Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
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09 / 08 / 2024
Agosto 2024
Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico....
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09 / 08 / 2024
19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
ricordo di irene ratti
Cenni biografici presentati
durante la celebrazione del funerale,
nella
chiesa di S. Giuseppe Sposo in Bologna,
il 9 ottobre 2021.
Irene nasce a Monza il 12
ottobre 1935.
Già nell’adolescenza comincia
a porsi domande sul valore e sul senso della sua vita. Prima dei vent’anni,
mentre lavora in fabbrica, invitata da alcune colleghe, inizia a frequentare
incontri di preghiera, soprattutto nell’adorazione silenziosa. E un giorno, in
un santuario mariano, incontra p. Albino Elegante che è in procinto di fondare
la Compagnia Missionaria del sacro Cuore. L’Istituto è appena nato, nel Natale
1957, quando Irene viene accolta il 20 gennaio 1958.
Il 29 settembre 1961,
insieme con altre sette aspiranti, Irene emette i primi voti di consacrazione a
Dio. Resta una decina d’anni nel gruppo
di Bologna e intanto consegue il diploma di infermiera e ostetrica. Il suo
desiderio è la missione ad gentes.
Finalmente nel 1969 arriva
in Mozambico e si inserisce nel gruppo delle missionarie di Namarroi. Sono gli
anni in cui il movimento Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) lotta
per l’indipendenza dal Portogallo, che ottiene nel 1975. Il FRELIMO assume il
potere come unico partito al governo. Si ispira al socialismo reale dell’Unione
Sovietica e non vede di buon occhio la Chiesa, i missionari, i cristiani
impegnati in attività di apostolato. A causa della politica coloniale prima e
della lunga guerra per l’indipendenza poi, il Paese si trova in grave crisi
economica e con mancanza di manodopera soprattutto nel settore sanitario.
L’identità secolare e la disponibilità delle missionarie a inserirsi in vari
settori delle attività produttive governative, oltre che nell’apostolato,
permette loro di restare a fianco della gente e condividerne la difficile
situazione sociale, economica e politica.
Nel 1976 Irene, d’accordo
con il gruppo, accetta di essere assunta nella sanità a Pemba, dove resterà da
sola per dodici anni, mentre appartiene al gruppo di Quelimane. In questo
periodo, oltre al lavoro in ospedale, è responsabile della formazione delle
ostetriche, e a livello ministeriale dei settori maternità e infanzia e del
settore malati di AIDS. Nel frattempo si costituisce l’esercito di liberazione
RENAMO che combatte contro il governo e il Mozambico precipita nella guerra
civile che si concluderà con la pace solo nel 1992.
Mentre è a Pemba, Irene
scrive:
Faccio una vita semplice, il più possibile come
quella del popolo… ma tutto con la volontà di trasfondere negli altri un po’ di
speranza. È un rapporto semplice, come semplice è l’amore che mi anima… la mia
casa è centro di incontri… Poi ho un po’ di attività parrocchiale e qui mi
sento a mio agio. È il luogo di completamento della mia missione… ho
l’opportunità di lavorare per una maggiore coscientizzazione dei cristiani… Qui
non sono la “grande missionaria” che ero in Zambesia, sono una semplice
cristiana, che porta nel cuore grandi desideri, ma che vive l’esperienza dura
di una diocesi provata e povera.
Terminata l’esperienza di
Pemba, nel 1989 si trasferisce a Maputo, dove è incaricata, a livello
nazionale, della Commissione episcopale per i rifugiati e dislocati. Si tratta
delle popolazioni fuggite a causa della guerra civile ancora in corso. Irene
svolge il suo servizio fino al 1994, quando rientra in Italia.
Si inserisce nel gruppo di
Lombardia-Liguria, nella fraternità di Milano. Resta in Italia fino al 2000: fa
animazione missionaria, lavora nelle Commissioni Vocazionale e Missionaria;
consegue il baccalaureato in catechetica presso l’Università Urbaniana di Roma.
Ma la passione per
l’Africa non la abbandona. Torna in Mozambico nel 2001 e si inserisce nel
gruppo di Guruè fino al 2003: è impegnata nella promozione delle donne e nel
sostegno alle famiglie soprattutto per l’alimentazione dei bimbi denutriti; si
occupa anche della formazione dei catechisti.
Poi torna nel gruppo di
Maputo. Irene è sempre stata una donna capace di vedere le necessità del popolo
e di cercare risposte concrete. Sa anche coinvolgere tanti amici e conoscenti
che si impegnano a sostenere i suoi progetti, sia economicamente, sia andando
periodicamente ad aiutarla nel suo lavoro. Riesce a realizzare una scuola per
l’infanzia, il Centro infantil Esperança.
Grazie
anche alla sua carica missionaria, nella Compagnia Missionaria nasce
l’associazione GUARDARE LONTANO che si impegna anche a sostenere economicamente
molte famiglie i cui bimbi frequentano questa scuola e anche alcuni che già
sono passati nella scuola elementare statale, ma hanno sempre bisogno di aiuto.
Ci sono poi altri enti che collaborano per sostenere la scuola. Ma Irene, ormai
ultraottantenne, non perde la sua capacità di “guardare lontano”. Lavorando con
i bambini lei guarda lontano, verso il loro futuro e decide che c’è bisogno di una
scuola per quando cresceranno, una scuola che li prepari adeguatamente ad
affrontare il loro sviluppo culturale e lavorativo. C’è chi generosamente le
permette di acquistare il terreno e fare il progetto per una nuova scuola.
Intanto esplode la
dolorosa situazione della pandemia con la grande crisi economica in cui
sprofondano tante famiglie, non solo quelle dei bambini della scuola. C’è
bisogno di aiuto alimentare. I tanti benefattori rispondono alla sua richiesta
di aiuto e comincia a visitare e a ricevere le famiglie – sono soprattutto
nonne di bambini orfani o abbandonati – a cui distribuisce pacchi con generi di
prima necessità.
Nonostante si manifestino
problemi preoccupanti di salute e faccia sempre più fatica, nonostante un ricovero in ospedale, continua
ad occuparsi della scuola e delle famiglie più povere… finché è costretta a
rientrare in Italia, all’inizio di settembre, con una diagnosi drammatica.
Si prepara con sofferenza
e serenità a incontrare quel Signore Crocifisso e Risorto in cui ha sempre
creduto e che, fin da giovanissima, l’ha affascinata col suo amore e attirata a
seguirlo nella Compagnia Missionaria per donare la vita al servizio dei poveri
e sofferenti. Attraverso una videochiamata, partecipa come può alla preghiera
di ringraziamento per il 60° anniversario della sua prima consacrazione.
