Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
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09 / 08 / 2024
19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
servire in umiltà
Studiamo il contenuto del secondo termine della nostra
denominazione: Compagnia Missionaria.
Etimologicamente
la parola è derivata dal verbo latino:
“mittere”= “mandare” e precisamente dal participio passato: “missus” =
“mandato”. Nella Scrittura questo verbo è usato spessissimo in tutta la sua
coniugazione per significare una finalità ben precisa: l’investitura da parte di Dio di una missione di salvezza.
Così, ad
esempio, in Genesi (45,5) Giuseppe dice ai fratelli: “Iddio mi mandò avanti a voi in Egitto per il vostro bene”.
Mosè, in nome
di Dio, si presenta al Faraone per dichiarargli: “Jahve Dio degli Ebrei, mi ha mandato da te per dirti: lascia partire
il mio popolo affinché mi renda un culto nel deserto” (Es 7,16)…
Anche Gesù si
dice mandato dal Padre come dono d’amore
“affinché
ognuno che crede
non
perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
La presenza
della volontà salvifica di Dio deve durare senza sosta sul cammino degli
uomini. Per questo Gesù risorto trasmette la consegna della sua missione agli
apostoli: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”(Gv
20,21). “Andate e istruite tutte le
genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”(Mt
28,19).
L’investitura
da parte di Dio importa l’accompagnarsi
della sua onnipotenza contro tutte le resistenze e tutte le difficoltà.
“Prima che ti formarsi nell’utero ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi dal seno ti ho santificato: ti ho stabilito profeta per le
nazioni” (Ger 1,5).
“Tu poi, cingiti i fianchi, levati e di loro quanto ti
ordinerò: altrimenti ti farò temere la loro faccia. Ecco io ti pongo, oggi,
come città fortificata, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i
re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo della terra. Ti
faranno guerra, ma non ti sopraffaranno perché io sono con te per salvarti” (Ger 1,17-19)
Le pagine della
Scrittura sono indistintamente segnate da questa certezza e testimoniano la
“strana” azione di Dio.
Nella prima
lettera ai Corinti, l’apostolo Paolo ha tentato di descriverla così:
“Ciò che è stolto per il mondo, Dio lo sceglie per
confondere quello che è forte….affinché nessuna creatura possa vantarsi davanti
a lui” (1Cor 1,27-29)…
Noi e il dono di Dio
1. La chiamata di Dio alla fede è certamente per tutti gli uomini, ma alla
perfezione della fede in una integrale imitazione di Cristo e ad una esplicita
missione di apostolato, è solo per alcuni.
Noi dobbiamo raggiungere la morale certezza di essere fra questi. Come?
Forse un indice particolarmente rivelatore è il senso di Dio che lentamente ci invade.
E’ la forza del cuore che
trascina di prepotenza tutte le facoltà verso colui che sta diventando il
grande amore e il grande interesse della nostra vita:
“Proseguo la
mia corsa, scriveva San Paolo ai Filippesi, per vedere di afferrare Cristo Gesù perché anch’io sono stato
afferrato da Lui”.
Uno scambio di attenzione. Se la nostra non riesce a diventare
preponderante per Dio, arrischieremo di fare un passo che forse non era nei
suoi disegni o che, comunque, svuota la sua scelta di quella stabile serenità
che egli voleva donarci per farci testimoni della sua vita e della sua gioia in
mezzo ai fratelli.
La volontà dunque di conquistarci brano per brano a Dio, in un lavoro
paziente, sofferto, ma tenace e soprattutto soddisfatto perché è prova d’amore,
è ricambio d’interesse, perché è dono di noi stessi a lui, immedesimazione
della nostra vita con la sua vita….è un buon criterio per affermare che egli ci
ha scelti e portati tra le file della Compagnia Missionaria.
