Sono già passati più due anni dal mio rientro in Mozambico.
E sono passati in fretta, ma vorrei comunicare un po’ il cammino che mi ha
riportato in questa terra.
Il vantaggio di questo nuovo cammino per me è stato il fatto
di conoscere già la realtà, la lingua… Negli anni ‘90 ho vissuto quasi 10 anni
in Mozambico. Poi c’è stato lo stacco di 12 ed eccomi di nuovo qui. Quando
Martina e il Consiglio mi hanno fatto la proposta, ho accettato con
disponibilità e gioia. Subito ho cercato di disporre il mio cuore a questo
rientro che vivevo con una certa preoccupazione. Avevo timore di lasciarmi
prendere da una nostalgia che non mi avrebbe aiutato. La nostalgia ti può
giocare brutti scherzi e ti può rendere cieca, ti fa ricercare tutto quello che
avevi lasciato e restare delusa se non lo incontri. Ho chiesto al Signore che
mi aiutasse a tornare in Mozambico con occhi nuovi che non ricercassero luoghi
“antichi” che portavano il mio marchio, ma occhi che sapessero vedere il bello
che è nato senza di me. Devo ringraziare il Signore perché mi ha concesso
questa grazia e il cuore l’ho sentito libero di iniziare un cammino veramente
nuovo, con il mio bagaglio di esperienza e conoscenza. A questo proposito mi
piace ricordare Isaia (43,19): “Ecco, io
faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche
nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa”.
Finalmente
a Namarroi!
Il nostro cammino “Ad gentes” è iniziato con l’arrivo delle prime missionarie a Milevane nel 1968 e l’anno successivo si è formato un’altro gruppo a Namarroi.
Namarroi ha sempre suscitato in me una certa emozione per
vari motivi: qui la CM ha lavorato con
molta soddisfazione e nel campo dell’evangelizzazione e nel campo socio
sanitario; ha sofferto con il popolo gli
eventi della guerra civile; le stesse missionarie allontanate e messe in
carcere con la proibizione di rientrare a Namarroi…
Nella mia permanenza in Mozambico negli anni ‘90 varie volte
avevo programmato di andare a Namarroi, ma di fatto, a causa di situazioni
contingenti o della strada (mancavano ponti) o piogge torrenziali, non sono mai
riuscita ad arrivarci.
A poco meno di un mese dal mio rientro in Mozambico, ecco
che mi ritrovo a guidare verso Namarroi. Un viaggio che faccio con Dalaina. Con lei dovevamo incontrate le famiglie delle
ragazze che avrebbero iniziato a vivere con noi a Invinha.
Dopo circa due ore di strada, eccoci a Namarroi, una piccola
cittadina con una strada principale dove si affacciano uffici, negozietti,
l’ospedale… Noi ci avviamo subito alla missione. Ed eccomi, con un carico
notevole di emozione, nel grande cortile della missione di S. Tiago in
Namarroi. Mi sono guardata intorno e mi è apparso un luogo conosciuto e
riconosco alcuni scorci visti nelle innumerevoli foto che lungo gli anni ci
sono giunte. Il mio sguardo è andato subito a quella che era stata la nostra
abitazione. Conservata bene ed ora
abitata dai Padri diocesani che portano avanti la parrocchia. Alle spalle della
casa una bella collina verde ma che ha assunto, durante la guerra civile, un
triste ricordo. Dall’alto venivano uccisi e gettati dall’altro lato della
collina molti innocenti. Mi hanno detto che ora tutti gli anni si sale in
preghiera per ricordare questi martiri.
Nella missione ci siamo fermate poco, il tempo di salutare
il parroco, le suore spagnole arrivate da alcuni mesi e, ripartite per il
nostro itinerario, incontriamo alcune famiglie le cui figlie inizieranno il
cammino con noi. Un dialogo semplice e facilitato con la traduzione in Lomwe di
Dalaina. E poi verso casa.