È quasi la mezzanotte del 6
ottobre 2021, quando lo Sposo viene a chiamarla per condurla alle nozze eterne.
A nome della sua famiglia,
a nome della Compagnia Missionaria e di tutti coloro che Irene ha amato e
servito, a nome dei tanti benefattori, a nome dell’Associazione Guardare
Lontano che è stata affascinata e coinvolta dal suo spirito missionario,
diciamo:
GRAZIE, IRENE, PER LA TUA FEDELTÀ A DIO AMORE E AI
POVERI. PREGA PER NOI.
Lucia Capriotti
Messaggio della Presidente
Carissimi fratelli e sorelle,
anche se lontana ho voluto essere presente in questo momento nel quale stiamo pregando per
la nostra cara Irene nella sua Pasqua verso la Casa del Padre.
Il 29 settembre, ultimo scorso, abbiamo celebrato
con lei il 60° di vita Consacrata. Lei era una delle prime otto missionarie che
hanno dato inizio alla Compagnia Missionaria, sotto la guida del nostro
fondatore, P. Albino Elegante scj.
Ringraziamo il Signore per la sua vita e la sua
fedeltà al nostro carisma che ha ispirato ed ha motivato altre missionarie a
far parte della CM.
Ciascuno dei presenti ha conosciuto Irene, così
che non dirò niente di nuovo e, sicuramente non potrò esprimere tutto quello
che ci ha regalato, è stata la sua, una testimonianza di vita donata sempre con
gioia, senza stancarsi mossa dal suo grande ardore missionario. Per lei non c’erano ostacoli ma solo opportunità per avanzare e
trasformare la realtà per il bene dei più poveri, degli ammalati e bisognosi
cercando specialmente di favorire la promozione umana e spirituale dei bambini,
delle mamme e delle famiglie. Sempre disponibile non solo ad accompagnare ed
animare le giovani vocazioni che sono sorte come anche promuovendo i laici ad
assumere le loro responsabilità per un cambiamento della realtà. Il suo grande
amore al popolo mozambicano l’ha portata ad essere parte del suo cammino e
delle sue lotte e speranze lungo i 50
anni vissuti in questa terra.
In questi ultimi anni ha dedicato
molto impegno e sforzi per accompagnare l’Associazione Mozambicana S. Francesco
di Assisi che tanto aiuta i bambini e le
loro famiglie anche grazie ai contributi del Centro Missionario di Carpi e
della nostra Associazione Guardare Lontano che la stanno finanziando. Auguro
che la stessa continui a dare frutti ed a crescere.
Nella celebrazione del suo 50° anniversario di
consacrazione nel biglietto/invito di ringraziamento, scriveva:
Noi, popolo delle strade, crediamo che questa
strada,
e questo mondo, dove Dio ci ha collocate,
è per noi il luogo della nostra santità.
Madaleine Debrêl
Questa frase riassume la sua vita di consacrata
secolare.
Accompagno con la preghiera sua sorella Lucia e
tutti i suoi familiari in questo momento di dolore e di distacco.
Desiderio ringraziare le nostre amiche Giulia e
Goretti, il gruppo delle missionarie del Mozambico e le missionarie del gruppo
di Bologna per aver accompagnato Irene,
in questi ultimi tempi, con molto amore e disponibilità.
A te, cara Irene, a nome di tutta la CM: GRAZIE,
GRAZIE per tutto! Intercedi per tutti noi assieme a P. Albino, alle missionarie
ed ai familiares che già godono la presenza del Signore.
In comunione.
Graciela Magaldi
Eccomi, manda me!Omelia al funerale
«Venite benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla creazione del mondo ».
Non è difficile applicare a Irene queste parole di Gesù, il Maestro che
lei ha incontrato e seguito per tutta la sua vita. È giunto per lei il momento
di ammainare le vele, dopo un lungo viaggio, e approdare al porto tanto
desiderato del Regno di Dio, origine e meta della sua e nostra vita. Ancora
ventenne, Irene aveva ascoltato le parole del profeta Isaia e aveva sentito
sgorgare subito nel cuore – scrive lei stessa – «la dimensione della missione.
Dentro mi ardeva l’invito di Dio al profeta Isaia... e anch’io come lui
rispondevo: eccomi, manda
me !»
Possiamo utilmente
chiederci: che cosa porta una persona a dichiarare questa pronta disponibilità
alla causa del Regno di Dio? Scopriremmo che la risposta di Irene è analoga a
quella che ha mosso ciascuno di noi: una risposta radicata nell’amore di Dio
Padre e nella sua volontà di partecipare a tutti i suoi figli il suo Spirito
Santo, la sua stessa vita.
Ma,
in ordine a una risposta più personale all’interrogativo di prima, la lettura
del profeta Isaia ci indica qualcosa di più radicale e strutturale che,
immagino, ha colpito anche Irene, portandola a consacrare a Dio la propria
vita. Isaia ce lo presenta in modo chiaro: «Ohimè! Io sono perduto, poiché un
uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io
abito». Queste parole indicano in modo esauriente la qualità creativa della
grazia di Dio, la sua misericordia che si fa perdono capace di rigenerare ognuno
di noi alla libertà di amare come ama Lui. Quando una persona si rende conto di
questo dono non può restare indifferente, poiché immediatamente nasce dentro il
desiderio di condividere con altri questa scoperta e il dono vitale che
racchiude.
La vita ci insegna che possiamo arrivare a
donare la nostra vita a Dio solo perché Lui per primo l’ha donata a noi. E c’è
un aspetto di enorme importanza in questa scelta di Dio: il nostro andare nel suo nome ci rende sua
presenza!
Non siamo noi che facciamo
il Bene, che annunciamo la Verità di Dio, che esprimiamo Misericordia... è Lui
che si consegna a noi, che si affida alla nostra libertà di fidarci del suo
Spirito e scoprire che da noi può uscire una forza che supera di gran lunga le
nostre forze e la nostra genialità.
È la forza di riconoscere e far vivere
nelle relazioni una misericordia ricevuta gratuitamente, senza calcoli né a
motivo di particolari convenienze, ma... solo per amore.
Credo che sia stata proprio la meravigliosa
scoperta di questo amore divino che ha guidato la vita di Irene, e l’ha portata
a condividere con i fratelli e le sorelle tutto di sé, a partire dalle proprie
fragilità e dalla propria povertà di creatura visitata costantemente dalla
misericordia e dal perdono di Dio.
