In premessa a questa
riflessione vorrei prendere a riferimento quanto emerso dalla ricerca
sull’Invecchiamento Attivo, realizzata l’anno scorso dalla CIIS.
Penso che partire
dall’ascolto sia sempre positivo per favorire una maggiore concretezza
nell’affrontare le questioni.
A livello generale, le
risposte fanno emergere la necessità di non dare per scontato il tema
dell’invecchiamento attivo e di mantenere alta l’attenzione a questo
riguardo, soprattutto perché in esso si «riassumono»
diversi aspetti di senso e di significato del vivere, in particolare del vivere
una vocazione di consacrazione secolare.
Ovviamente, rinvio alla
lettura della ricerca, facendo riferimento alle fasce di età specifiche: 55-60
anni; 6170; 71-80; oltre gli 80 anni. Qui riprendo solo qualche
considerazione.
a) I
dati relativi agli impegni extra professionali evidenziano come prevalente l’impegno in ambito ecclesiale.
Che cosa significa? Vi è
da rimettere al centro la secolarità? Si pone una questione in ordine al
discernimento circa la modalità specifica di essere presenti nel mondo?
Certamente, anche nel
vivere l’impegno ecclesiale vi è una connotazione data dalla secolarità, a
partire sia dagli impegni stessi sia dalle modalità con cui si affrontano.
Vi è un discernimento
circa quale impegno ecclesiale sia prioritario per i membri degli Istituti
Secolari? Vi è qualche impegno da privilegiare?
In ogni caso, sarebbe
importante mettere a tema la questione a partire dai bisogni del tempo che
possono richiedere una presenza, ad esempio, nel campo della formazione della
coscienza e quindi una catechesi che risponda a questa esigenza; oppure vi è un
modo di essere ministro straordinario della comunione che allarghi l’ascolto
alla vita delle persone anziane e/o ammalate.
b) Per
quanto riguarda gli impegni di carattere sociale emerge come grandemente rilevante
il volontariato. Forse, sarebbe importante mettere a tema un approfondimento al
riguardo, sempre nella prospettiva della nostra specificità. Cioè vi sono
urgenze prioritarie a cui rispondere e che chiedono una maggiore presenza di
chi è impegnato in una vocazione come la nostra?
Vi sono aspetti da
prendere in considerazione circa la modalità con cui si esplica l’impegno nel
volontariato? Vi è una specificità per chi vive nella secolarità consacrata o
attenzioni ai bisogni da mettere a tema?
Vi è la necessità di
puntare sulla formazione? Quale formazione? Le diverse forme di
volontariato fanno
crescere anche nella dimensione collaborativa? Vi è qualche aspetto
su cui riflettere al
riguardo?
In sostanza, se il
volontariato vede una consistente partecipazione dei membri degli Istituti
secolari (sempre tenendo conto che gli impegni sociali, in totale,
rappresentano solo il 27% degli impegni extraprofessionali), forse varrebbe la
pena investire con uno sguardo lungimirante sia rispetto al discernimento delle
priorità di presenza sia rispetto alla formazione, con particolare riferimento
alle motivazioni e alle competenze.
c) La
scarsa presenza negli impegni di carattere culturale e politico/amministrativo merita
una riflessione approfondita per tentare di capirne le motivazioni. Certo ogni
valutazione richiede una giusta prudenza, poiché siamo in presenza di una
restituzione di questionari intorno all’8% del totale dei membri, ma questo
vale anche per gli altri settori; quindi si può dire che viene rilevata una
linea di tendenza che, quantomeno, andrebbe indagata ulteriormente.
Ci si potrebbe chiedere da
che cosa può essere determinata questa situazione: provenienza dei membri che
ne determina gli interessi? Frantumazione del contesto sociale che spinge ad un
forte individualismo? Carenza di ambiti associativi che orientino all’impegno
culturale e politico/amministrativo? Clericalizzazione del laicato? Scarsa
sensibilità degli IS nel discernimento di potenziali presenze in questi ambiti?
Considerazione negativa
della politica e scarsa rilevanza data alla cultura da parte degli Istituti?