2. La vocazione di Dio è sempre per un dono di salvezza che egli vuol porgere
agli uomini per mezzo nostro. “Come posso essere nel mio ambiente una luce che
elevi dalle bassezze della quotidiana oscurità, luce che riscalda, illumina e
vivifica? Solo se io spesso sto nel cerchio luminoso di Dio. “Il Cristo mi deve
illuminare: allora potrò irradiare diffusamente ed efficacemente la sua luce”
(B.Naegele). Il filtrare quotidianamente tutto noi stessi: pensieri,
sentimenti, parole, atteggiamenti, attività attraverso il Vangelo, perché tutto
sappia di Cristo, perché tutto ripeta, quanto meglio è possibile, l’esempio di
Cristo, non è solo un lavoro necessario per rendere certa la nostra vocazione
“radicandola nell’amore” ma è anche una questione di….onestà professionale.
“Investiti di questo ministero,...
ripudiamo i sotterfugi dettati dalla
vergogna e, invece di comportarci con astuzia e di falsare la parola di Dio, ci
affidiamo al giudizio coscienzioso di ogni uomo con la chiara manifestazione
della verità al cospetto di Dio….Poiché noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù
Cristo” (2Cor 4,1-5).
Sembra legittimo concludere che, per essere degni del mandato di Dio, noi
dobbiamo tendere ad essere sacramento di Cristo, come Cristo fu sacramento del
Padre.
Con il termine “sacramento” intendiamo una realtà umana che ci accosta ed
immerge in una realtà soprannaturale. Questo fu certamente il compito
dell’umanità di Cristo rispetto alla divinità e all’amore del Padre. “Il Padre ed io siamo una cosa sola” (Gv
10,30). Ecco perché “chi vede me, vede anche il Padre mio”(Gv
14,9).
Possiamo ambire lo stesso traguardo nei confronti della santità e
dell’amore di Cristo?
Credo sia più esatto dire che “dobbiamo”perché “noi siamo gli operai di Cristo e gli amministratori dei misteri di Dio.
Ebbene dagli amministratori non si esige altro se non che siano fedeli”(1Cor
4,1-2).
3. Una parola anche sul contesto in cui Dio ha “calato” la nostra vocazione.
Senza dubbio diversi erano i compiti di una vocazione di Dio e re, a
profeta, a liberatore del suo popolo. Altrettanto, ai giorni nostri, di una
vocazione di Dio all’una o all’altra famiglia di consacrati. La nostra si attua
nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore.
Peccare di astrattismo è una tentazione facile, ma se seguita ci
condurrebbe alla insoddisfazione e alla sterilità.
Le linee, dunque, su cui noi dobbiamo erigerci a “segno” di Dio in mezzo ai
fratelli ed espletare il dono di grazia che egli ci ha affidato, sono quelle
che nello studio, nella pazienza, nell’obbedienza all’indirizzo di Dio e della
Chiesa sono maturate per la Compagnia Missionaria.
Porci decisamente nelle modalità di servizio che sono proprie della nostra
famiglia, amarne la fisionomia, rispettarne le tradizioni, donarci con
intelligenza e iniziativa alle sue attività, riscaldare gli ideali e le energie
al fuoco del suo spirito, significa vivere nella piena aderenza al piano di Dio
e nella soddisfazione di sentirci “realizzati”come lui ha pensato e scelto per
noi.
“Chi di voi, ha detto Gesù, se ha un servo ad
arare o al pascolo, al suo ritorno dalla campagna, gli dice: “Svelto, vieni a
metterti a tavola! Non gli dirà invece:”Preparami da mangiare, cingiti per
servirmi…poi mangerai e berrai anche tu?
Forse il
padrone ha degli obblighi con il servo perché ha eseguito gli ordini
ricevuti?
Così anche voi:
quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto
semplicemente quello che dovevamo fare” (Lc 17,7-10).
Servire con umiltà, dove e come
desidera Dio, è tutto il senso della sua chiamata.
Infatti “non siete stati voi che
avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho posto sul cammino perché andiate e
portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).
Il pensiero
conclusivo
Questa mattina,
celebrando la Santa Messa, sono stato particolarmente colpito dalle parole
della consacrazione:
“Prendete e mangiate tutti: questo è il mio
corpo offerto in sacrificio per voi”.