Prendere coscienza della nostra
vulnerabilità di creature ci fa sentire fratelli di tutti, ultimi che si
trovano a essere primi non a motivo delle proprie conquiste o dei propri
meriti, ma unica-mente per la misericordia e l’amore salvifico di Dio, che noi
abbiamo contemplato nel volto e nel cuore trafitto di Gesù.
Proprio perché abbiamo contemplato
l’amore di Dio nel cuore aperto di Cristo, noi vogliamo condividere questa
esperienza trasformante con tutti coloro che incontriamo, poiché in essa trova
radici sicure la stessa libertà di amare di Dio, che tutti noi cerchiamo e che
Irene ha cercato di vivere durante tutta la sua esistenza di missionaria,
condividendola con tutte le persone che ha incontrato. Ora Irene contempla
l’Amore non più in figura, per mezzo di simboli o mediazioni ma, finalmente,
nel volto stesso di Dio...
P. Enzo Brena
Superiore provinciale ITS Sacerdoti del Sacro Cuore
convivialità
Siamo arrivati al
Santuario di São Bento da Porta Aberta, terre di Bouro, un luogo
fertile, che ci ha regalato
un germoglio per la Compagnia Missionaria alcuni decenni fa. (la nostra
Teresa Gonçalves). Ok, per arrivare c'è stata una partenza. Partenza che abbiamo realizzato la
mattina dell'8 agosto presto, con i primi raggi del sole. Tutte traspiravamo la
felicità di trovarci insieme, lontane dalla fatica quotidiana, contemplando la
casa comune, che ci aiuta a vivere in pace, con salute e ci regala
quotidianamente tanti doni meravigliosi.
Ai piedi della
montagna, sulle rive del fiume Minho, abbiamo gustato un delizioso caffè, in
compagnia di altri turisti che hanno goduto di un paesaggio così magnifico. Il
fiume a poco a poco, adornato dal verde delle colline, invitava ad un tuffo
rilassante, tuttavia, rimaneva solo l'invito. Il sole scintillante accarezzava
tutti i sensi. Momento delizioso, di convivialità e riflessione.
Proseguendo il percorso arriviamo
al santuario di São Bento da Porta Aberta, dove la bellezza circostante ci ha
immerso nel mistero di Dio. Assaporammo il delizioso pranzo. Regnava entusiasmo
per la convivenza.
Poiché era impossibile rimanere
per sempre in questo luogo ameno, abbiamo ripercorso la strada del ritorno. Non
si poteva andare avanti senza fermarsi al Santuario di Bom Jesus do Monte, e
rivedere la Passione di Gesù così incisivamente scolpita, e chi aveva la
giovinezza delle gambe ha contato tutti i gradini della salita fino al
Santuario. Alla fine della giornata,
non poteva mancare una visita al santuario di Nossa Senhora do Sameiro, che
domina la città di Braga. La città “invicta” ci ha accolto intorno alle 18 con
un sorriso esuberante, con un cuore traboccante di gioia.
Sia lodato Dio!
esercizi spirituali del gruppo di funchal
Presi dallo stupore
Gli
esercizi si sono svolti presso il Collegio Missionario del Sacro Cuore dal 19
al 23 luglio 2021, orientati da P. Pascoal, sacerdote diocesano. Il tema
scelto: "Presi dallo stupore" comprendente vari
sottotemi. Si iniziava con un testo
biblico facendo riferimenti anche a diversi autori sia religiosi che laici.
Il tema del primo giorno è stato:
“il silenzio” iniziando con un testo
di Matteo 1,18-25, con riferimenti a vari testi della Sacra Scrittura e ad
opere attuali come "Il Libro del Silenzio" di Sara Mailand, scritti di Santa Teresa di Calcutta, di
Thomas Merton… “Dio è silenzio ed è nel silenzio che si rivela quando
stabiliamo un dialogo con lui”. San Giuseppe è una figura che deve
interpellarci e sfidarci.
La seconda conferenza riguardava
“l'umiltà”, (Matteo 11, 25-30). La
beatitudine: “Felici i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei
Cieli". S. Teresa d'Avila veniva indicata con la frase "L'umiltà è la
verità"; S. Agostino "Saremo più grandi se fossimo più umili".
Vivere l'umiltà è riconoscersi peccatore, fragile, piccolo, ma Dio mi ama e io
posso comunicare, testimoniare e diffondere il suo Amore. (frase di San
Bernardo).
Seguì poi ”La Delicatezza”, (Luca
10,38-42). Papa Francesco dice che dovrebbero essere recuperati gli
atteggiamenti: "Scusa; Perdono; Permesso; Grazie". Il racconto di
Betania (Lc. 10, 38-42) mostra una Marta indaffarata che riceve Gesù ma
interiormente assente, mentre Maria sta ai piedi di Gesù il Maestro e lo
ascolta. Sorprende quando Gesù dice che Maria ha scelto la parte migliore
perché ha assunto un atteggiamento contemplativo. Nel ritiro dobbiamo essere
contemplativi.
Il Dono, (Luca 7, 36-49). "La felicità è più nel dare che nel ricevere"
(Atti 20,35). Il dono di sé che viene fatto, simboleggia il nostro
apprezzamento, la nostra stima, l’amicizia. Il significato cristiano del dono è “darsi”, essere dono per l'altro.
Nel testo del Vangelo, citato sopra, una peccatrice della città irrompe nella
sala e, senza chiedere permesso, si avvicina a Gesù, l'ospite, che reagisce in
modo insolito, non stabilito dalla legge. Gesù rovescia la situazione. Quella
che ne ebbe grande vantaggio è stata la donna peccatrice perché ha goduto del
dono più grande che è Gesù.
La Gratitudine, (Luca 17,11-19). Nella nostra vita, dire "grazie" (essere
grati, ringraziare) è riconoscere nell'altro il favore, il beneficio, il bene
che è stato fatto. Tuttavia, nella vita pratica ci sono molte situazioni di
ingratitudine, mancanza di riconoscimento nei confronti degli altri. Il brano
biblico della guarigione dei dieci lebbrosi in cui chiedono a Gesù misericordia
e Lui li invia ai sacerdoti. Dopo essere stati curati solo uno di loro - uno straniero - torna indietro per
ringraziare e dare gloria a Dio. La priorità è dare gloria a Dio, lodare Dio.
E io ho
dato gloria a Dio? Ho ringraziato? Lodato? La mia preghiera è il campo in cui
spargo lode e ringraziamento a Dio per tutto ciò che mi dà?