Ovviamente, le considerazioni precedenti vanno poi calate nelle diverse fasce
di età per coglierne le differenze. In particolare la fascia più giovane appare
quella più sbilanciata verso l’impegno ecclesiale e, all’interno di questo,
verso l’impegno in Istituto: ciò significa che su di essa si riversano
completamente le esigenze di conduzione delle comunità? È troppo difficile
tenere insieme impegno nel mondo e accompagnamento dell’Istituto? Sarebbe
azzardato trarre conclusioni o esprimere giudizi, qui si vuole solo far
emergere la necessità di una riflessione che, tra l’altro, chiamerebbe in causa
la specificità della vocazione secolare anche nella proposta di questo percorso
alle generazioni più giovani.
d) Dalle
risposte relative agli aiuti ricevuti, circa la preparazione all’invecchiamento attivo, e quelli necessari, da
una parte, emerge che la preparazione è consistita e consiste, sostanzialmente,
in un cammino personale (preghiera, riflessione, esperienze positive nella quotidianità),
e, dall’altra, una chiara domanda di essere maggiormente aiutati a riferirsi al
carisma, ad approfondire il tema e ad aggiornarsi al riguardo, a parlarne in
comunità, ad essere educati ad un uso sapiente del tempo a disposizione, ad
essere accompagnati nel cammino personale.
Come si può notare le
attese sono molteplici e sono anche espresse, nel corso dell’analisi, in ordine
di priorità. Si apre uno spazio di
lavoro sia per gli Istituti sia per la CIIS, in particolare per quei temi
trasversali agli Istituti stessi, quali ad esempio, l’aggiornamento e
l’approfondimento circa l’invecchiamento attivo e l’educazione all’uso sapiente
del tempo.
e) La richiesta di essere
aiutati a riferirsi al carisma chiederebbe, forse, un
approfondimento a parte: intanto la domanda è diversificata nelle diverse
fasce, più accentuata in quelle di età più alta. Che cosa significa? Il tema
era più richiamato nel passato? Si confonde la necessaria attualizzazione,
attraverso la custodia di ciò che è essenziale, con una sorta di rimozione
dell’intuizione originaria perché poco approfondita? Come si può attualizzare
il carisma se non si conoscono le origini collocate nel tempo, ma le cui
costanti restano universali? Come leggere le costanti universali di un carisma?
f) Le risposte relative agli
aiuti necessari e ai suggerimenti offerti per camminare nell’invecchiamento attivo sono
da tenere insieme per una lettura articolata dei dati.
Si può osservare che la
domanda più alta è quella educativa
(che comprende anche la formazione, ma che non è solo formazione). Si tratta,
quindi, di offrire «itinerari di vita» e non solo programmi formativi. Cioè, sembra di
cogliere che l’attesa più consistente sia quella di rinverdire il cammino, di
trovare il senso della vita sempre, in ogni età, di mantenere viva la
vocazione.
Di fatto, dalle risposte ricevute, è scaturita un’interessante
riflessione e, sostanzialmente, è maturata la consapevolezza che esse possano
rappresentare uno spaccato utile per il cammino di tutte, in ogni stagione
della vita.
Quindi lo spirito che deve
condurci deve essere quello della ricerca della volontà del Signore circa il
cammino. Egli deve continuare a “darci forma”, infatti non si interrompe la
sequela, semplicemente essa può assumere contorni diversi, può interpellare
nuove disponibilità. Sicuramente il Signore è per la nostra gioia e per la
nostra vita: non permetterà che il nostro cuore si chiuda alla novità del
Vangelo.
Sappiamo bene che La
vita professionale dà forma al tempo di vita di ciascuno, ha delle ricadute sulle relazioni che si hanno e ne crea delle altre
determinanti (con i colleghi, con chi ha responsabilità nei luoghi di
lavoro, ecc.).
Le relazioni quotidiane
costruite nel tempo di lavoro, dopo averlo lasciato, poco alla volta vengono
meno, ciò può far avvertire un impoverimento: è una situazione delicata,
diventa importante non cedere al ripiegamento.
A questa mutazione di rapporti ci si deve preparare, anche se, quando essa
arriva, non mancherà la fatica, dobbiamo, comunque, rimetterci nelle mani del
Signore.
Affidarci a Lui ci consente, poco per volta, di custodire e
ricreare relazioni gratuite e vere, negli spazi nuovi che Egli aprirà davanti a
noi….
Probabilmente sarà
importante riprendere in mano la nostra vita per non considerarla “derubata” di
ciò che l’alimentava, per ridefinirla, nella consapevolezza che i doni che il
Signore ci ha fatto, in molti anni, non vengono meno.
Durante l’attività
lavorativa si è costruito un patrimonio di conoscenze, di esperienza, di
impegno sociale, di dedizione nell’apostolato.
Il lavoro, spesso, è anche il luogo principale del nostro
apostolato.
Quindi, quando cessa il
lavoro in quali ambiti orientarci?
Quali criteri per
discernere gli ambiti di impegno nel tempo del pensionamento?
Di quali aiuti abbiamo
bisogno?
