Ho inaugurato il mio cinquantesimo di consacrazione
ponendomi delle domande:
Che cosa è successo col passare degli anni nella mia
vita personale? Che esperienza si è andata delineando in me?
A 16 anni mi sono messa al seguito del Signore. Ho
trovato qualche difficoltà di adattamento ma, sorretta dalla novità di vita,
non è stato nemmeno molto difficile.
Dopo la consacrazione, mi sono inserita prima nel
campo sanitario poi nell’ambito
parrocchiale e nella scuola. In tutti
questi ambienti ero stimolata a visualizzare la risposta alla mia vocazione. E’
stata come una seconda chiamata, che non era propriamente un’altra rispetto
alla prima, ma era il ritrovamento della prima e unica vocazione ad un livello
di maturità maggiore, passando attraverso il crogiolo di piccole e grandi
difficoltà distese negli anni. Infatti lo svolgersi dell’esistenza, con tutti i
suoi risvolti, permette di scendere dalla superficie delle cose alla loro
profondità.
Entrando nella CM, ho scelto la vita fraterna, che
vuole dire disponibilità per i vari servizi dell’Istituto. Mi sono trovata così
a vivere in cinque gruppi CM, inseriti in contesti diversi, che mi hanno dato
modo di conoscere tante persone e situazioni che hanno segnato la mia crescita.
Vivendo con la gente mi è capitato di scoprire delle
persone vere, con una fede viva, appassionate della Parola di Dio, gioiose nel
dedicarsi ai poveri. Erano un dono per la comunità, ma personalmente le ho
avvertite come un ammonimento che mi umiliava e feriva. Ho impiegato un po’ di
tempo a capire che l’orgoglio era molto di più di quanto volevo ammettere, per
non dire che in qualche circostanza è stato la molla di alcuni impegni.
Questa potatura mi ha aiutata a costruire relazioni umane e
mi ha disposta a valorizzare di più la limpidezza di alcune persone che con una
parola, un silenzio, un sorriso e perché no, un richiamo, mi hanno fatto capire
in quale direzione andare, quale lettura delle cose fare, quale salto di
qualità la mia vocazione si aspettava
Diverse
ma unite
E che dire della vita all’interno dei gruppi CM? Quando si vive gomito a gomito, bisogna
escludere logiche individuali di impostare un cammino, per proseguire tutte
insieme. Non si può “tagliarsi fuori” perché si commette un errore che
condiziona il futuro. Infatti, quando ho lasciato spazio al mio individualismo,
sono entrata in una pericolosa condizione di solitudine e ho mancato di carità,
mostrando indifferenza nei confronti delle altre poiché non sostenevo in modo
costruttivo il cammino di ciascuna ed il lavoro comunitario. Ancora una volta
la sconfitta mi ha fatto rimbalzare al “si” pronunciato nel giorno della
consacrazione perché è questa l’elemento fondante delle relazioni all’interno
della nostra famiglia.
In
profondità tra chiamata e progetto
L’esperienza mi dice che dietro le pieghe delle
fatiche e anche delle tentazioni, ci sta
una grande grazia che può aprire le porte alla maturità. Mi son chiesta: Come
procedere?
Ho incominciato col chiarirmi la differenza tra
chiamata e progetto. Sono due parole che
ricorrono spesso nei documenti che parlano della vita consacrata.
La
chiamata è un cammino che non è determinato da me, ma viene da
Dio, sia per i passi da compiere, sia per le circostanze dentro le quali lo si
deve esperimentare giorno per giorno.
Il
progetto invece si riferisce a quella impostazione
dell’esistenza che deriva da qualcosa che io stessa decido.
Qui si nasconde la prima e grande purificazione a cui
sono chiamata. Il gruppo italiano ha da poco fatto un’Assemblea per guardare in
faccia la nostra realtà. Quando si tratta di andare al dunque scivolo sulle
parole “dove”, “come” espletare un
servizio. La sincerità dice che questi avverbi nascondono l’insidia di adottare
un atteggiamento che non è più “dare carta bianca” al Signore, perché
obbediscono ad una logica che ha per obiettivo il mio modo di ragionare e non
quello di Dio. Perciò la prima purificazione per una fedeltà alla chiamata è
sgombrare dal cuore e dalla mente l’imbroglio delle sicurezze e inamovibilità a
cui sono aggrappata, per riscoprire la freschezza ed il coraggio della prima
risposta. La maturità è rinvenibile solo nella fedeltà che è il “si” alla seconda chiamata.
C’è anche una seconda purificazione che dovrei
affrontare, che è quella di superare la paura di non farcela. La mia vita
è passata attraverso fasi diverse. A
volte, guardando la mia situazione spirituale, ho la percezione che la vita sia
appesa a un filo e di non riuscire a vedere abbastanza per poterne costatare la
solidità. Come un filo di nylon talmente sottile e trasparente da farmi perdere
il senso della sicurezza. Meno male che in questi giorni recitando l’Angelus mi
si è stagliata davanti la figura di Maria che si è trovata nella stessa
situazione di poca chiarezza, ma le parole dell’angelo: “nulla è impossibile a
Dio” l’hanno spinta a proseguire.
Mi sento anche nei panni di quell’alpinista che, preso
dalle vertigini, non aveva più il
coraggio di guardare verso il basso, ma di seguire con lo sguardo la parete a
cui era aggrappato, sotto pena di staccarsi e di non potere più avanzare.
Perciò, per superare la paura di non farcela, non mi resta che scoprire e
credere nelle parole del vangelo: ”questo è possibile a Dio”. Sono parole che
esigono un affidamento, richiedono di sciogliere le ancore delle certezze per
abitare col Lui. Lo stesso concetto è riportato dallo Statuto quando dice che la fedeltà alla vocazione esige una spogliazione interiore, chiede di
lasciar cadere le infondate ambizioni, di coltivare l’ umiltà; suggerisce di
chiedere al Signore che i sentimenti del suo cuore diventino i nostri;
sollecita ad aprirci alla speranza per riscoprire con verità ben maggiore di
prima ciò che abbiamo sempre pensato di essere e di vivere. Come si vede sono
piccole tappe ma che dispongono a passi semplici e straordinari.
Ascoltare
la voce che ci abita
Mi piace concludere questa mia riflessione con
alcuni riferimenti biblici che mi hanno
accompagnato in questo ultimo anno.
Il salmo 102: “Benedici
il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome”. Sosto
sul riferimento “tutto quanto è in me”:
corpo, psiche, sentimenti, pensieri e scelte. Tutto. La trovo una preghiera
giusta per l’età della giovinezza, della maturità e della terza età.
Al capitolo 40 del libro delle “consolazioni” di Isaia
si legge: “Dio non si affatica né si
stanca. Egli da forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato”.
Più avanti riferendosi agli uomini dice: “Anche
i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono, ma quanti
sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza
affannarsi, camminano senza stancarsi”. Queste parole di Isaia mi fanno
venire alla mente quelle di Gesù: “Venite
a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt
11,28).
L’accento di queste frasi bibliche sta
sull’affidamento a Dio in ogni età e sull’affermazione dell’effettiva presenza
del Signore nella mia vita.
Mi auguro di poter sentire questa voce che mi abita e
di gustarne l’indicibile sicurezza e tenerezza.