Fraternità accogliente
A volte è bello risvegliarsi dai sogni, perché la realtà è migliore degli incubi. A volte. In genere, si dice che i sogni sono migliori della realtà e nei sogni avvengono anche i miracoli.
Senza scomodare i miracoli, dovremo pur dare conto che la
Provvidenza ha chiuso porta e spalancato portoni, ci ha lasciati cadere a
terra, ma ci ha risollevati. E non abbiamo idea di cosa ha in mente ancora per
il futuro.
La carambola è cominciata nel 2013. A quei tempi, l’idea di una
“fraternità accogliente” (ci siamo sempre qualificati genericamente così; ci
daremo un nome quando finalmente avremo una dimora stabile), in cerca di un ubi consistar, dopo ricerche frustranti
e al di fuori di queste, si era vista offrire una quanto mai allettante
possibilità in quel di Pian di Venola.
Per più di un anno abbiamo creduto nel sogno, destreggiandoci fra
resistenze interne ed esterne. La cosa certa sembrava allora la dimora. Quella
incerta, il gruppo. Anche all’interno della CM – per quanto ne so – cominciava
già allora a girare l’interrogativo se aderire o no al progetto della
fraternità accogliente, che prospettava una convivenza di vocazioni diverse:
religiosi/e, consacrati/e, laici e laiche. Ricordo un’espressione di Dolores
durante uno degli incontri “bilaterali” fra dehoniani (ITS e ITM) e CM in vista
di progetti comuni: «Sarebbe una follia se la CM si sottraesse».
Quando poi il gruppo si è costituito, è arrivato il primo
sbarramento. Stavamo partendo – il nostro piccolo drappello – per ritirarci
qualche giorno a Sottosoglio quando, mentre stavo entrando in macchina per
partire, arriva la telefonata che mi chiede: «È vero che hanno venduto Pian di
Venola?». Tramortisco. Risulterà vero, ma dalla proprietà (la Fondazione Opera
Pia Da Via Bargellini, è bene che i nomi si sappiano) né dalla curia una sola
telefonata per darci la notizia come diretti interessati o per dirci: «Il
progetto finisce qui».
Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale, che ci fa
barcollare ma non mollare. Con l’autorizzazione delle autorità coinvolte,
ripartiamo con la ricerca. Ci viene indicata la canonica della parrocchia di
San Vitalino (Longara), che stava per essere lasciata da don Francesco Ondedei
chiamato ad altro incarico. I parroci della zona (don Marco Bonfiglioli e don
Franco Fiorini) danno il consenso. Date le dimensioni della canonica saremmo
stati un po’ stretti, ma il sogno riparte. Verso la fine di novembre don Franco
ci consegna le chiavi.
Nel frattempo si era fatta avanti la diocesi di Pisa chiedendo una
presenza nella casa di accoglienza per detenuti in misura alternativa per la
quale era pronto un progetto. Proprio nel giorno in cui il p. provinciale dei
dehoniani, p. Oliviero, si stava recando a Calci per vedere i luoghi e
soprattutto incontrare le persone (ora Calci è una bella realtà avviata) arriva
a me un messaggio nel quale don Franco mi chiede di restituirgli le chiavi
perché non intende più dare ospitalità al nostro progetto. Dalla curia nessuna
contromisura. Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale.
Il 10 dicembre il vescovo Matteo Zuppi entra in Bologna. Dopo 30
anni di apnea si ricomincia a respirare. Per il lunedì 14 dicembre sera ci era
stato dato appuntamento dal padre Provinciale dehoniano sostanzialmente per
comunicarci che, dopo il nuovo voltafaccia, la Provincia ritirava il suo
consenso, per quanto esplorativo, al progetto. Il nostro piccolo gruppetto,
bastonato, si incontra la domenica sera per concordare la linea da tenere
nell’incontro con il Provinciale. Concludiamo di chiedere coralmente un tempo
supplementare, confidando che con il nuovo vescovo si potessero aprire vedute
più ampie. Andando a letto, abbiamo tutti, non solo io credo, l’impressione di
trovarci a percorrere l’ultimo tratto di un binario morto.