Quali atteggiamenti
possono aiutarci nella ricerca?
Smettere di lavorare comporta il riprendere in considerazione
l’utilizzo del tempo,
non più scandito da orari previsti a prescindere da noi, chiede di rimetterci
in gioco, nonostante la sensazione di smarrimento che può colorare le nostre
giornate che diventano così diverse e tutte da rimodulare.
È come prendere
improvvisamente atto che il tempo è passato in fretta e che si apre una fase
nuova, tutta da reimpostare. Ci può prendere un senso di solitudine.
Nel frattempo, anche il corpo invecchia. Questo
aspetto non va trascurato ed è bene prenderne consapevolezza. Viviamo in un tempo che nega gli effetti
dell’età: così come è allontanato il pensiero della morte, probabilmente si
allontanano anche i cambiamenti che l’età che avanza provoca sul nostro
corpo. Aiutiamoci ad invecchiare con il
cuore “abitato e sereno”.
La preghiera, la riflessione personale, l’ascolto della Parola
diventano fondamentali per ritornare alle origini e ridire, con molta
semplicità, al Signore della nostra vita: “Gesù
aiutami a ridirti il mio sì, a rinnovare la mia offerta, conducimi Tu per le
strade nuove che vorrai, sia fatta la tua volontà oggi e sempre”.
· Diciamo
subito che è del tutto normale sentire la paura d’invecchiare. Essa si
rafforza, nella nostra società, anche attraverso le forme della pubblicità che
privilegiano, sempre e comunque, il giovane, il bello e chi non presenta
limiti. Questo continuo rimuovere la realtà costringe molti anziani a chiudersi
in se stessi e a dimenticare l’esperienza e la saggezza “imparata” dalla vita.
Altrettanto normale e necessario avvertire e accettare in modo cosciente e
libero il distacco dell’uscita dal lavoro o al termine della giovinezza, oppure
dovuto alla morte di familiari e colleghi, ecc.
· Sembra
che oggi vi sia una maggiore consapevolezza dell’importanza di prepararsi a
questa fase della vita e non solo caderci dentro all’improvviso. È necessario
preparare questa tappa. L’invecchiamento comporta dei problemi biologici e
fisiologici, psicologici e spirituali che possono creare difficoltà: nascono
dentro domande ineludibili: Chi sono io? Che senso ha la mia vita? Come ho
passato gli anni che ho vissuto? Come posso vivere bene i prossimi, ultimi
anni?
· Come
ogni crisi esistenziale, anche questa, per essere vissuta e non subita, chiede
un rinnovamento del cuore, un affinamento interiore. Questo vale per tutti, a
nessuno è dato il permesso di vivere questa fase della vita in tono minore, di
diventare mediocri. Ma noi dovremmo avere ragioni profonde per viverla senza
ripiegamenti.
· E
bene conoscere alcuni sentimenti come, ad esempio, Il senso di inutilità:
conclusa la fase attiva, si corre il rischio di sentirsi inutile, di lasciarsi
prendere da una sorta di apatia, con la conseguenza di perdere la propria
autostima e lasciandosi un po’ andare.
· Si
avverte anche una pesante solitudine: non tanto quella solitudine costitutiva e
inevitabile, in particolare di fronte a decisioni difficili, ma quella
solitudine che isola, che impedisce di dialogare con il proprio mondo “che non
è più quello di una volta”. Questo isolamento viene dalla mancanza di attività,
dal trovarsi soli per lunghe ore della giornata. Allora nel cuore nasce una
domanda seria e pericolosa: “Servo ancora a qualcosa a qualcuno?” oppure: “C’è ancora qualcuno cui io
interesso?”. La paura della non autosufficienza, della malattia, dell’abbandono,
della dipendenza, e soprattutto della morte.
Per
reagire a questi aspetti negativi dell’invecchiamento è necessario darsi delle
nuove motivazioni valide per la propria esistenza. Si tratta di un cammino che
dovrebbe essere stato avviato già nelle fasi precedenti della vita, ma che in
ogni modo deve essere sviluppato. Alcuni
suggerimenti:
a) Mettere
le radici della propria esistenza in valori duraturi e non effimeri (successo
negli affari, carriera, bellezza, prestanza fisica, capacità di lavoro ecc.)
non legati solo al fare, all’avere, al potere, ecc., ma all’essere della
persona, perché solo questo permane quando il resto viene meno.
b) Trovare
pur dentro i propri limiti oggettivi e soggettivi un ruolo o un impegno
significativo per sé e, possibilmente, utile gli altri. Pur tenendo conto dei
nostri bisogni dobbiamo cercare di toglierci dal centro per rivolgerci agli
altri mettendo al loro servizio la maturità e la saggezza in cui si può
crescere fino alla fine.