La Speranza, (Romani 5, 1-11). La speranza è una delle virtù teologali, assieme alla
fede e alla carità. La speranza è un regalo meraviglioso per coloro che sono in
cammino, che non hanno tutto ciò che vogliono. La speranza suscita una
sensazione di presenza. San Tommaso d'Aquino diceva: "La giovinezza è la
ragione della speranza ... la giovinezza ha molto futuro e poco passato".
La speranza è la virtù che ringiovanisce tutte le persone (Isaia 40,31). Nella
Bibbia è speranza di un buon futuro. Il garante del futuro è Dio. Un futuro
buono e santo, migliore del passato e del presente. Nella nostra storia
portoghese, i portoghesi passarono il Cabo das Tormentas, che divenne
noto come Cabo da Boa Esperança. Dante nella "Divina
Commedia", guardando l'inferno, formula la frase: "Abbandonate ogni
speranza o voi che entrate". Vivere senza speranza è un inferno. Papa
Benedetto XVI ha scritto un'enciclica col titolo: "Salvati nella
speranza". Negli scritti di san Paolo la Speranza è unita alla Fede ed
alla Carità. Non si possono separare perché l’una si appoggia all’altra. Il
pellegrino è qualcuno che sta cercando: la bussola è la fede, la carità –
amore, è il programma e la speranza è lo stimolo che è la forza per credere nel
domani.
L’Eucaristia, (Giovanni 6, 35-51). L'Eucaristia è il sacramento in cui Gesù si rivela e
si dona. È la celebrazione di una Presenza; è il Memoriale, è l'Alleanza. Papa
Francesco nella catechesi sulla Santa Messa ci riferisce che un gruppo di
cristiani perseguitati da Diocleziano aveva affermato "Senza la domenica
non possiamo vivere". L'Eucaristia è un evento meraviglioso in cui è
presente Gesù Cristo, la nostra vita. Partecipare alla Messa è rivivere la
passione e la morte redentrice del Signore. È la teofania: il Signore si fa
presente sull'altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. La
Messa è preghiera, dialogo, relazione personale con Dio ed è un momento
privilegiato per stare con Gesù e con Lui, con il Padre e con i fratelli e
sorelle; è partecipare alla vittoria del Risorto per essere illuminati dalla
sua Luce. Eucaristia è lo Spirito Santo
che ci fa partecipi della vita divina, ci fa incontrare con Gesù, ascoltare la
sua Parola, nutrirci alla sua mensa e diventare Chiesa, Suo Corpo mistico nel
mondo.
Servizio, (Marco 10, 35-45). Ciò che rende credibile la Chiesa è la sua capacità di
essere al servizio degli altri, come ad esempio nelle istituzioni e movimenti
ecclesiali, nelle Conferenze di san Vincenzo de' Paoli, nelle catechesi ... Nel
contesto dell'Ultima Cena (Giovanni 13,3-17) Gesù si inchina per lavare i piedi ai suoi... In Matteo 20,20-28 la madre dei figli di
Zebedeo fa la richiesta che i suoi figli si siedano in posti di rilievo. Anche
in Marco 10,35-45 sono i figli di Zebedeo che formulano la supplica di stare
nei primi posti. La richiesta è sinonimo di tentazione: idea trionfalista,
progresso nella carriera, «voler distinguersi», affermazione dell'io che si
giudica superiore o migliore degli altri = vanità. Luca nel suo vangelo afferma: “ colui che
governa sia come colui che serve” (Luca 22,26). La risposta del Maestro:
“Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per
servire e dare la sua vita in riscatto per molti”; (Marco 10,45; Matteo 20,28).
Servire alla maniera di Gesù Cristo è mettere in pratica ciò che Egli ha
vissuto e ci ha lasciato in eredità. “Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Per questo sapranno che siete
miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri”; (Giovanni 13,34 -35)
Maria, Testo biblico (Giovanni 2,1-12). Maria è per eccellenza la pedagoga del
silenzio. Con Maria impariamo a coltivare atteggiamenti di: ascolto, accoglienza, contemplazione,
fedeltà, attenzione, cura, umiltà. Temi citati in questi giorni e che si
adattano alla Persona e alla vita di Maria. La sua spiritualità è legata
all'amore per gli altri: la visita alla cugina Elisabetta. La gioia celebrata e
vissuta nell'incontro delle due donne ... La risposta al momento
dell'Annunciazione: "Avvenga di me secondo la tua parola" traduce e
sintetizza tutto ciò che è accaduto nella sua vita, compresi gli eventi più
drammatici nella vita di suo Figlio. Maria è Madre e Discepola. È l'Arca della
Nuova Alleanza. Il suo “Eccomi” è l’accettazione nella Fede, un cammino alla presenza di Dio perché compie
la volontà divina. È la discepola di suo figlio. È stata lei per prima ad
accogliere la Buona Novella della Salvezza. Nel testo delle Nozze di Cana, in
Galilea, anticipa la missione del Figlio suo: "Fate quello che vi
dice". L'obiettivo è sempre mettere al primo posto Gesù. Maria percorre la
vita di Gesù fino alla crocifissione e accetta la missione che gli affida il
Figlio: essere Madre di tutta l'umanità. Maria e i santi sono intermediari
presso Gesù. L'essenziale è Gesù. La guida poi ha invitato ogni partecipante a comunicare ciò che Maria
rappresenta per lui/lei. L’Angelo
Gabriele saluta Maria dicendo "Ave”, che è l'opposto di Eva, la prima
peccatrice, mentre Maria è il modello della creazione di Dio. Che la Madonna ci
aiuti ad essere fedeli al disegno di Dio.
Maddalena Ribeiro
La bontà e la delicatezza di Gesù
“Gli
apostoli tornarono da Gesù e gli raccontarono tutto ciò che avevano fatto e
insegnato. Egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo deserto e
riposatevi un po'”. (Mc. 6, 30-31).
Meditando questo brano del
Vangelo di Marco, mi vengono in mente molte cose. Rifletto sulla cura, la
delicatezza, lo zelo che Gesù ha per tutti i suoi seguaci: Il discepolo deve
riposare.
“La delicatezza non si insegna, è
diversa dal rispetto. La delicatezza è un meraviglioso difetto, una consegna
irreversibile" (Fabrício Carpinejar)
La delicatezza deve essere nel
nostro DNA.
“È la cultura della cura, come
cammino di pace per sradicare l'indifferenza, lo scarto, il conflitto” (Papa
Francesco).
Marta, tutta presa dai lavori di
casa, venne da Gesù e disse: Signore, non ti dispiace che mia sorella mi lasci
sola a servire? Digli di aiutarmi. Il Signore le rispose: - Marta, Marta, tu ti
affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha
scelto la parte migliore che non le sarà tolta (Lc.10,40-42).
