“Siamo andati per dare e abbiamo invece ricevuto”.
Con questa frase potrei sintetizzare l’intera esperienza estiva in Albania, a Scutari e nel villaggio di Boric. Siamo partiti dall’Italia motivati a partecipare al campo estivo organizzato dai padri dehoniani, per dare allegria e compagnia ai bambini albanesi, per condividere l’esperienza con i giovani animatori albanesi offrendo la nostra collaborazione e il nostro supporto. Siamo invece tornati a casa più ricchi ed entusiasti ed abbiamo ricevuto più di quanto non abbiamo effettivamente dato. La gioia, la semplicità, l’umiltà dei bambini; la passione, la volontà e la tenacia dei padri, lo spirito di sacrificio e la dedizione delle suore, la voglia di rialzarsi dell’intero popolo albanese sono tutte cose che non dimenticheremo mai. Sono tutte testimonianze di vita che ci hanno dato una carica infinita e che abbiamo riportato nelle nostre vite, nelle nostra quotidianità. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal popolo albanese, un popolo con mille problemi ma con una grande dignità e mille risorse. Non è facile riprendersi da anni di così dura dittatura, ma l’impegno e la volontà soprattutto delle nuove generazioni può essere un importante aiuto. Tuttavia in alcuni tratti il popolo albanese è già simile all’Occidente, lo status symbol rappresentato dalle auto, dal telefonino, dall’abbigliamento sono purtroppo tutti segnali che evidenziano come l’Albania stia prendendo il peggio del nostro continente.
Ritornando all’esperienza del campo personalmente ho potuto constatare con mano cosa significa avere fede e amore verso Gesù. Al ritorno dalla giornata mondiale della gioventù del 2005 ricordo di aver pensato molte volte all’impressionante numero di giovani che da tutto il mondo erano accorsi a Colonia per adorare il Signore. La mia fede uscì rafforzata da quella stupenda esperienza; erano stati i grandi numeri a farmi aprire gli occhi sulla bellezza e sull’attualità del messaggio di Gesù. Queste stesse emozioni le ho provate ora al ritorno dall’Albania, questa volta però non sono stati i grandi numeri ad impressionarmi ma la forza d’animo e la passione di un solo uomo, di pochi uomini.
Mi sono spesso chiesto mentre ero là, cosa spinge, un uomo a 60 anni e più a decidere di lasciare l’Italia e recarsi in una terra sconosciuta, dove c’è diffidenza verso i cristiani, dov’è la lingua sembra essere un ostacolo insormontabile, dove non ci sono strade, strutture e nulla a cui siamo abituati qui da noi? Non sono state le numerose chiese costruite dai padri, le centinaia di persone evangelizzate e le intere famiglie a cui hanno dato un aiuto concreto a darmi la risposta, ma la serenità, la tranquillità e la gioia che sprizza da Padre Mario e da Padre Antonio, mi hanno fatto capire che questa è la strada giusta e il motivo di questa scelta. Per me la figura di Padre Mario, di Padre Antonio, di Padre Giuseppe, di Padre Gianni e delle suore sono testimonianze che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, è più vicino di quanto pensiamo e non ci abbandona mai.
E ancora, guardare 10 fedeli attendere ore e ore nei monti l’arrivo di Padre Mario, dell’Eucarestia, mi fa riflettere sulla mia fede, sul mio essere cristiano. Spesso ci vantiamo di essere dei buoni cristiani, perché andiamo a Messa o perché ci comportiamo bene, ma dinanzi a queste cose non possiamo non rimanere sbigottiti.
Porterò nel cuore l’Albania, il suo popolo e i tantissimi bambini (ti veniva voglia di prenderne un paio e portarli a casa con te) a cui credevo di dare ma da cui ho ricevuto tantissimo per la mia vita e il mio futuro. Un ringraziamento va a Lucia, all’associazione Guardare Lontano e ai padri Dehoniani che ci hanno scelti per fare questa esperienza.
Con la gioia nel cuore,