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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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“Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Sal 92,15)
Posted by Carmela Tascone

Premessa

In premessa a questa riflessione vorrei prendere a riferimento quanto emerso dalla ricerca sull’Invecchiamento Attivo, realizzata l’anno scorso dalla CIIS.

Penso che partire dall’ascolto sia sempre positivo per favorire una maggiore concretezza nell’affrontare le questioni.

A livello generale, le risposte fanno emergere la necessità di non dare per scontato il tema dell’invecchiamento attivo e di mantenere alta l’attenzione a questo riguardo, soprattutto perché in esso si «riassumono» diversi aspetti di senso e di significato del vivere, in particolare del vivere una vocazione di consacrazione secolare.

Ovviamente, rinvio alla lettura della ricerca, facendo riferimento alle fasce di età specifiche: 55-60 anni; 6170; 71-80; oltre gli 80 anni. Qui riprendo solo qualche considerazione.

a) I dati relativi agli impegni extra professionali evidenziano come prevalente l’impegno in ambito ecclesiale.

Che cosa significa? Vi è da rimettere al centro la secolarità? Si pone una questione in ordine al discernimento circa la modalità specifica di essere presenti nel mondo?

Certamente, anche nel vivere l’impegno ecclesiale vi è una connotazione data dalla secolarità, a partire sia dagli impegni stessi sia dalle modalità con cui si affrontano.

Vi è un discernimento circa quale impegno ecclesiale sia prioritario per i membri degli Istituti Secolari? Vi è qualche impegno da privilegiare?

In ogni caso, sarebbe importante mettere a tema la questione a partire dai bisogni del tempo che possono richiedere una presenza, ad esempio, nel campo della formazione della coscienza e quindi una catechesi che risponda a questa esigenza; oppure vi è un modo di essere ministro straordinario della comunione che allarghi l’ascolto alla vita delle persone anziane e/o ammalate.

b) Per quanto riguarda gli impegni di carattere sociale emerge come grandemente rilevante il volontariato. Forse, sarebbe importante mettere a tema un approfondimento al riguardo, sempre nella prospettiva della nostra specificità. Cioè vi sono urgenze prioritarie a cui rispondere e che chiedono una maggiore presenza di chi è impegnato in una vocazione come la nostra?

Vi sono aspetti da prendere in considerazione circa la modalità con cui si esplica l’impegno nel volontariato? Vi è una specificità per chi vive nella secolarità consacrata o attenzioni ai bisogni da mettere a tema?

Vi è la necessità di puntare sulla formazione? Quale formazione? Le diverse forme di

volontariato fanno crescere anche nella dimensione collaborativa? Vi è qualche aspetto

su cui riflettere al riguardo?

In sostanza, se il volontariato vede una consistente partecipazione dei membri degli Istituti secolari (sempre tenendo conto che gli impegni sociali, in totale, rappresentano solo il 27% degli impegni extraprofessionali), forse varrebbe la pena investire con uno sguardo lungimirante sia rispetto al discernimento delle priorità di presenza sia rispetto alla formazione, con particolare riferimento alle motivazioni e alle competenze.

c) La scarsa presenza negli impegni di carattere culturale e politico/amministrativo merita una riflessione approfondita per tentare di capirne le motivazioni. Certo ogni valutazione richiede una giusta prudenza, poiché siamo in presenza di una restituzione di questionari intorno all’8% del totale dei membri, ma questo vale anche per gli altri settori; quindi si può dire che viene rilevata una linea di tendenza che, quantomeno, andrebbe indagata ulteriormente.

Ci si potrebbe chiedere da che cosa può essere determinata questa situazione: provenienza dei membri che ne determina gli interessi? Frantumazione del contesto sociale che spinge ad un forte individualismo? Carenza di ambiti associativi che orientino all’impegno culturale e politico/amministrativo? Clericalizzazione del laicato? Scarsa sensibilità degli IS nel discernimento di potenziali presenze in questi ambiti?

