riassunto dei
punti trattati:
Maria Rosa è partita da una
premessa. In che contesto viviamo? Nel contesto ecclesiale e nel contesto
socioculturale. Ha presentato alcuni suggerimenti di grande attualità,
sottolineate dal magistero di Papa Francesco, che danno agli Istituti secolari
ed al loro carisma una rinnovata connotazione profetica.
1. Custodire la contemplazione... (verso il Signore e nei
confronti del mondo)... Avere uno spirito contemplativo significa allora
dedicarsi consapevolmente a tutto ciò che è bene, che rende migliore l’uomo e
la società, che qualifica la storia come “storia della salvezza”.
2. Camminare per le strade del mondo e abitare le periferie... (... in uscita, andare oltre e
in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia, l’educazione, la
famiglia...). La Chiesa è chiamata a “coinvolgersi”, “accompagnare”, “fruttificare e celebrare”. Questi sono i quattro verbi
della secolarità.
3. Toccare con mano, sullo stile
del buon samaritano... ha
a che fare con la missionarietà... passare
accanto ad ogni uomo e farvi prossimo di ogni persona che incontrate...
4. ... nella povertà, gratuità,
disponibilità...
questi sono i segni caratteristici della testimonianza; la gratuità, la
semplicità, il disinteresse e la pace.
5. ... nell’ordinarietà, la secolarità consacrata ci
colloca nelle “condizioni ordinarie della vita”.
6. Rivalutare il senso di
appartenenza... (alla
propria comunità vocazionale, dove si sperimenta l’essere Chiesa povera per i
poveri e si diventa “antenne”). Ha a che fare con la fraternità. Questa ci
porta ad accogliere la povertà e le
fragilità proprie ed altrui, motiva lo scambio non solo in termini di intesa
psicologica, ma soprattutto di condivisione della fede e degli impegni.
7. Trasmettere la gioia … (... dell’incontro con Cristo
e della vicinanza ai fratelli). Ha a che fare con la spiritualità. La gioia è, nello stesso tempo, contenuto e forma dell’annuncio. La gioia del cristiano è la certezza, anche nella prova,
dell’amore del Signore che ci raggiunge, ci coinvolge, ci salva.
Alla fine di questa bellissima
riflessione, ci è stato dato un tempo per rileggere e riflettere sul materiale
esposto. Poi, in gruppo o
individualmente si è fatto una dinamica scritta: un acrostico dalla parola
“Compagnia Missionaria” letta dall’alto in basso (in verticale) e da ogni
lettera iniziale si doveva comporre un’altra parola che facesse riferimento al
tema ascoltato o ad altre parole simili.
La condivisione è stata molto
positiva perché si è scoperto la grandezza e profondità di aver trovato parole
simili ma anche la novità e creatività di tante altre. Un canto di lode e gratitudine ha chiuso la giornata.
Rendiamo grazie al Signore e
alla Vergine Maria per averci accompagnato in questi giorni; si è sentita la
presenza dello Spirito Santo che ha operato nel cuore di ogni missionaria.
Irma,
Orielda, Santina e Mudji
ACROSTICO COMPAGNIA MISSIONARIA
C
Cristo, carisma, comunità, cura, confidare, consacrazione, camminare,
collaborare, contesto, contemplare, coraggio, condivisione, costruzione del
regno, compagnia, chiesa, custodiamo olio di missionari età, coinvolgersi,
comunione, celebrare, custodire.
O
oltre ed in
mezzo, obbedienza, oblazione, offerta, obiettivo.
M
mansuetudine,
misericordia, mondo, modello, meglio, manifestiamo, missione.
P
preghiera,
pazienza, profezia, presenza, povertà, Parola, professionalità, periferie,
passione, prossimità, problematiche del quotidiano, non fuga ma certezza,
partecipazione.
A
Amore,
annunciare, aiutarsi reciprocamente, attualizzare, appartenenza, abitare,
armonia, accompagnare, assumere, apertura.
g
giocarci tutto,
gioia, gratuità,
n
nascere,
necessità, natura, non perdere lo slancio.
I
infiammare,
imperfetto, iniziative, impatto, impegno, immergersi nelle vicende e nella
storia, istituto, imparando a leggere la cifra dell’attualità,
internazionalità.