Ho pensato che
l’essere scelto da Dio era anche una domanda che egli ci faceva di seguire il
suo Figlio in tutti i passi del suo cammino, eventualmente anche fino al
calvario.
Dal giorno
infatti in cui Cristo ha compiuto il suo sacrificio, sembra diventata
ineluttabile la legge della sofferenza per il traguardo della redenzione.
Ho detto al
Signore di “si” per me e per voi. Sono stato indiscreto?
Spero di no,
perché per noi “chiamati”, il vivere “è
una moneta da spendere” per comperare la salvezza nostra e dei fratelli.
(Dagli scritti di P. Albino, Bologna, 2-2-1971)
fare comunione
Il nostro Statuto al n. 73 dice: “Costruiremo la comunione solo se unite a Cristo e alla fonte inesauribile
del suo cuore. Da qui scaturiscono le espressioni concrete della vita di
comunione che sono: ascolto, accoglienza, comprensione, perdono, dialogo,
corresponsabilità nei confronti di tutti gli uomini, ma in particolare di
coloro con cui si svolge il nostro rapporto quotidiano”. E il RdV al n. 72 dice: “perdere
tutto piuttosto che perdere la carità”, secondo
la consegna del nostro Fondatore. Proponiamo una riflessione di p. Albino sul tema
della “comunione” quale filo rosso della nostra storia e del nostro
impegno quotidiano. Uno dei modi per incarnarlo oggi ci è suggerito da
questa riflessione: “Credo che se confidiamo nella misericordia del Signore ed
agiamo secondo il Suo Spirito troveremo la capacità di “fare il primo passo”
per un incontro autentico con Dio, tra di noi e con gli altri”… (Vinculum
n°1/2018, p. 3 – Lettera di Martina Cecini, Presidente della CM).
La denominazione che ci distingue nella Chiesa: “Compagnia Missionaria del
Sacro Cuore” ( Statuto, n. 1) ci conduce a fare della nostra Famiglia una nuova
Betania, un’oasi di affetto per Gesù, un corpo che vive di magnanima donazione
a Lui e ai suoi ideali di salvezza. Approfondiamo il senso dei termini,
cominciando dal primo: Compagnia.
La parola rende, con immediatezza, l’idea di una realtà compatta, che
marcia allo stesso passo, che svolge un’attività unitaria, che si immerge in un
unico sacrificio, che tende ad una medesima meta. E’ difficile pensare
diversamente mantenendo questa denominazione. Mi pare allora che nessuno più di
noi si trovi nella felice necessità di dare concretezza alla volontà di Gesù: “Prego anche per coloro che crederanno in
me…affinché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te; così
anch’essi siano una cosa sola in noi. Io ho partecipato a loro la gloria che tu
mi hai dato ( la divinità attraverso la filiazione divina) affinché essi siano
una cosa sola come noi siamo uno, io in loro e tu in me affinché siano perfetti
nell’unità e il mondo riconosca che tu mi hai mandato ed hai amato loro come
hai amato me” ( Giov. 17, 20- 23).
“Fare comunione” con Dio, tra di noi e con tutti gli uomini, nostri fratelli (non solo
ontologicamente per la presenza della grazia, ma anche psicologicamente per il
nostro volontario apporto intellettivo ed affettivo) è il termine necessario
della nostra vocazione.
Ma ogni processo di fusione postula che l’individualità e i pregi dei
singoli elementi cadano per sublimarsi nelle nuove proprietà del tutto. Credo
sia difficile ritenere nell’autentico spirito cristiano chi non è disposto al
sacrificio di qualcosa, anzi di tutto quello che è. Cristo non ha alcuna
ambiguità al riguardo ( cfr. Lc. 14, 26 e 33). Anche l’apostolo Paolo alza le
sue catene come accorato richiamo “all’unità
dello spirito nel vincolo della pace” (Efes. 4,3), “... usando umiltà,
mansuetudine, magnanimità, sopportazione reciproca (Efes. 4,2)”... perché una è
la fede, uno il battesimo, uno il corpo, uno lo spirito, una la speranza, uno
il Dio e Padre di tutti che è sopra tutti; opera in tutti ed è in tutti (Efes.