Nel vangelo di Giovanni (11, 5)
troviamo scritto che Gesù amava Marta e Maria. Ma mentre Marta non si fermò un
attimo dal suo lavoro, Maria seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua
Parola.
Delicatezza è: ascolto attento
dell'altro. Non possiamo dedicarci solo
all'attivismo. Dobbiamo essere contemplativi, in ascolto della Parola che ci
riempie il cuore e ci illumina. La vita interiore spirituale e la vita concreta
esteriore hanno le stesse radici.
Le architetture di senso si
costruiscono con piccoli gesti che sembrano insignificanti!
C'è
qualcosa di sacro nel prendersi cura dell'altro! Riposiamoci per amare di più,
per evangelizzare di più.
San Giuseppe, specchio di bontà e
delicatezza, prega per noi.
Vieni, Spirito Santo, in aiuto
delle nostre necessità della mente e del cuore! Vieni, Spirito Santo, a
rinnovare la Terra!
Celestina Camacho
L'Eucaristia
In
che modo i cristiani la comprendono (cf Giovanni 6, 35-51)
L'Eucaristia fa la Chiesa. Questa
celebra l'Eucaristia, che è la convocazione che Dio fa al suo popolo. È il
Sacramento dove Gesù si dona; è la celebrazione di una Presenza; è il
memoriale; è l'Alleanza.
L'Eucaristia è il mistero
dell'amore di Dio che si rivela; è l'opportunità che abbiamo di incontrarci con
la vita divina rivelata in Gesù Cristo il solo che è la Via, la Verità e la
Vita. È attraverso l'Eucaristia che siamo chiamati all'unione con Cristo e alla
fratellanza umana. Eucaristia è
comunione con il Signore e con i fratelli.
L'Eucaristia
è un dono gratuito. Gesù non chiede nulla; Dà sé stesso e dà tutto
gratuitamente. Gesù vuole essere l’alimento universale poiché si fa alimento
per tutti.
Gesù ha detto che non c'è prova
d'amore più grande che dare la vita per i suoi amici.
Nell'Eucaristia celebriamo la
vita. Sull'altare del sacrificio, chi non offre anche sé stesso non offre
niente. Nell'Eucaristia entra in gioco tutta la nostra vita. Comprendiamo
veramente il dono della vita di Gesù Cristo solo quando faremo di tutta la
nostra vita un dono, un'offerta, un sacrificio.
C'è tutto un dinamismo di
consegna che inizia con l'Eucaristia e finisce con la vita. Non riesco a
comprendere la mia vita senza riferimento all'Eucaristia, nei momenti più vari
e particolarmente quando le prove si sono manifestate più dolorose.
Maria da Conceição Teixeira da Silva
ricordo di gennaro mercurio, familiaris
Il
18 marzo scorso, dopo pochi giorni di ricovero in ospedale a causa del
terribile covid-19, quando ormai sembrava in via di guarigione, quasi
improvvisamente il familiaris Gennaro Mercurio, di S. Antonio Abate (NA), ha
lasciato questo mondo per raggiungere la Meta del Cielo. Avrebbe compiuto 68
anni il 31 maggio.
Un
uomo di grande fede, che testimoniava con l’amore alla moglie Lucia anche lei
familiaris, al figlio Salvatore e alla sua sposa Carmela, e a tutti i parenti;
con l’impegno nel lavoro e le relazioni gioiose che sapeva coltivare con
chiunque; con il servizio alla comunità parrocchiale della Madre del Buon
Consiglio, soprattutto prendendosi cura dei malati e degli anziani nelle case,
portando loro l’Eucaristia; con la partecipazione vivace alla vita della
Compagnia Missionaria. Così ne esprimeva con entusiasmo il carisma e la
spiritualità.
Pubblichiamo
il saluto del figlio Salvatore nella celebrazione di trigesimo.
Non sono pronto, papà
Non
sono pronto a vederti andar via, non sono pronto a dirti addio, né sono pronto
a sopperire in qualche modo alla tua assenza.
In ogni
caso, non avrei mai potuto perderti, né ora né mai. Ma è accaduto!
Un
cupo, tonfo e scuro boato alla notizia che ti avevo perso.
Buio
assoluto!!
Ma
tutt’un tratto, dalla parte più oscura ho letto di una fioca Luce che avanza e
via via sempre più forte sta riuscendo ad illuminare e schiarire il buio
spettrale.
È la
tua perseveranza nella fede in Cristo, papà.
Hai
avuto il coraggio di credere e testimoniare il messaggio divino di amore, e hai
alimentato la tua fede con la preghiera costante, e il tuo, il nostro Padre, ha
reso esemplare la tua esperienza terrena.
Ti sei
fatto portatore di Cristo, di pace e di gioia verso chiunque ha avuto modo di
incontrarti.
Hai
detto “Eccomi” alla richiesta del tuo Signore e ti sei fatto strumento della
sua Parola e la tua è stata una vita pianamente compiuta in Cristo.
Ebbene,
papà, ciò che sei stato non solo per me o per la nostra famiglia, ma per tutti
quelli che ti hanno conosciuto, perché di fatti non eri solo mio ma di tutti e
prim’ancora di Dio, non può certamente risolversi con il buio della morte.
Ed
allora ecco che ci sei ancora tu, papà, ad illuminare la mia, la nostra strada.
Ci sei ancora e sei più vivo di prima e parli attraverso i tuoi insegnamenti,
le tue esperienze ed il tuo esempio. La gioia dei tuoi occhi e i tuoi sorrisi
riescono ancora oggi e per sempre a portare la luce nel buio spettrale che mi
dà tormento.
Il tuo
Dio, il mio Dio, il nostro Dio, così ha disposto per te ed ha posto fine alla
tua terrena esperienza con questa assurda modalità. Ma sono certo, come anche
tu confidavi, che la ricompensa per Te sarà stata grande nei cieli.
Gli
angeli e i santi avranno sicuramente accompagnato il tuo ingresso trionfale al
Trono di Dio, con cui ti sei uniformato in spirito e verità, e la tua cara Mamma
del Buon Consiglio avrà senz’altro il cuore in tumulto per la tua nuova
presenza.
Tuttavia,
seppur nella tua pienezza di spirito, papà, anche dal posto in cui sei ora, ti
chiedo di Vegliare ancora su di noi, perché abbiamo ancora bisogno di Te. Guida
il nostro cammino affinché, proseliti della tua testimonianza terrena, possiamo
di nuovo abbracciarci e sorridere insieme quando ci incontreremo ancora.