La mattina del lunedì 14 vado come mio solito alla Casa della
Carità per il mio turno di aiuto all’alzata. E mentre stavo per venire via – il
cuore sempre morto – sr. Silvia (ma questo non si deve sapere) mi ferma e mi
dice: «Ho saputo che don Franco non intende ospitarvi a San Vitalino. Perché
non chiedete se si possa destinare al vostro progetto la Casa del Contadino per
la quale la Parrocchia di Corticella sta da tempo cercando una destinazione?».
Non credo ai miei orecchi e faccio fatica a credere al mio cuore.
Chiedo un appuntamento urgente con il parroco don Luciano Bortolazzi, che me lo
accorda per la sera stessa, prima che io andassi a celebrare la messa alla Casa
della Carità. Don Luciano si mostra da subito aperto alla richiesta e paventa
la possibilità di parlarne la sera stessa al Consiglio pastorale. Proprio
mentre noi avremmo incontrato il Provinciale. Telefono subito a p. Oliviero per
dirgli che sì, sappiamo bene qual è l’orientamento attuale del Direttivo, ma
metti all’ordine del giorno del nostro incontro una proposta dell’ultima ora
che solo stasera potrò illustrarti.
All’incontro della sera, dopo una discussione indimenticabile, p.
Oliviero accettò di darci e darsi un po’ di tempo per esplorare la fattibilità
della soluzione Corticella. Così il 23 febbraio successivo (2016) il Consiglio
pastorale e il Consiglio affari economici della parrocchia di Corticella
consegnarono al parroco il parere favorevole alla destinazione della Casa del
contadino al progetto della fraternità accogliente e della casa di accoglienza
per detenuti in misura alternativa. Qualche mese dopo, il vescovo, il parroco,
la Provincia ITS e il CEIS (che avrà l’incarico della conduzione della casa di
accoglienza per detenuti) firmano un protocollo di intesa che dà il via alla
progettazione architettonica affidata allo Studio Moretti.
Come l’altra volta, ora che sembrava consolidarsi la prospettiva
della struttura ad andare in crisi è il gruppo. Nella settimana di Sottosoglio
dell’estate 2016 la famiglia Pierotti si ritira e noi ci si trova di nuovo
scossi.
Nell’estate 2016, dunque, comincia la lunga lavorazione per la
ristrutturazione radicale della Casa del Contadino. Si sarebbe voluto
consegnare la casa ristrutturata alla diocesi in occasione del Congresso
eucaristico diocesano (2017) e invece tutto giace ancora incompiuto. Nel luglio
2018 si è provveduto alla fase destruens,
ma al momento (fine gennaio 2019) la fase costruens
non è ancora iniziata, anzi non è ancora partita la gara di appalto per
l’assegnazione della commessa.
Vedendo il succedersi sfibrante delle continue proroghe dei
lavori, a maggio 2018 abbiamo chiesto, io e p. Maurizio, al p. Provinciale, p.
Oliviero, di sondare la possibilità di una residenza temporanea per la
fraternità o almeno un suo nucleo in qualche canonica della città. Il vescovo
ci indirizzò a mons. Silvagni, il quale ci invitò a chiedere se don Marco
Grossi, parroco di Santa Caterina al Pilastro e Sant’Andrea a Quarto Superiore,
potesse metterci temporaneamente a disposizione la canonica di Quarto.
Ci siamo recati da lui in gruppo nel giugno 2018 e lo abbiamo
trovato benevolmente disponibile. Le condizioni della canonica, che avrebbero
richiesto un intervento non soltanto di profonda pulizia, ci scoraggiarono dal
raccogliere la disponibilità, visto che, in prospettiva, si sarebbe trattato
comunque di un alloggio temporaneo.
Abbiamo perciò sondato, a settembre, la disponibilità della
comunità di Via Nosadella a ospitarci secondo certe condizioni di autonomia, ma
la comunità di Nosadella non ne vedeva la fattibilità.