A
Ascoltare, allegria, amore, affetto, agire, attive, attrazione,
accogliere.
M
missionarietà,
missione, missionaria, mezzi, unico mezzo della missione siamo noi,
mondo,misericordia, marginalizzazione, Maria.
I
Incontrarsi,
impulso, inclinarsi, implacabile, impatto, Istituto, iniziativa, identità,
inculturazione, identità secolare.
S
Statuto,
storia, samaritano, sale, sinodalità, sacramenti, santità, società,
secolarità, semplicità, significativo, sacrificio.
S
Sfide,
significato, samaritano, sognare, serenità, salvezza, santificare, servizio,
solidarietà.
I
invocare lo
Spirito, Istituto Secolare, interiorità, imparare a incontrarsi con gli
altri.
O
Ordinarietà
della vita, Onnipotente, organizzare, osservare, offerta, opzioni.
N
Noi CM,
naturalezza, necessario, novità, nascondimento, nostro, navigare.
A
Amore del
Signore che ci coinvolge, assumere, agire, apprezzare, affrontare le
difficoltà con speranza.
R
Regno,
costruzione del regno senza riserve e senza ripensamenti, resistere,
responsabilità, relazione, realistico, rigore, realtà, recuperare, risorto, rinascere, recuperiamo immagine di
Dio, redenzione, radicalità, realtà teologica, regolamento di vita.
I
Incorporare, ispirazione, interiore, i linguaggi della
gente comune, i ritmi vitali, i conflitti quotidiani, incontro.
A
augurio,
andare oltre e in mezzo, amore del Signore che ci raggiunge, ci coinvolge e
ci salva, antenne, allegria di vivere.
noi cm
Profeti di PACE
Questa è la mia riflessione generale su alcuni temi che
abbiamo affrontato nei nostri ritiri con Santina, basati sulla “Lettera
programmatica” (2019-2025). Quanto ho maturato e scoperto è stato soprattutto riconoscere che la mia vita
in questi anni si è arricchita attraverso la formazione, l’internazionalità e
il NOI CM.
La formazione ha rafforzato e chiarito
la mia vita e il mio futuro. Ho sentito fortemente il valore della solidarietà
e la forza dell’unione tra noi che guida i miei passi. Considero la preghiera come il grande pilastro che
sostiene la mia vita e mi dà la forza di
“osare” camminare con Gesù. In questo
cammino ho ricevuto molto dalla fraternità e dall’amore che viene non solo dal
gruppo di appartenenza ma anche dalla realtà internazionale che come Istituto
stiamo vivendo. Anch’io nel mio piccolo cerco di fare la mia parte donando il
mio tempo, energie e cuore per
rafforzare questa comunione tra noi.
Sento che tutto questo ci fa crescere nel “NOI CM” soprattutto quando ci
prendiamo cura le une delle altre, sia durante gli incontri sia quando siamo
sole e immerse nelle nostre attività. Il mio impegno è quello di completare in
me quel che ancora mi manca per diventare un vero testimone CM. Sento che
conoscere e vivere la nostra spiritualità nel concreto della vita è una cosa
importante e vitale. Con questo sguardo universale vedo in tutti i membri da CM l’opportunità di diventare testimoni
dell’amore e questo lo si può fare se cerchiamo di essere vicini a Dio, in
maniera che sia Lui il nostro sostegno, soprattutto nei momenti in cui siamo
chiamate a prendere decisioni.
Il mio sogno è che ogni membro CM nella sua vita quotidiana sia paziente,
disposto ad ascoltare, pronto ad aiutare, rispettandosi a vicenda e diffondendo
amore. Nel mio ambiente di lavoro ho scoperto che può essere un segno
profetico: l’ essere pazienti, non giudicare immediatamente qualcosa che
succede e ci crea disorientamento; dovremmo essere disposti ad ascoltare le
varie parti. Avere una coscienza sensibile per rispettare gli altri. In poche
parole, essere profeti di PACE! In questo atteggiamento deve guidarci e sostenerci la Parola di Dio e lo Statuto.