Grazie,
papà. Grazie da mamma e da Carmela, da tutta la nostra famiglia, dalla comunità
del Buon Consiglio e dalla Compagnia
Missionaria del Sacro Cuore, e Grazie da tutti quelli che ti hanno incontrato e
che ti hanno riconosciuto come parte della propria famiglia.
Sciolgo
la riserva e manifesto il mio orgoglio più grande: Gennaro Mercurio è mio
padre!!!
Tuo figlio Salvatore
per un francobollo
Abito sull’appendice del Lago
di Como, a Novate Mezzola, e dalla mia casa vedo il lago. Vista che mi
riconcilia la mente. Sono in pensione da due anni, dopo quasi quarant’anni di
insegnamento nella scuola, ma anche dopo tante esperienze lavorative iniziate a
tredici anni e mezzo, appena finita la terza media. Ho sempre lavorato e
studiato, forse per ambizione, forse spinta da una ricerca di senso che mi accompagna da bambina.
Ero a un
corso di esercizi spirituali nel 1990, quando in una pausa tra una meditazione
e l’altra mi avvicina una signora. Mi chiede di accompagnarla in paese a
comprare dei francobolli. Ero proprio stanca, volevo dire di no. Ma sì, un
piccolo atto di carità non sta mai male, mi sembrava così disorientata,
bisognosa di chiacchierare un po’. Era Rosanna Testa, la nostra missionaria. E
così per un francobollo ho conosciuto la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore.
Per poco nascevo in Argentina!
I giovani
del mio paese che si sposavano dopo la guerra avevano una preoccupazione: i
loro figli avrebbero dovuto avere un avvenire migliore, soprattutto non
dovevano morire per le polveri della miniera. Arbus, il paese dove sono nata,
viveva soprattutto del lavoro della miniera di Ingurtosu e Montevecchio, così
quando i miei genitori si sono sposati hanno subito fatto domanda per emigrare
in Argentina. Mio papà era il più piccolo dei figli, e mia nonna aveva già
perso una figlia da bambina (che era la gemella di mio papà) e un figlio in
guerra, in marina. È mia mamma che mi raccontava come mia nonna si fosse
attaccata al rosario, e, un’Ave Maria dopo l’altra, è riuscita a far chiudere
le frontiere argentine all’immigrazione. Così nel 1952 sono nata in Sardegna,
ad Arbus in una casa costruita ancora di mattoni crudi. Ma a sette mesi ero già
sul traghetto, migrante, non in
America, ma nell’Italia settentrionale, a Parma.
A Parma risalgono i miei primi ricordi, e la prima
consapevolezza della fede. Certo una
“fede bambina”, ma che ricordo come esperienza profonda e radicata
affettivamente. Sopra al letto dei miei genitori c’era un’immagine del Sacro Cuore
in rilievo, con una mano che sporgeva e dove mia madre mi faceva trovare al
mattino una ciambella di pastafrolla. Poi un crocifisso di metallo, che quando
avevo la febbre mi teneva compagnia (povero Gesù, gli avevo spezzato le gambe
facendolo cadere), poi il Gesù deposto,
non so in quale chiesa che mia mamma frequentava. Lì un ricordo nitido, i piedi
di Gesù: «Mammina, posso portare le mie
scarpette rosse a Gesù?».
Non so come
possono essere letti questi episodi da chi ha esperienza di vita spirituale, ma
per me segna la continuità di una fede
affettiva che è andata maturando in tutta la mia vita. Forse il dono di un seme di senape!
Mia sorella
Rosanna è nata a Parma, e questa volta era lei in fasce, a fare il viaggio di
ritorno sul traghetto! Mio papà si era ammalato, il clima umido della Val
Padana comprometteva la sua salute. Quindi ritorno in Sardegna, profughi di
ritorno! E tutto da ricominciare. Nella vita dei miei genitori ci sono stati
undici traslochi. Una continua migrazione interna. I primi spostamenti
rappresentavano un miglioramento: da una vecchia casa nel centro storico di
Cagliari, fino a un bell’appartamento in una piazza prestigiosa dove i miei avevano
un laboratorio di sartoria che aveva una clientela numerosa. Poi il declino,
crisi economica, ritorno al paese, niente lavoro e emigrazione a Milano, prima solo io e mia mamma, dopo qualche anno
anche mio papà e i miei fratelli (intanto erano nati mio fratello Antonio e mia
sorella Daniela).
A Milano io
e la mia famiglia abbiamo condiviso la condizione degli immigrati del Sud.
Sorvolo il racconto. Nella metà degli anni ’60 bisognava superare diffidenza,
pregiudizi, emarginazione…, attraversare l’esperienza della disoccupazione,
della ricerca del lavoro adattandosi a quello che si trovava.
Da bambina
avevo un forte desiderio di studiare. A rivedere oggi la storia di quegli anni
non so davvero dove abbia trovato la forza e la caparbietà di oppormi agli avvenimenti:
avevo cominciato a lavorare a tredici anni e mezzo, poi dopo un anno mi sono
iscritta al liceo classico e ho sempre continuato a lavorare e studiare.
L’esperienza
del ’68 aveva mosso le acque, abbattuto barriere sociali, ma il grande fermento
di idee, di bisogno di rinnovamento comportava per chi era adolescente un forte
disorientamento. Quegli anni erano un vaso
di Pandora scoperchiato: tutti i beni e tutti i mali circolavano liberi.
Il buio della fede
Certamente
l’esperienza vissuta in famiglia mi aveva reso sensibile alle istanze di
giustizia sociale. Non avevo mai sentito parlare di dottrina sociale della
Chiesa. Quel mondo “religioso” che vivevo, fatto solo di precetti, non dava più
risposte alle mie domande esistenziali. La religione
mi sembrava un retaggio culturale da cui liberarsi. Ma da questa crisi si è
sviluppata la profonda ricerca di senso:
un cammino, il mio, che non ha percorso vie
ma sentieri! La passione politica
vissuta dalla contestazione giovanile mi ha affascinato ma non travolto. Troppe
incoerenze di vita, incongruenze di pensiero. Quindi l’incontro con l’Oriente,
la ricerca a partire dall’interiorità.
Venite e gustate quanto è buono
il Signore… Il Signore si fa trovare da chi lo cerca con cuore sincero
Avevo tra i
17 e 18 anni quando il mio pensiero era animato dall’idea che se c’è qualche
cosa di veramente VERO, BUONO, AUTENTICO l’uomo può farne esperienza. I
versetti dei salmi mi davano una conferma. È possibile INCONTRARE DIO? Farne
esperienza?
