(prima parte)
Premessa
E’ importante
una premessa.
In che contesto
noi viviamo?
Il contesto
ecclesiale in cui si pone questo nostro momento di riflessione è caratterizzato
dallo svolgimento del Sinodo sulla Sinodalità.
Il contesto
socio-culturale, invece, è segnato dalla pandemia e dalla guerra in Europa, che
si aggiunge alle numerose guerre in atto e dalla crisi economica, divenuta
presto anche sociale ed etica, capace com’è stata di mettere a nudo le
diseguaglianze, gli abusi di potere e i comportamenti immorali di singoli
cittadini e della stessa classe dirigente. In Italia è diminuita la fiducia
nella partecipazione, ha preso piede una forma strisciante di egoistico “fai da
te” da parte di singoli e di gruppi, la disperazione si palesa nei suicidi,
nelle depressioni, in diverse forme di violenza, anche privata.
Per quanto attiene il carisma della secolarità consacrata rimane confermato lo scarso impatto che esso ha nella realtà ecclesiale e a livello di rilevanza sociale. Nella Chiesa non è più riconosciuto come una novità e, dato il limitato numero dei membri e la loro età avanzata, non incide significativamente nell’elaborazione della sua identità e della sua missione. Nella società la mancanza di fiducia nelle istituzioni ha fatto crescere il sospetto anche nei confronti delle persone impegnate cristianamente, fatte salvo quelle che operano nel campo del volontariato e della carità.
Il luogo della
santificazione personale di noi laici consacrati è, senza dubbio, il mondo con
quello che implica l’essere immersi nelle sue vicende e nella storia. Il modo
in cui esserci esige un continuo discernimento secondo la Parola di Dio e il
mistero della vita di Gesù di Nazaret, prima della sua vita pubblica, a cui far
riferimento per vivere in pienezza la vocazione secolare.
L’impegno
secolare trova la sua massima espressione nel lavoro (come impegno, esecuzione,
competenza, esercizio professionale e assolvimento del comando divino di
assoggettare le cose). Accanto ad esso e non di importanza secondaria sono le
attività di “pubblico servizio”, sia in ambito associativo che attraverso un
impegno diretto in politica. E’ edificante la testimonianza del come i primi
membri degli Istituti secolari siano riusciti a conciliare gli impegni anche
onerosi, sotto l’aspetto della presenza secolare nei vari ambiti, con fedeltà
assoluta alla preghiera, fondamentale per ogni vocazione.
Quale
testimonianza chiede a noi il Signore? E’ la domanda sempre attuale, che ci
poniamo per verificare se il nostro cristianesimo nella vita ordinaria è
rivolto tutto alla costruzione del “Regno”, senza riserve e ripensamenti.
Il cammino compiuto in questi 75 anni dagli Istituti secolari, dalla Provida Mater Ecclesia a oggi, sia a livello di riflessione teologica e magisteriale che a livello di esperienza di vita, ci permette di affrontare l’argomento di questo incontro tenendo sullo sfondo gli elementi prima ricordati.
Oggi però si
stagliano in primo piano alcune suggestioni di grande attualità, sottolineate
dal magistero di papa Francesco, che conferiscono agli Istituti secolari e al
loro carisma una rinnovata connotazione profetica.
Basti citare
alcune definizioni che il papa ha dato degli Istituti secolari all’Udienza
concessa ai Responsabili italiani il 10 maggio 2014.
A partire da
una lettura attenta del suo discorso mi sembra si possano individuare 5
suggestioni.
Custodire la
contemplazione…
… (verso il
Signore e nei confronti del mondo).
Ha a che fare
con la consacrazione.
L’espressione è
stata usata da papa Francesco nella conversazione libera. Precisamente egli ha
affermato: “E da quel tempo (il tempo
della Provida Mater) fino ad ora è tanto
grande il bene che voi fate nella Chiesa, con coraggio perché c’è bisogno di
coraggio per vivere nel mondo (…). Tutti i giorni, fare la vita di una persona
che vive nel mondo, e nello stesso tempo custodire la contemplazione, questa
dimensione contemplativa verso il Signore e anche nei confronti del mondo,
contemplare la realtà, come contemplare le bellezze del mondo, e anche i grossi
peccati della società, le deviazioni, tutte queste cose, e sempre in tensione
spirituale …”
Nella Evangelii Gaudium (EG) al n. 264 aveva scritto: “E’ urgente recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri”.
Vengono
spontanee alcune considerazioni.
Innanzitutto,
va focalizzato l’oggetto primario della nostra consacrazione che è il Signore
Gesù. È al suo amore che noi aderiamo, alla sua chiamata che noi diciamo il
nostro ‘sì’; è del suo progetto che noi ci mettiamo a servizio. La stessa
professione dei voti, quindi, va nel senso di quell’incontro personale con Gesù
che ci mette in movimento dietro di lui dentro la storia.
Va poi
specificato che, intesa in questo senso, la consacrazione non porta fuori, non
distrae, non separa dalla realtà mondana, positiva o negativa che essa sia, ma
offre piuttosto una prospettiva pasquale, di redenzione e di speranza. Addirittura,
la relazione personale con Cristo passa attraverso le vicende umane e si
sostanzia di tutto ciò che noi portiamo della nostra esistenza concreta.
