Festività dell’EPIFANIA
Scrivo perché, mentre leggevo
un saggio sui profeti di Israele, riflettendo su me stessa mi sono accorta che
la memoria della mia vita spirituale si sta rarefacendo. Da qui il bisogno di
fissare un’esperienza che, credo, valga non per me sola, ma come dono di Dio
per tutti gli uomini e donne assetati di Bene.
Cagliari
1964
Buon Compleanno!
A te,
Bambina mia, affinché ti sia di guida e aiuto per vivere santamente.
Mammina
A Maria
Grazia per il suo dodicesimo anno.
È la dedica sul libricino,
sopravvissuto ai miei tanti traslochi e che conservo accanto al mio letto,
«TUTTO PER GESU’», libricino che mia mamma mi aveva spedito per i mie dodici
anni quando ero in Collegio a Savona, come aspirante presso le Suore di Santa
Maria Giuseppa Rossello.
L’iniziazione
al mistero di Cristo
L’iniziazione cristiana nella
mia vita è iniziata nel cuore di mia
madre, confermata nella scelta del nome: Maria Grazia, perché aveva voluto
consacrarmi alla Madonna delle Grazie in Bologna. Rileggendo da adulta, anziana
meglio, i racconti che mia mamma mi ha fatto, capisco di condividere uno
speciale privilegio: come Samuele, come il Battista, come… (le bibliste
completino l’elenco), come Geremia, “consacrata
a Dio nel grembo materno”. Vocazione all’amore che mia madre “si è portata nel grembo finché Dio non si è
piegato sulle sue pregherie”.
Sopra il letto dei mie genitori
c’era un quadro in rilievo col Sacro Cuore, e un Crocifisso. Le mie prime
immagini sacre che hanno nutrito la mia fede “affettiva”. Non ho mai visto in quelle immagini, come oggi alcuni
dicono, il segno sanguinario di una religione crudele. Era il “mio Gesù”: nella manina del Sacro Cuore
mia mamma mi faceva trovare al mattino una ciambella di pastafrolla, ma le mie
preferenze, soprattutto quando potevo stare nel letto dei miei genitori perché
avevo la febbre, non erano per l’immagine consolatoria e generosa del Sacro
Cuore, quanto per il piccolo crocifisso di metallo che mi teneva compagnia.
Cosa che neppure i soldati hanno fatto, sono riuscita a spezzare le ginocchia
al povero Gesù crocifisso, rimasto nella casa paterna con quelle sue gambe
ballerine, che bisognava sempre mettere a posto, e che io da bambina avevo
rotto. Ma quello è stato “il primo amore
per Gesù”. Poveretto!
Dovevo essere molto piccola,
sono immagini legate ai miei primi ricordi: Gesù e il mal d’orecchie!
Questo affetto mi portava a
essere molto preoccupata per la salute di Gesù, e quando mia mamma mi
accompagnava a visitarlo nell’immagine della deposizione (dovevano essere i
famosi sepolcri quaresimali), volevo
lasciare le mie scarpette rosse al povero Gesù, tutto nudo e al freddo.
I primi anni della mia infanzia
sono trascorsi in questa vicinanza col mistero di Cristo. Le lezioni di
catechismo, fatte prima privatamente, perché mia mamma voleva essere sicura su
ciò che mi avrebbero insegnato, e poi in parrocchia in preparazione alla Prima Comunione. Forse ho un intelletto
scarso, ma l’insegnamento che ci davano, sul catechismo da studiare a memoria, era per me uno stimolo
profondissimo a cercare l’infinito:
la mia vita aveva un significato, ci insegnavano, conoscere, amare e servire Dio!
Sì, le mie prime domande
sull’esistenza, sull’essere dell’uomo e sull’essere di Dio, nascevano in quella
testolina di sei anni, liberavano il mio pensiero in spazi e tempi infiniti.
La nostra testa è proprio strana. Per alcuni
quegli anni sono stati vissuti come l’oscurantismo del pensiero. Per me sono
stati l’aprirsi del pensiero!
Una fede da bambina, ma forte,
viva, vitale nell’ascolto della messa domenicale, nutrita dell’eucaristia, con
lo sguardo all’esempio dei Santi, San Domenico e Santa Caterina da Siena.
Diventare santa, come loro, è il
desiderio che nasceva partecipando al gruppo dei Rosarianti nella Chiesa di San Domenico a Cagliari.
Non certo l’unico desiderio,
iniziava la pubertà e l’adolescenza: insieme ai desideri di santità c’era posto
per i cantanti, per le vanità, le ambizioni, il desiderio di studio e il “ballo del mattone” (una canzone di Rita
Pavone, idolo delle ragazzine degli anni ’60).
Il 1964, l’anno in cui mia
mamma mi ha regalato il libricino «TUTTO PER GESU’», l’ho trascorso a Savona in
collegio. Non era una scelta vocazionale, mia mamma voleva per me una profonda
educazione cristiana, qualsiasi fosse stata la mia scelta, ma anche darmi una
possibilità di studiare, infatti i miei non avevano i mezzi per farmi fare le
scuole superiori. Avevamo una vita di piccole
suorine: messa quotidiana, preghiera a pranzo e a cena, pranzi e cene in
silenzio nell’ascolto delle letture sacre (di cui non ricordo un bel niente, se
non un racconto ambientato in Africa e dai colori romanzeschi), preghiere
serali, silenzio allo spegnersi della luce, e insieme gli impegni di un’alunna
di seconda media.