Considerazione negativa della politica e scarsa rilevanza data alla cultura da parte degli Istituti? Ovviamente, le considerazioni precedenti vanno poi calate nelle diverse fasce di età per coglierne le differenze. In particolare la fascia più giovane appare quella più sbilanciata verso l’impegno ecclesiale e, all’interno di questo, verso l’impegno in Istituto: ciò significa che su di essa si riversano completamente le esigenze di conduzione delle comunità? È troppo difficile tenere insieme impegno nel mondo e accompagnamento dell’Istituto? Sarebbe azzardato trarre conclusioni o esprimere giudizi, qui si vuole solo far emergere la necessità di una riflessione che, tra l’altro, chiamerebbe in causa la specificità della vocazione secolare anche nella proposta di questo percorso alle generazioni più giovani.

d) Dalle risposte relative agli aiuti ricevuti, circa la preparazione all’invecchiamento attivo, e quelli necessari, da una parte, emerge che la preparazione è consistita e consiste, sostanzialmente, in un cammino personale (preghiera, riflessione, esperienze positive nella quotidianità), e, dall’altra, una chiara domanda di essere maggiormente aiutati a riferirsi al carisma, ad approfondire il tema e ad aggiornarsi al riguardo, a parlarne in comunità, ad essere educati ad un uso sapiente del tempo a disposizione, ad essere accompagnati nel cammino personale.

Come si può notare le attese sono molteplici e sono anche espresse, nel corso dell’analisi, in ordine di priorità. Si apre uno spazio di lavoro sia per gli Istituti sia per la CIIS, in particolare per quei temi trasversali agli Istituti stessi, quali ad esempio, l’aggiornamento e l’approfondimento circa l’invecchiamento attivo e l’educazione all’uso sapiente del tempo.

e) La richiesta di essere aiutati a riferirsi al carisma chiederebbe, forse, un approfondimento a parte: intanto la domanda è diversificata nelle diverse fasce, più accentuata in quelle di età più alta. Che cosa significa? Il tema era più richiamato nel passato? Si confonde la necessaria attualizzazione, attraverso la custodia di ciò che è essenziale, con una sorta di rimozione dell’intuizione originaria perché poco approfondita? Come si può attualizzare il carisma se non si conoscono le origini collocate nel tempo, ma le cui costanti restano universali? Come leggere le costanti universali di un carisma?

f) Le risposte relative agli aiuti necessari e ai suggerimenti offerti per camminare nell’invecchiamento attivo sono da tenere insieme per una lettura articolata dei dati.

Si può osservare che la domanda più alta è quella educativa (che comprende anche la formazione, ma che non è solo formazione). Si tratta, quindi, di offrire «itinerari di vita» e non solo programmi formativi. Cioè, sembra di cogliere che l’attesa più consistente sia quella di rinverdire il cammino, di trovare il senso della vita sempre, in ogni età, di mantenere viva la vocazione.

Di fatto, dalle risposte ricevute, è scaturita un’interessante riflessione e, sostanzialmente, è maturata la consapevolezza che esse possano rappresentare uno spaccato utile per il cammino di tutte, in ogni stagione della vita.

Quindi, la prospettiva in cui collocare la riflessione di oggi deve essere quella di accompagnare il cammino di tutte e di ciascuna, convinte che la vocazione è per la vita e non per un determinato periodo di essa. La vocazione viene prima della intensità del fare: la vocazione è per la pienezza dell’essere. Certamente, la pienezza richiede sempre l’attento e vigile discernimento per non cadere, dietro ad una diminuzione di impegni, in una sorta di pigrizia spirituale che fa indietreggiare davanti alle possibili chiamate che il Signore ci va presentando.

Quindi lo spirito che deve condurci deve essere quello della ricerca della volontà del Signore circa il cammino. Egli deve continuare a “darci forma”, infatti non si interrompe la sequela, semplicemente essa può assumere contorni diversi, può interpellare nuove disponibilità. Sicuramente il Signore è per la nostra gioia e per la nostra vita: non permetterà che il nostro cuore si chiuda alla novità del Vangelo.

Sappiamo bene che La vita professionale dà forma al tempo di vita di ciascuno, ha delle ricadute sulle relazioni che si hanno e ne crea delle altre determinanti (con i colleghi, con chi ha responsabilità nei luoghi di lavoro, ecc.).

Le relazioni quotidiane costruite nel tempo di lavoro, dopo averlo lasciato, poco alla volta vengono meno, ciò può far avvertire un impoverimento: è una situazione delicata, diventa importante non cedere al ripiegamento.

A questa mutazione di rapporti ci si deve preparare, anche se, quando essa arriva, non mancherà la fatica, dobbiamo, comunque, rimetterci nelle mani del Signore.

Affidarci a Lui ci consente, poco per volta, di custodire e ricreare relazioni gratuite e vere, negli spazi nuovi che Egli aprirà davanti a noi….

Probabilmente sarà importante riprendere in mano la nostra vita per non considerarla “derubata” di ciò che l’alimentava, per ridefinirla, nella consapevolezza che i doni che il Signore ci ha fatto, in molti anni, non vengono meno.

Durante l’attività lavorativa si è costruito un patrimonio di conoscenze, di esperienza, di impegno sociale, di dedizione nell’apostolato.