c) Mantenere,
per quanto possibile, la propria autosufficienza, ossia la capacità di
autoregolarsi, di essere autonomi nelle decisioni (cioè non crearsi delle
dipendenze) e nelle risposte ai propri bisogni, di saper organizzare il proprio
tempo libero. L’atteggiamento corretto è quello di non sciupare il tempo.
d) Promuovere
la duttilità mentale, cioè un nuovo modo di usare e offrire le proprie
conoscenze e l’esperienza accumulata nel corso della vita precedente,
mantenendo nello stesso tempo su di esse una prospettiva distaccata. Questa
distanza, voluta e coltivata, porta alla flessibilità mentale, ad accettare il
diverso, a relativizzare le idee e le sensibilità personali, a non
assolutizzare i propri desideri, il proprio punto di vista, i sogni e le
speranze, le paure e le ansie, liberandosi da un modo di pensare prefabbricato
che alla fine impedisce di accettare e ascoltare gli altri. La realtà di ogni
giorno non si divide in “bianco o nero”, chiaramente distinti, ma presenta
piuttosto delle ampie zone di “grigio” che lasciano sconcertato chi vuole
chiarire tutto sulla base di una rigida logica matematica.
e) Rinnovare
le relazioni personali per sfuggire al rischio dell’isolamento: i frutti, che
dipendono molto anche dall’impegno messo in campo in età giovane/adulta,
possono essere quelli di una maggiore intimità con le persone e con il Signore.
Forse dovremmo ricordarci di più che l’obiettivo non è quello di cercare a
tutti i costi una vita di relazioni come quella della prima età adulta, ma di
elaborare e potenziare la comunicazione e la comunione, compatibili con la
nuova situazione: ricercando nuove forme di reciprocità, che permettono di
sviluppare una rete di amicizie attraverso le quali esprimere la preoccupazione
per il bene degli altri, ai quali ci si avvicina con fiducia e sincera
attenzione. Dovrebbe nascere un nuovo tipo di relazione interpersonale segnato
dalla tenerezza,
all’accoglienza e dalla
compagnia e, in una parola, dalla gratuità.
f) Passare
dalla rapidità e tempestività d’azione, proprie della giovinezza, alla
ponderatezza dell’età matura, senza scadere nell’inerzia o nella passività. Ma
questa disposizione d’animo non si acquisisce una volta per tutte, in un
istante. Dobbiamo vincere la tentazione
di un atteggiamento giovanilistico e fuori tempo per proporci nuovi ideali e
obiettivi possibili e in armonia con la nuova situazione. Sapere, per esempio,
consigliare una persona più giovane invece di voler tenere ancora tutto
saldamente nelle proprie mani; accettare volentieri un ruolo in seconda fila
invece di pretendere di essere sempre in primo piano, davanti agli altri. Non è
facile accontentarsi di fare il secondo specialmente per chi è stato in
posizione di autorità. Ma solo se sappiamo accettare questi ruoli secondari,
permetteremo agli altri di emergere e di affermarsi. Tirarsi da parte è quindi
un atto di amore verso gli altri.
g) Superare
l’eccessiva preoccupazione di sé per giungere all’attenzione, alla compassione
e alla saggezza. Anzitutto superare l’esagerata preoccupazione per il proprio
benessere, (conosciamo l’eccessiva importanza che la nostra cultura attribuisce
al corpo e all’apparire sempre giovani), per valorizzare l’interiorità e quegli
elementi essenziali che fanno di noi persone di carattere e di bellezza
interiore. Cercare di allargare il proprio perimetro che, a causa
dell’esperienza passata, spesso coincide con il lavoro. È il momento di espandere
i propri interessi. Possiamo trovare una diversa (e forse più ampia)
realizzazione di noi stesse, assumendo servizi di volontariato nel campo della
cultura, del servizio civile, della politica o del sociale.
h) La
terza età può essere infine la stagione opportuna per sviluppare aspetti della
propria personalità non sviluppati nel corso degli anni attivi. Allargare gli
spazi interiori della nostra persona per includervi la morte. Dobbiamo aiutarci
e farci aiutare a considerare e accettare la realtà della morte, come la
“perdita” del nostro io individuale e separato per entrare in una vita senza
confini né di tempo né di spazio e in una comunione con l’umanità intera. Non è
certo un passaggio facile ed ancor meno spontaneo. Esso richiede di passare per
una vera “notte oscura” andando al di là della sola preoccupazione per la
propria sopravvivenza.