Eppure di quell’anno
(conclusosi a maggio perché non avevo la vocazione) mi sono rimasti incisi
profondamente due momenti:
Inutile dire che non era la mia vocazione, ho cominciato a diventare insofferente della disciplina, a voler affermare la mia personalità. «Se resto qui, mi faccio suora. Sono “fritta”». Un mese dopo ero nuovamente a casa dai miei.
Le
domande esistenziali senza risposta
Sono iniziati gli anni degli
interrogativi, senza risposta. Non coi Focolarini,
non nelle Eucarestie della domenica, non nelle questioni poste ai confessori.
Nessuno mi aveva mai parlato
della dottrina sociale della Chiesa, né del Concilio Vaticano II, anche se
avevo assistito ai primi cambiamenti, dalla messa in latino alla messa con le
chitarre.
Non mi bastava più sentirmi
ripetere che la fede viene messa alla prova, che è la croce, che il Signore si
siede a tavola con noi quando ti capitano le disgrazie più terribili. Un
mistero della croce senza la luce della Risurrezione, senza l’intelligenza e
l’amore per l’uomo (fatto per i beni
ultimi, cioè senza pene). Pover uomo che, davanti alle ingiustizie, non
doveva preoccuparsi dei beni penultimi, ma si doveva rallegrare come partecipe
della croce di Cristo.
Il mio povero Gesù dalle gambe spezzate era relegato ormai
alla mia infanzia. In questi interrogativi di “senso” sono approdata alla contestazione sessantottina.
Né esauriva la mia tensione la vita politica dei giovani
contestatori, di cui coglievo l’incoerenza, pur condividendo il bisogno di una vita di giustizia. Ho iniziato a
occuparmi delle religioni orientali, delle pratiche dell’Hatha Yoga, di
tecniche di meditazione.
Pensavo, non può il mio cervellino accogliere l’infinito,
devo rovesciarmi, essere accolta dall’infinito: così potrò percepirlo, quando
tange i miei confini. Poi mi soccorreva la memoria del salmo: Vedete e gustate quanto è buono il Signore;
il Signore si fa trovare da chi lo cerca con cuore sincero. “Vedere”,
“gustare”: sono verbi che rimandano ai nostri sensi: non vuol dire chiudere Dio
nel mio cervellino, ma la possibilità di assaggiare
la sua presenza. Se lo cerco con sincerità si fa trovare. Era la risposta ai miei
interrogativi: ore di sedute in posizione del loto per incontrare il divino.
Per fortuna abbiamo l’illuminazione elettrica. A me non è capitata la fortuna
del Budda!
E proprio in quegli anni,
quando cercavo lontano ciò che mi era vicino, ero svegliata la notte da un
sogno ricorrente: la Chiesa dei miei dodici anni. Ho combattuto con tutte le
mie forze questi richiami. Era stato l’indottrinamento ricevuto da piccola. Era
l’oppio dei popoli.
«Prega, Maria Grazia, Prega!». Nel sonno una voce mi sollecitava, e
mi dicevo «Chi prego? Io non credo in niente». E sempre nel sonno, ma in un
sonno vigile, una voce rispondeva forte «Osanna
al Signore, re degli eserciti», mentre il mio essere si metteva in ginocchio.
Ricordo quel
sonno/sogno/visione come momento della mia conversione,
misteriosa, profonda. Si imponeva come un imperativo nella mia vita. Era quella
la strada.
A vent’anni ho incontrato Santa
Teresa D’Avila e San Giovanni della Croce. Ho bevuto le loro biografie e le
loro opere cui sono continuamente tornata: mi rivelavano ciò che cercavo
assetata.
Il
ritorno nel grembo della Chiesa
Nelle letture di Santa Teresa e
di S. Giovanni della Croce maturava la mia sete di eucaristia, il bisogno di essere Chiesa. Ma come, la Chiesa colpevole di persecuzioni, corruzioni,
avarizia. La mia testa non riusciva a conciliare. Fede e Chiesa? Ma no, non
devono necessariamente andare insieme.
La sete dell’Eucaristia si faceva esigenza prepotente
nella mia vita di giovane donna, ora incinta di quattro mesi.
Seguivo in modo ligio tutti i
dettami per le meditazioni: il Signore si
fa trovare da chi lo cerca con cuore sincero, ero lì per quello, cercare il Signore.
Mi ero accorta che gli esercizi
di meditazione mi riuscivano più
facilmente in cappella, lì il cuore si raccoglieva in silenzio senza fatica.
ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA
ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA
ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA
ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA
Le suore avevano iniziato la
preghiera della liturgia, il versetto del salmo penetrava nel cuore e lacrime
scioglievano la mia durezza…
Lì ho scelto Cristo e la
Chiesa!
Nel ’90, a 38 anni, Gesù, che
già si era manifestato nella mia infanzia e nella mia prima adolescenza, non
tenendo conto del rifiuto, mi ha ancora chiamato a sé, gettandosi alle spalle
tutto il mio passato.
E io ho detto SI’, per sempre!