Il lavoro, spesso, è anche il luogo principale del nostro apostolato.

Quindi, quando cessa il lavoro in quali ambiti orientarci?

Quali criteri per discernere gli ambiti di impegno nel tempo del pensionamento?

Di quali aiuti abbiamo bisogno?

Quali atteggiamenti possono aiutarci nella ricerca?

Smettere di lavorare comporta il riprendere in considerazione l’utilizzo del tempo, non più scandito da orari previsti a prescindere da noi, chiede di rimetterci in gioco, nonostante la sensazione di smarrimento che può colorare le nostre giornate che diventano così diverse e tutte da rimodulare.

È come prendere improvvisamente atto che il tempo è passato in fretta e che si apre una fase nuova, tutta da reimpostare. Ci può prendere un senso di solitudine.

Nel frattempo, anche il corpo invecchia. Questo aspetto non va trascurato ed è bene prenderne consapevolezza. Viviamo in un tempo che nega gli effetti dell’età: così come è allontanato il pensiero della morte, probabilmente si allontanano anche i cambiamenti che l’età che avanza provoca sul nostro corpo. Aiutiamoci ad invecchiare con il cuore “abitato e sereno”.

La preghiera, la riflessione personale, l’ascolto della Parola diventano fondamentali per ritornare alle origini e ridire, con molta semplicità, al Signore della nostra vita: “Gesù aiutami a ridirti il mio sì, a rinnovare la mia offerta, conducimi Tu per le strade nuove che vorrai, sia fatta la tua volontà oggi e sempre”.

Alcune sottolineature

· Diciamo subito che è del tutto normale sentire la paura d’invecchiare. Essa si rafforza, nella nostra società, anche attraverso le forme della pubblicità che privilegiano, sempre e comunque, il giovane, il bello e chi non presenta limiti. Questo continuo rimuovere la realtà costringe molti anziani a chiudersi in se stessi e a dimenticare l’esperienza e la saggezza “imparata” dalla vita. Altrettanto normale e necessario avvertire e accettare in modo cosciente e libero il distacco dell’uscita dal lavoro o al termine della giovinezza, oppure dovuto alla morte di familiari e colleghi, ecc.

· Sembra che oggi vi sia una maggiore consapevolezza dell’importanza di prepararsi a questa fase della vita e non solo caderci dentro all’improvviso. È necessario preparare questa tappa. L’invecchiamento comporta dei problemi biologici e fisiologici, psicologici e spirituali che possono creare difficoltà: nascono dentro domande ineludibili: Chi sono io? Che senso ha la mia vita? Come ho passato gli anni che ho vissuto? Come posso vivere bene i prossimi, ultimi anni?

· Come ogni crisi esistenziale, anche questa, per essere vissuta e non subita, chiede un rinnovamento del cuore, un affinamento interiore. Questo vale per tutti, a nessuno è dato il permesso di vivere questa fase della vita in tono minore, di diventare mediocri. Ma noi dovremmo avere ragioni profonde per viverla senza ripiegamenti.

· E bene conoscere alcuni sentimenti come, ad esempio, Il senso di inutilità: conclusa la fase attiva, si corre il rischio di sentirsi inutile, di lasciarsi prendere da una sorta di apatia, con la conseguenza di perdere la propria autostima e lasciandosi un po’ andare.

· Si avverte anche una pesante solitudine: non tanto quella solitudine costitutiva e inevitabile, in particolare di fronte a decisioni difficili, ma quella solitudine che isola, che impedisce di dialogare con il proprio mondo “che non è più quello di una volta”. Questo isolamento viene dalla mancanza di attività, dal trovarsi soli per lunghe ore della giornata. Allora nel cuore nasce una domanda seria e pericolosa: “Servo ancora a qualcosa a qualcuno?” oppure: “C’è ancora qualcuno cui io interesso?”. La paura della non autosufficienza, della malattia, dell’abbandono, della dipendenza, e soprattutto della morte.

Alcuni suggerimenti

Per reagire a questi aspetti negativi dell’invecchiamento è necessario darsi delle nuove motivazioni valide per la propria esistenza. Si tratta di un cammino che dovrebbe essere stato avviato già nelle fasi precedenti della vita, ma che in ogni modo deve essere sviluppato. Alcuni suggerimenti:

a) Mettere le radici della propria esistenza in valori duraturi e non effimeri (successo negli affari, carriera, bellezza, prestanza fisica, capacità di lavoro ecc.) non legati solo al fare, all’avere, al potere, ecc., ma all’essere della persona, perché solo questo permane quando il resto viene meno.