Avere uno
spirito contemplativo significa allora dedicarsi consapevolmente a tutto ciò
che è bene, che rende migliore l’uomo e la società, che qualifica la storia
come ‘storia di salvezza’. Custodire la contemplazione è proprio di chi, a
diretto contatto con il mondo, ne conosce le dinamiche e vi incarna la fede
attraverso il suo vissuto.
La consacrazione
ci chiede di essere, in mezzo
agli altri, sacramento vivo di Dio. Noi siamo chiamate a manifestare questo
primato di Dio, a proclamare che Lui è al centro delle nostre vite e l’unico
vero significato della nostra esistenza. A questo scopo, mettiamo a disposizione
la visibilità, nella nostra umanità, del Dio silenzioso, nascosto, del Dio
“debole”, in modo che ancora una volta tra gli uomini e le donne del nostro
tempo possano rendersi visibili l’amore fraterno di Cristo, la paternità del
Padre, la sua misericordia, la sua tenerezza, il suo perdono, la sua speranza …
La profezia sta
nella chiamata a tenere sempre uniti fede e vita, dimensione spirituale e
vissuto concreto, celebrazione dei sacramenti e impegno storico…o, ancora
meglio, il nostro essere nel mondo e il nostro essere di Dio senza che questo
costituisca dicotomia ma generi continuità e si configuri come preannuncio del
Regno.
Camminare per
le strade del mondo e abitare le periferie…
(… in uscita,
andare oltre e in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia,
l’educazione, la famiglia…)
Ha a che fare
con la secolarità.
Anche questa
espressione è stata usata dal Papa all’Udienza, in questo preciso contesto: “Non perdete mai lo slancio di camminare per
le strade del mondo, la consapevolezza che camminare, andare anche con passo
incerto e zoppicando, è sempre meglio che stare fermi, chiusi nelle proprie
domande o nelle proprie sicurezze. La passione missionaria, la gioia
dell’incontro con Cristo che vi spinge a condividere con gli altri la bellezza
della fede, allontana il rischio di restare bloccati nell’individualismo”.
Nella EG al
n.20 aveva scritto: “Ogni cristiano e
ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti
siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e
avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della
luce del Vangelo”. E al n.46: “La
Chiesa ‘in uscita’ è una Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri per
giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una
direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da
parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze
per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre
del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà
possa entrare senza difficoltà”.
Anche qui
alcune considerazioni.
La Chiesa vive nel mondo e in dialogo con esso. Il Signore Gesù ha voluto
la Chiesa come sacramento della sua presenza di risorto nella storia. Ora
Cristo continua “a prendere l’iniziativa”,
a “precedere nell’amore, (come spiega
il n.24 dell’EG) e quindi la Chiesa è chiamata a “coinvolgersi” (“La comunità evangelizzatrice mediante opere e gesti si
mette nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino
all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana…”), ad “accompagnare” (“Conosce le lunghe attese e
la sopportazione apostolica. Usa molta pazienza ed evita di non tener conto dei
limiti…”), a “fruttificare” “Trova il modo per far sì che la Parola si
incarni in una situazione concreta e dia
frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti e incompiuti…”) e
a “festeggiare” (“Celebra e festeggia
ogni piccola vittoria, ogni passo avanti (…) si fa bellezza nella Liturgia in
mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene…”).
Sono 4 verbi
della secolarità, cioè di una presenza operosa ed incisiva in ogni angolo di
umanità dove risuonano più forti gli interrogativi degli uomini e dei popoli.
La Chiesa abita
le periferie attraverso di noi che, per vocazione, siamo chiamati a restare “in
saeculo” e ad agire “con i mezzi che sono propri del mondo” senza alcuna
distinzione che non sia la testimonianza di fedeltà al Vangelo che connota le
nostre scelte e il conseguente stile di vita.
Secolarità è
anche andare, non restare bloccate sulle proprie posizioni e le proprie
sicurezze. Richiede la capacità di porsi delle domande e non solo di dare delle
risposte, rischiando nella ricerca, ascoltando la realtà della vita prima di
stigmatizzarla con delle norme.
La profezia sta
nella chiamata a non temere nessun luogo e nessuna situazione, anzi a leggere e
a collaborare nel compimento della storia della salvezza proprio a partire da
lì, dove la persona è al limite dell’esclusione, soffre l’indifferenza, è
svuotata della sua dignità.
“Voi fate parte di quella Chiesa povera e in uscita che sogno!”: ci ha detto papa Francesco.
Ci sono tante questioni che ci spiazzano, nella vita, nella fede e nella
Chiesa. Camminare con responsabilità significa rifiutare ogni soluzione facile
e ogni scorciatoia, per percorrere i sentieri più ardui del pensiero, della
ricerca e del dialogo.
Qui è sempre attuale l’immagine che ci ha affidato Paolo VI: essere
laboratori sperimentali… con tutto ciò che questa immagine significa…
Maria Rosa Zamboni