Personalmente, ritengo importante avere anche una certa padronanza delle
tecnologie, delle informazioni e delle lingue straniere. Anche questo è un
aspetto formativo per la nostra vita che ci aiuta ad inserirci nella realtà del
mondo, nei problemi che vivono gli altri paesi e stare dentro il mondo in
maniera attiva e non come ombre. Questo si concretizza se sviluppiamo in noi il
senso di appartenenza alla CM e questo significa prestare attenzione a tutti i
suoi sviluppi e progressi. Ciò che ci è
richiesto e dobbiamo sviluppare è la
disponibilità ad “aprirsi al nuovo” sapendo accogliere attraverso i nostri
suggerimenti le cose positive e anche le
critiche.
Agustina
Dwi Susanti
Condividere gratitudine e gioia rafforzandoci a vicenda
Prima
di tutto, vorrei esprimere il mio grazie e la mia profonda riconoscenza al Sacro Cuore di Gesù
per la Sua protezione, sostegno, guida e benedizioni che ha dato finora alla
mia vita. Sento che Dio ha usato alcuni valori per plasmare la mia vita,
attraverso la mia famiglia e la CM come: la speranza, l'onestà, l'amore, la
fratellanza, la partecipazione, la solidarietà, l'apertura, la gioia, la pace,
l'impegno, la pazienza, l'umiltà e tanti altri. Tutte queste cose belle hanno
colorato il cammino della mia vita, mi hanno fatto vivere e crescere. Sono
anche molto consapevole di tutte le debolezze e i limiti che esistono dentro di
me. Tuttavia, non considero queste
debolezze e limiti come fallimenti, ma li accetto invece come una "benedizione" nella
lotta della mia vita quotidiana. Questo ha creato dentro di me una nuova
capacità di guardare gli avvenimenti, grandi e piccoli, con più serenità. Se non si è coscienti dei difetti e
debolezze che ci accompagnano non si può crescere oppure cresceremmo solo in parte. Imparare
dai miei difetti mi ha reso una persona che affida esclusivamente a Dio
la sua vita. Sono solo una “piccola
matita che Dio sta usando”. Insieme ai punti di forza e di debolezza che
esistono dentro di me, ho trovato la parola che mi ha dato sostegno
"Amore". Anche la speranza è molto necessaria in questo cammino della
vita perché fa scaturire la bontà di Dio
che diventa luce nelle tenebre e guida della vita quotidiana.
Per l’internazionalità:
sono grata di poter conoscere altre culture con la loro unicità, questo è un
dono di Dio. Quello che sto cercando di riflettere a livello CM è che viviamo
in diverse culture ricche di
caratteristiche locali; quindi, la cosa positiva che possiamo offrirci è
l'apertura per spiegare chiaramente la
sua identità ed accettare, valorizzare
le altre culture nel rispetto reciproco. In questo momento tutto quello che
posso fare è la comunione nella preghiera per le missioni - progetti attuali e
futuri.
“ Noi CM”: ci
riferiamo a una famiglia, ovvero siamo una famiglia. Una famiglia che vuole
essere un solo cuore, un solo sentire, una condivisione in tutti gli aspetti.
Noi come famiglia siamo stati formati attraverso un lungo processo, come
un viaggio, con dinamiche di vita
straordinarie. Questo processo di vita ha invaso ogni nostra realtà CM passando
da una persona all’altra, da una generazione all’altra. Sento di appartenere a
questa famiglia: la famiglia di “Betania”, il luogo dove Gesù ha sempre
desiderato andare. Nella mia vita, nel mio piccolo, ho avuto diverse
possibilità per costruire questa Betania dentro di me e fuori di me... Oggi
vivo questa realtà dell'amore di Dio nella famiglia di Betania nel mio lavoro
quotidiano, presentandomi come missionaria offrendo uno spazio concreto della
mia casa ai bambini (e qui svolgo il mio lavoro) alle famiglie, ai genitori, ai
giovani che chiedono speranza. Attraverso questa famiglia di Betania (ho così chiamato questo spazio), presento
spesso la nostra realtà CM: ai genitori, ai giovani del quartiere, della zona e
a vari gruppi della mia parrocchia, dove aiuto anche per la pastorale. Questo stare insieme costruisce
speranza, aiuta le persone ad avere pazienza e coraggio nella situazione
difficile che oggi stiamo vivendo. Anche l'incontro di preghiera che
organizziamo periodicamente come CM con
gli amici e colleghi di lavoro è molto
utile per condividere gratitudine, gioia e rafforzarsi a vicenda. In questo
momento sto gestendo alcune difficoltà
che a volte mi rendono preoccupata e ansiosa… situazioni che a volte confondono
… Il “Noi CM”, il fare Betania con i
nostri fratelli mi rinnovano la forza e speranza che viene da Dio e la volontà
di continuare il cammino cercando cose positive e buone per la vita. Sì, ho
ancora speranza di fare cose positive e buone nella mia vita.