Ora che il gruppo si era di nuovo consolidato e rafforzato, con il consenso dato dalla CM a Mariolina di inserirsi nel progetto, la coperta si scopriva dalla parte della struttura di residenza. E qui la provvidenza ha scoperto un’altra carta. Don Vittorio Zanata, parroco a San Donnino, stava per lasciare la canonica per la cessazione del suo mandato. La parrocchia di San Donnino veniva affidata alla cura pastorale di don Marco Grossi e così siamo tornati da lui con un’altra proposta: abitare temporaneamente nella canonica di San Donnino. Anche questa volta lo abbiamo trovato benevolmente disponibile.
Così, con il consenso del vescovo, del parroco e del Provinciale
p. Enzo Brena, che nel frattempo aveva assunto l’incarico, abbiamo incominciato
ad organizzare la nostra convivenza temporanea a San Donnino.
L’accoglienza che la comunità parrocchiale ci ha riservato e la
simpatia con la quale ci sta accompagnando è superiore a ogni nostro merito e
ogni nostro operato. Credo fermamente che sia un segno della provvidenza.
Ad ogni porta che si è chiusa, un portone si è aperto. Ci siamo
installati – all’insegna della precarietà – a San Donnino, dove condividiamo la
vita quotidiana e domestica, restando dediti ciascuno (Elvira, Marcello,
Mariolina e Maurizio; Francesco al momento deve dedicarsi alla madre ammalata)
ai propri impegni.
Condividere la vita quotidiana vuol dire pensare all’andamento
della casa senza assumere collaboratori e nel contempo non trascurare
l’inserimento nel territorio; è sorta così un’espressione spontanea di
fraternità semplice. Ciascuno si è messo in gioco e ha messo a disposizione
quello che sapeva già fare, ma anche attento ad apprendere dall’altro quello
che sapeva fare all’incirca. È venuta fuori così una gara di solidarietà nel
prevenire quello di cui l’altro avrebbe potuto aver bisogno, ma anche di
comunicazione profonda e di messa in comune del nostro “essere”.
La nostra attenzione non tanto ai nostri bisogni, ma soprattutto
alla condivisione del nostro essere e saper fare ci ha portato a testimoniare
la gioia del vivere insieme.
Ogni giorno condividiamo con la comunità parrocchiale l’eucaristia
del mattino, le lodi e l’adorazione la sera; la domenica proponiamo i vespri.
I pochi che vivono insieme a San Donnino sono solo una
minoranza-rappresentanza del gruppo più ampio, al quale partecipano (al
momento) Flavia, Giuseppe, Mimma, Silvano, Martina, Serafina, Alessandro,
Lorenzo. Abbiamo sempre tenuto a custodire come una specialità della nostra
fraternità accoglierci secondo le modalità di adesione che sono possibili a
ciascuno. Non c’è una o due sole modalità rigide di appartenenza; ciascuno
partecipa per quanto gli è consentito dalle circostanze e dalle responsabilità
che ciascuno si è assunto verso altri. È fondamentale che ognuno si sappia
accolto e si senta invitato a dare il suo apporto perché insieme si possa
crescere nella fraternità.
I membri del gruppo sanno che lì è casa di tutti, tutti hanno la
chiave e possono venire e sostare quando vogliono. Ogni giovedì ci troviamo
tutti insieme per pregare, cenare e incontrarci
intorno alla Parola di Dio o ai problemi di vita quotidiana.
L’andamento a pendolo della nostra avventura ci ha portati a pagare
ora il prezzo forse più alto: p. Enzo Franchini, che ha ispirato, alimentato e
sostenuto (e credo lo faccia ancora) il nostro progetto e percorso non se l’è
sentita di affrontare un trasferimento, tanto più se temporaneo, alla sua età e
nelle sue condizioni e ha chiesto di essere inserito nella comunità di
Bolognano. A Santo Stefano è stato con noi a San Donnino tutto il giorno e ci
ha ancora una volta profondamente ispirati.
Sono curioso di vedere quale sarà la prossima mossa della
Provvidenza, perché sono fiducioso che, per quanto ci chiede, di più ci dà.
Marcello