Ho cominciato a occuparmi di religioni, interessata soprattutto ai testi sacri, Bibbia compresa.
Per questo quando ho dovuto scegliere la facoltà ho optato per Lettere antiche, pensavo che la parola, più che la filosofia, portasse
alla rivelazione profonda dell’uomo. Rivelazione che dovevo cercare nelle
lingue dei testi sacri. Avevo anche iniziato a studiare ebraico e sanscrito, ma
poi ho dovuto abbandonare questi studi per motivi di salute: come i più mi devo
accontentare delle traduzioni.
Durante un
corso di meditazione buddista, tenuto
in una casa di Esercizi spirituali, mi ritiravo nella cappella, dove mi
sembrava di concentrarmi meglio. E nella cappella il coro delle due suore
francescane che pregavano ha attraversato il mio cuore: …ETERNA è LA SUA
MISERICORDIA …ETERNA è LA SUA MISERICORDIA …ETERNA è LA SUA MISERICORDIA …
I miei
occhi si riempivano di lacrime, un lavacro
di lacrime. Uscita dalla cappella sapevo che volevo la Chiesa.
Da quel giorno sono passati
circa vent’anni prima di incontrare la Compagnia Missionaria, ma quando ne ho
letto lo Statuto, mi sono riconosciuta.
La vocazione
Quando è
nata allora la “vocazione”? Ho ricordato quei momenti della mia prima infanzia
che sento significativi nella mia identità di fede. Credo che in me vocazione sia stata, ed è, un anelito
all’Assoluto, al Tutto: questo anelito era un faro,
luce che mi ha guidato all’incontro col Cristo nella Chiesa. Incontro capace di
fare sintesi della passione per Dio e della passione per l’uomo. E l’ingresso
nella Compagnia Missionaria ha segnato l’inizio di una nuova consapevolezza: la
missione è cantare la misericordia di
Dio¸ non quanto io sono brava, ma quanto è buono con me il Signore.
… per ricapitolare in Cristo
tutte le cose
In
questa luce ha riacquistato significato tutta la mia storia: gli studi, fatti
nella fatica del
lavoro, la nascita di mia figlia, dei miei nipoti, la
professione come insegnante nella scuola. E oggi, nel tempo della pensione, mi
faccio incontrare dagli eventi: non ho più resistenza alla fatica, mi rendo
disponibile a mantenermi accogliente a ciò che mi raggiunge da vicino per
vivere nella solidarietà e condivisione di ciò che sono.
I sogni per il futuro e il mio
messaggio per i giovani di oggi
I miei sogni
per il futuro coincidono col messaggio che vorrei passare ai giovani: conservare la capacità di sognare, di
desiderare cose grandi. La speranza non è vana, ci fa intravedere orizzonti
di Bene anche dove sembra prevalere il male. Ogni bene possibile è una tessera
di quel grande mosaico che è il Regno di Dio. Non siamo soli, siamo Corpo di Cristo in forza dello Spirito Santo!
“la tua parola è lampada ai miei passi e luce alla mia strada ” (sal 118)
La Parola del Signore raccoglie in sé ogni espressione della nostra
vita e sa condurci per mano nell’attraversare ogni sua fase. Anche se il tema
dell’anzianità e dell’invecchiare non siano al centro della Parola di Dio, è
possibile trovare in essa delle sottolineature interessanti per il nostro
cammino spirituale.
Un primo aspetto importante, che troviamo
nell’Antico testamento, è il richiamo alla fecondità: Abramo e Sara sono molto
avanzati negli anni quando nasce Isacco, il figlio della promessa e della
benedizione (Gen21,5). Una lunga vecchiaia è il segno della fedeltà di Dio alle
sue promesse: «Poi Abramo morì dopo una felice vecchiaia, vecchio e sazio di
giorni e fu riunito ai suoi antenati» (Gen25,8). Così anche Isacco (Gen35,29) e
Giuseppe che morì all’età di centodieci anni (Gen50,26). Potremmo dire che in
età avanzata Dio si rivela, Mosè riceve la rivelazione del Nome di Dio e la
missione di liberare il suo popolo quando è già anziano. Il Signore Dio gli era
molto vicino e gli parlava come si parla ad un amico (Es33,11). La Parola dice
che Mosè era «molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra» (Nm12,3). Come
a confermare che Dio, per operare la salvezza, si serve non dei forti e di
coloro che godono di prestigio, ma degli umili e piccoli, di quel popolo umile
e povero che lo cerca con fiducia (Sof2,2; 1Co 1,26-31).
Troviamo nei libri sapienziali un altro aspetto
quello del tempo della fatica interiore e della tristezza ... gli anni in
cui dovrai dire: «Non ci provo alcun gusto» (Qo12,1-8).
Ma più spesso ci offrono il ritratto dell’anziano
invecchiato bene, segnato cioè dalla saggezza e dal timore del Signore: «Nella
giovinezza non hai raccolto; come potresti procurarti qualcosa nella vecchiaia?
Come s'addice il giudicare ai capelli bianchi, e agli anziani intendersi di
consigli! Come s'addice la sapienza ai vecchi, il discernimento e il consiglio
alle persone eminenti! Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto
il timore del Signore» (Sir 25,3-6).
Nel nuovo Testamento Gesù, Maestro di sapienza,
ci insegna come affrontare le paure e le preoccupazioni che si accentuano col
passare degli anni, in particolare la paura del futuro che, insieme alla
tentazione pericolosa dell’accumulare ricchezze e cibo, si può curare solo con
l’abbandono fiducioso nella Provvidenza (Lc 12, 12-21.22-31; Mt 6,25-34).
Dopo aver affidato la sua Chiesa a Pietro, Gesù
gli annuncia che, quando sarà vecchio, sarà condotto ad una morte violenta per
il suo Nome: «In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la
veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv21,18).
Gesù indica come si svilupperà la crescita di
Pietro, che è un po’ anche la nostra: si passerà dal tempo della decisione in
prima persona alla stagione in cui si dovrà cedere l’iniziativa e «lasciarsi
fare».
Arrendersi - accettare - lasciar perdere -
abbandonare - distaccarsi sono i verbi che impariamo e/o dovremo imparare a
coniugare col passare degli anni. È un cammino impegnativo. È un po’ come una
spogliazione progressiva che, se vissuta nella prospettiva dell’amore del
Signore che non viene meno, che rimane affidabile sempre, poco per volta porta
ad assomigliargli nei suoi passaggi di vita più difficili fino al culmine della
crocifissione.