Dopo qualche giorno ci sono ritornata con Lisetta e ho
chiesto di visitare dove avevano abitato le missionarie, dopo che erano uscite
dalla missione. Delle casette di allora, ci sono solo alcuni pezzi di muro, ma
io ho avvertito ancora una carica di presenza nostra. Lì la CM ha fatto la
scelta di vicinanza alla gente, ha vissuto la sua incarnazione accanto al
popolo con momenti di gioia ma anche
condividendo sofferenze e precarietà. Rientrando da questo secondo viaggio,
molti pensieri mi hanno riempito la mente, mi ha invaso un senso profondo di
gratitudine ed anche una reale consapevolezza che lì si sono messe le radici di
quello che oggi siamo in Mozambico. Ora io mi ritrovo a cogliere i frutti che
non ho seminato… ma è vero che: “chi
semina e chi raccoglie, gioiranno insieme” (Gv 4).
Ho pregato per tutte le missionarie che sono passate da
Milevane e Namarroi, dove hanno lavorato gioito e sofferto. Ora, dopo molti
anni, alcune giovani di Namarroi stanno facendo il cammino con noi. Tutto
questo lo sento come una continuità e un frutto che sta maturando ma che ha
radici profonde e solide.
A Nampula
In questi due anni ho vissuto a Nampula, in questa realtà CM
in formazione. Le ragazze in cammino erano 9 (1 nel Biennio 2 nell’Orientamento
e
Quest’anno il cammino sarà diverso, arricchito da 7 giovani
che sono entrate nel periodo di Orientamento al termine degli esercizi
spirituali. Gli esercizi sono stati un momento molto forte: eravamo in 20 e li
abbiamo fatti a Milevane, proprio dove le prime missionarie hanno iniziato la
presenza in Mozambico (Lisetta, Teresa Castro e Ilda Candelaria) . L’ho visto
come un segno: dove tutto ha avuto inizio, ora si riparte con una realtà nuova
e la presenza di Lisetta è stata un segno di unità e continuità. La
celebrazione è stata molto semplice, ma sentita e partecipata e la gioia, espressa
con canti e danze, ha arricchito e fatto sentire profondamente la nostra la
liturgia. Sono ragazze giovani (dai 18 ai 23 anni) che hanno completato la 12a classe
(tranne una) e quest’anno tutte faranno un anno di servizio nella biblioteca,
in parrocchia e in altri settori. Preghiera e vita insieme ci aiuteranno a
camminare in questa sfida formativa che ritengo una grazia, ma anche una grande
responsabilità da parte di tutta la CM.
E’ necessaria molta preghiera perché il
Cuore di Cristo ci indichi il cammino.
In questo anno della Misericordia è provvidenziale per tutte
noi, nell’ottica dell’amore e della comunione, riscoprire la ricchezza della
nostra spiritualità e mi piace ricordare le tre parole che Papa Francesco ha
lasciato ai consacrati riuniti a Roma per il Giubileo: PROFEZIA, PROSSIMITA’, SPERANZA.
“… Profezia. E’ il vostro specifico.
Ma quale profezia attendono da voi la Chiesa e il mondo? Siete anzitutto
chiamati a proclamare, con la vostra vita prima ancora che con le parole, la
realtà di Dio: dire Dio… . Prossimità. Dio, in Gesù, si è
fatto vicino ad ogni uomo e ogni donna Essere, come Gesù, vicini alla gente;
condividere le loro gioie e i loro dolori; mostrare, con il nostro amore, il
volto paterno di Dio e la carezza materna della Chiesa... Speranza.
Testimoniando Dio e il suo amore misericordioso, con la grazia di Cristo potete
infondere speranza in questa nostra umanità segnata da diversi motivi di ansia
e di timore e tentata a volte di scoraggiamento...E potete alimentare la
speranza anche nella Chiesa. La testimonianza carismatica e profetica della
vita dei consacrati, nella varietà delle sue forme, può aiutare a riconoscerci
tutti più uniti e favorire la piena comunione”. Papa Francesco (Roma 1 febbraio 2016)
Concludendo, ripeto una frase che non ricordo dove l’ho letta
ma la sento molto significativa: “Il consacrato/a
è colui/colei che sa vedere quello che altri non sanno vedere”. Volgendo il nostro sguardo a Colui che
hanno trafitto, chiediamo la grazia di vedere là dove il mondo è cieco.
Sempre in comunione e conto sulla vostra preghiera.
Annamaria Berta