Antonia Theresia
Una
guida nelle “giuste” decisioni
Sono convinta che la formazione
è un elemento essenziale non solo per la mia vita ma anche per la
vitalità dell’Istituto. La mia riflessione mi riporta agli
anni trascorsi della mia vita, all'ambiente in cui sono
cresciuta, al
gruppo, all’Istituto, per vedere come ho
vissuto i valori fino ad oggi. Dopo aver riletto la parte che parla della internazionalità, ho preso in mano la preghiera
che come CM rivolgiamo a S. Giuseppe, nostro protettore. All’inizio del nostro
cammino in Indonesia ci è stata consegnata e tradotta per poterlo invocare
spesso … Ogni
volta che lo prego e sento parole toccanti, mi sento contenta di aver
incontrato la
Compagnia Missionaria. In questa preghiera si dice chiaramente e si chiede al Padre,
attraverso San Giuseppe, di “mettere sul nostro cammino persone giuste per crescere
meglio” ossia
una guida nelle giuste decisioni. Ho legato questa riflessione
alle tante
sfide di oggi, alle tante decisioni (piccole
o grandi) che ci vengono chieste nel nostro quotidiano. Come S. Giuseppe
abbiamo davvero bisogno di silenzio e del suo aiuto. Chiediamo sempre nella preghiera il coraggio, la saggezza e l’incontro con le persone giuste, affinché nel nostro cammino possiamo crescere
adeguatamente. In
questo aspetto ho sentito fortemente la sua guida e presenza! Riconosco la bellezza dello stare
insieme e insieme come CM sparsa in vari luoghi: Italia, Portogallo, Cile, Argentina, Mozambico e Guinea Bissau. Credo che ogni luogo in cui viviamo e ci incontriamo
diventi un supporto
straordinario per continuare a crescere, sia nei momenti belli come nei momenti faticosi. Sempre e in
ogni avvenimento sento di essere CM vicina
a tutti. Quali valori mi sono stati trasmessi?
Molti sono i valori
che ci sono stati
tramandati e che cerco
sempre di integrarli nella mia vita: lo stare insieme,
la sensibilità,
responsabilità, coinvolgimento, partecipazione, senso di appartenenza,
indipendenza, sollecitudine per i deboli, generosità, perdono, amore, accettazione di sé, fiducia … Nella riflessione che insieme
abbiamo fatto ho raccolto questo lungo elenco di valori e sento che ognuno di
essi guidano il mio cammino anche oggi e li ritrovo nella
vita di
tutta la CM.
Oggi riconosco di essere cresciuta attraverso l’attenzione della mia famiglia, ma anche dal sostegno e incoraggiamento della
CM, stimolata a “Essere
di Dio in
tutte le espressioni della nostra personalità" (Statuto
n. 48 a). Siamo
chiamati a raggiungere questa
meta nella realtà in cui ci troviamo;
in ogni spazio geografico, nella giovinezza, nell'età adulta e nella vecchiaia,
accogliendo il nuovo in ogni situazione.
Ritengo
il NOI CM una grande FORZA … anche per costruire nella nostra Famiglia una
piccola Betania per Gesù. E qui ci sentiamo tutte impegnate a fare
qualcosa. Questo "NOI" che vogliamo riscoprire e migliorare e che può
rafforzare la nostra identità e coesione, ci dà le ali per
continuare a camminare con questo mondo, e dentro di esso, per incoraggiarlo
affinché possa rimettersi a sognare e guardare a nuovi e grandi
obiettivi. In questo tempo difficile che tutti stiamo vivendo,
le sfide sono tante … è importante chiederci qual è la volontà di Dio per
ciascuno di noi e per la CM? Con l’aiuto dello Spirito Santo riusciremo a dare
la nostra risposta coraggiosa.
Ludovika Endang Sulastri