«Egli deve crescere, io diminuire» (Gv3,30)
Questa prospettiva pasquale che potrebbe comportare progressiva riduzione
dell’attività, con il rischio di disabilità, di crescente solitudine, di paura
e di arrabbiature soffocate, a pensarci bene ci ripugna profondamente, perché
ci avvicina al mistero della sofferenza, il più arduo della nostra esistenza,
che nessuno riesce a comprendere e accettare, se non nella fede e nella
contemplazione del mistero di Dio.
Il ruolo fondamentale
della preghiera
Non dobbiamo scoraggiarci: esiste un cammino che
ci consente, poco alla volta, di vivere la vita quotidiana in un atteggiamento
contemplativo. In questo contesto, anche la preghiera segue la dinamica della
nostra crescita personale. Partiamo dalla preghiera vocale, passiamo alla preghiera
discorsiva, arriviamo a quella affettiva, per approdare alla preghiera
contemplativa che viene chiamata anche preghiera del cuore. Essa è come una
sosta silenziosa ai piedi del Maestro, nella quale ci esponiamo senza maschere,
nella nostra realtà più profonda Ma dobbiamo perseverare nel dedicare al
Signore il tempo destinato alla preghiera. La contemplazione non è solo un
atteggiamento da agire, diventa stile di vita, diventa una dimensione di essa e
ne determina la qualità.
Lo «stare» cambia la qualità della vita e ci dà
la possibilità di vivere il presente e nel presente. Produce in noi la capacità
di stupirci e di godere delle creature di Dio.
La dimensione contemplativa, in questo nuovo
tempo della vita, dove diminuiscono gli impegni, in particolare quello
lavorativo, ci può portare ad un nuovo «agire», caratteristico di questa età,
più pacato e più profondo, più attento alle persone, più disponibile ad offrire
una compagnia. Ci aiuta a perseverare nell’attesa vigilante del ritorno del
Signore. La preghiera contemplativa si consolida nel corso degli anni,
ricordiamo qui la famosa espressione del santo Curato d’Ars che descriveva la
sua preghiera come un incontro silenzioso con Dio: «Io lo guardo ed Egli mi
guarda» Nella contemplazione scopriamo di essere preziose agli occhi del
Signore, così come possiamo pregare nel salmo 131: «Io sono tranquillo e
sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è
l'anima mia».
Certamente siamo poco abituate ad usare la parola
«contemplazione», ci sembra molto impegnativa, quasi una dimensione non
raggiungibile, ma non dobbiamo lasciarci intimorire. Essa è un obiettivo per
tutti i cristiani, purtroppo non è favorita dalla cultura attuale, centrata
sull’efficienza e assopita nella distrazione.
Nella nuova situazione, il tempo per la preghiera
non manca, ma potrebbe essere carente il metodo e la costanza, potremmo correre
il rischio della mediocrità se durante lo scorrere degli anni non avremo curato
la nostra vita spirituale con l’ascolto della Parola, la vita dei sacramenti
(penso che dovremmo riprendere la valenza, ad esempio, del sacramento della
riconciliazione), la riflessione e un’offerta al Signore delle nostre fatiche.
Le prove dell’anzianità possono richiamarci alla necessità di crescere nel
nostro abbandono nel Signore.
La centralità della formazione
“Nella vecchiaia - dice un proverbio africano -
ci si riscalda con la legna che si è raccolta durante la giovinezza”. Per
questo possiamo dire che la riflessione di oggi è davvero per tutte.
Infatti, se nel momento dell’invecchiamento non riusciamo ad accettare
questa nuova situazione con le sue implicazioni, forse non siamo mai state
richiamate da giovani a riconoscere ed accogliere i nostri limiti, a sentire
che non tutto è possibile, che non ha senso coltivare dei complessi, o meglio
dei deliri di onnipotenza. Forse, non siamo state educate a camminare secondo
le possibilità, a spendere del tempo gratuitamente, a contemplare la bellezza
senza volerla possedere, a voler bene a sé e agli altri. Forse abbiamo sempre
vissuto con l’acceleratore al massimo per riuscire a percorrere in fretta tutte
le strade, con l’unico obiettivo di poter governare e possedere il controllo di
tutto.
Ma tutto non si può possedere e/o governare. Gli
atteggiamenti che ci portano alla fiducia, a credere in noi e negli altri,
sono, da una parte, iscritti nel carattere della persona e, dall’altra, possono
essere il frutto di una formazione iniziale e, sicuramente, di una formazione
permanente che faccia leva sulla gratuità e sulla dimensione contemplativa
dell’esistenza, grazie alle quali la persona continua a crescere.
Dovremmo continuare ad essere sollecitate, dalla
formazione permanente, a sviluppare curiosità intellettuale e cura della nostra
preparazione professionale. Chi arriva alla stagione dell’invecchiamento senza
aver coltivato l’abitudine alla lettura e allo studio e senza interessi
culturali, senza un’attenzione ai bisogni del contesto e senza un hobby
costruttivo, farà molta fatica a far passare il tempo e a riempire le lunghe
giornate non più ritmate dagli orari lavorativi.
La lettura di qualche testo di teologia, o di esegesi biblica, di
qualche buon romanzo, di qualche bel giallo, di qualche buona rivista di
aggiornamento, potrà non solo renderci umanamente vive e all’altezza dei nostri
nuovi impegni, ma anche tenere viva ed esercitata la nostra mente in un momento
di notevole cambiamento, dove il fermarsi potrebbe significare non solo perdere
irrimediabilmente i neuroni necessari per il buon funzionamento del cervello,
ma anche spegnere la lampada della saggezza, rendere vana l’esperienza e
ridurre la conoscenza di sé.
La comunità è il
luogo privilegiato della formazione
Vorrei che non dessimo per scontata questa cosa,
cioè l’importanza di essere, per tutta la vita, formate dalla comunità. Non vi
è un periodo temporalmente definito nel quale ci si forma, ma abbiamo la prima
formazione e la formazione permanente, cioè formazione per sempre.
Sappiamo che la formazione è importante per ogni
età della vita. Allora la questione è non solo riaffermare questo principio
fondamentale, ma anche cercare «come» poter fare questo. Come tradurre nella
vita di ciascuna e della comunità questa consapevolezza, oggi, nelle diverse
situazioni.
Piccola conclusione
Tutto questo ci colloca nella prospettiva che fa
ritenere, appunto, che anche la stagione dell’invecchiamento può continuare ad
essere feconda e, con il salmista, sapere che «anche nella vecchiaia
porteremo frutti e saremo ancora rigogliose», capaci ancora di «fiorire
negli atri del nostro Dio», sempre pronte ad «annunziare quanto è retto
il Signore» (Salmo 92,14-16).