b) Trovare pur dentro i propri limiti oggettivi e soggettivi un ruolo o un impegno significativo per sé e, possibilmente, utile gli altri. Pur tenendo conto dei nostri bisogni dobbiamo cercare di toglierci dal centro per rivolgerci agli altri mettendo al loro servizio la maturità e la saggezza in cui si può crescere fino alla fine.

c) Mantenere, per quanto possibile, la propria autosufficienza, ossia la capacità di autoregolarsi, di essere autonomi nelle decisioni (cioè non crearsi delle dipendenze) e nelle risposte ai propri bisogni, di saper organizzare il proprio tempo libero. L’atteggiamento corretto è quello di non sciupare il tempo.

d) Promuovere la duttilità mentale, cioè un nuovo modo di usare e offrire le proprie conoscenze e l’esperienza accumulata nel corso della vita precedente, mantenendo nello stesso tempo su di esse una prospettiva distaccata. Questa distanza, voluta e coltivata, porta alla flessibilità mentale, ad accettare il diverso, a relativizzare le idee e le sensibilità personali, a non assolutizzare i propri desideri, il proprio punto di vista, i sogni e le speranze, le paure e le ansie, liberandosi da un modo di pensare prefabbricato che alla fine impedisce di accettare e ascoltare gli altri. La realtà di ogni giorno non si divide in “bianco o nero”, chiaramente distinti, ma presenta piuttosto delle ampie zone di “grigio” che lasciano sconcertato chi vuole chiarire tutto sulla base di una rigida logica matematica.

e) Rinnovare le relazioni personali per sfuggire al rischio dell’isolamento: i frutti, che dipendono molto anche dall’impegno messo in campo in età giovane/adulta, possono essere quelli di una maggiore intimità con le persone e con il Signore. Forse dovremmo ricordarci di più che l’obiettivo non è quello di cercare a tutti i costi una vita di relazioni come quella della prima età adulta, ma di elaborare e potenziare la comunicazione e la comunione, compatibili con la nuova situazione: ricercando nuove forme di reciprocità, che permettono di sviluppare una rete di amicizie attraverso le quali esprimere la preoccupazione per il bene degli altri, ai quali ci si avvicina con fiducia e sincera attenzione. Dovrebbe nascere un nuovo tipo di relazione interpersonale segnato dalla tenerezza,

all’accoglienza e dalla compagnia e, in una parola, dalla gratuità.

f) Passare dalla rapidità e tempestività d’azione, proprie della giovinezza, alla ponderatezza dell’età matura, senza scadere nell’inerzia o nella passività. Ma questa disposizione d’animo non si acquisisce una volta per tutte, in un istante. Dobbiamo vincere la tentazione di un atteggiamento giovanilistico e fuori tempo per proporci nuovi ideali e obiettivi possibili e in armonia con la nuova situazione. Sapere, per esempio, consigliare una persona più giovane invece di voler tenere ancora tutto saldamente nelle proprie mani; accettare volentieri un ruolo in seconda fila invece di pretendere di essere sempre in primo piano, davanti agli altri. Non è facile accontentarsi di fare il secondo specialmente per chi è stato in posizione di autorità. Ma solo se sappiamo accettare questi ruoli secondari, permetteremo agli altri di emergere e di affermarsi. Tirarsi da parte è quindi un atto di amore verso gli altri.

g) Superare l’eccessiva preoccupazione di sé per giungere all’attenzione, alla compassione e alla saggezza. Anzitutto superare l’esagerata preoccupazione per il proprio benessere, (conosciamo l’eccessiva importanza che la nostra cultura attribuisce al corpo e all’apparire sempre giovani), per valorizzare l’interiorità e quegli elementi essenziali che fanno di noi persone di carattere e di bellezza interiore. Cercare di allargare il proprio perimetro che, a causa dell’esperienza passata, spesso coincide con il lavoro. È il momento di espandere i propri interessi. Possiamo trovare una diversa (e forse più ampia) realizzazione di noi stesse, assumendo servizi di volontariato nel campo della cultura, del servizio civile, della politica o del sociale.

h) La terza età può essere infine la stagione opportuna per sviluppare aspetti della propria personalità non sviluppati nel corso degli anni attivi. Allargare gli spazi interiori della nostra persona per includervi la morte. Dobbiamo aiutarci e farci aiutare a considerare e accettare la realtà della morte, come la “perdita” del nostro io individuale e separato per entrare in una vita senza confini né di tempo né di spazio e in una comunione con l’umanità intera. Non è certo un passaggio facile ed ancor meno spontaneo. Esso richiede di passare per una vera “notte oscura” andando al di là della sola preoccupazione per la propria sopravvivenza.

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