4,5-6).
Quando cesseremo di dire: “Questo è mio” in tutte le direzioni dei nostri
reali o presunti diritti, quel giorno varcheremo la soglia della felicità;
saremo nella disposizione seria di “fare comunione”, mentre la grazia del
battesimo diverrà operante in ciò che è fondamentale nel piano di Dio: il
nostro assorbimento, inteso e voluto, in Dio e nei fratelli.
I mezzi per fare comunione
1) La preghiera, molta preghiera, umile, insistente, strettamente
personale. Solo l’onnipotenza di Dio, infatti, può disporci al sacrificio
continuato del nostro egoismo per volere e cercare ciò che unifica. Poi la
preghiera, come sopra descritta, getta sempre il ponte di una filiale “comunione”
con i fratelli.
2) La grazia, la nostra “comunione” per piacere a Dio deve essere soprannaturale. La
sostanza ne è la grazia che attraverso Cristo, ci unisce in una sola vita con
il Padre e tra di noi così “chi sta a
Roma sa che gli Indi sono sue membra”
(cfr. LG n. 13). Crescere nella grazia, cogliendo premurosamente le mille
possibilità di ogni giorno, significa crescere nella intensità, nella efficacia
e nella cattolicità della nostra “comunione”.
3) Lo Spirito Santo, se il nostro essere cristiano si impernia nello
Spirito, allora “ conformiamoci allo
Spirito” (Gal. 5,25 ). Lo Spirito è essenzialmente forza protesa a creare
la “comunione” perché i suoi frutti sono “
la carità, la gioia, la pace, la benignità, la mitezza… “(Gal. 5,22-23). Le opere contrarie: “le risse, le
gelosie, gli impeti d’ira, le rivalità, le fazioni, le invidie…” e le altre
cose simili che rompono o incrinano la “comunione” con i fratelli, san Paolo le
qualifica “opere della carne”, opere
cioè di chi ancora non è maturato, di chi non è divenuto una piena realtà nuova
in Cristo ( cfr Gal. 5,19).
4) Una grande considerazione per la
Famiglia in cui ci ha raccolto la bontà del Signore. Qui non
possiamo assolutamente essere delle unità giustapposte ove ciascuna pensa come
vuole, si comporta come vuole, va dove vuole. La realtà cristiana dell’unità in
Cristo per cui siamo un solo corpo, viviamo di una sola vita, ci prodighiamo
per una sola salvezza, siamo in cammino verso una sola patria, il bel paradiso
di Dio che ci attende…deve trovare qui la sua prima espressione. “Se siamo chiamati a cantare insieme nel
cielo, perché non cominciamo già a cantare insieme sulla terra?” (Claudel).
Così anche se abbiamo personalità,
mansioni, attitudini e vedute umanamente diverse, nella carità di Dio “facciamo
comunione”, vogliamo la “comunione”, ma non accademicamente. Sarebbe il più
stupido dei formalismi. Bensì con lo stesso desiderio bruciante ed operativo di
Gesù. Del resto questo fu l’ultimo dei suoi desideri, il testamento sacro della
sua vita e del suo amore….(continua nel
prossimo numero)
P. Albino Elegante s.c.j.
Bari, 26.9.1970
l'acqua viva
La seguente riflessione ci riporta alla fonte iniziale della vita
cristiana, ci fa accostare all’acqua
viva e vera che disseta…e fa crescere. Ci aiuta a rivedere, a leggere in modo
sapienziale la nostra piccola storia personale inserita nella storia della Chiesa. Un semplice e profondo
messaggio che ci aiuta a vivere con fedeltà e creatività la nostra vocazione e
ci farà bene.
Carissimi, Bologna, 23 novembre 1991 qualunque parola mia, forse, guasterebbe la semplicità,
colma di solennità e di grandezza con cui il “chicco d’acqua” introduce le
nostre riflessioni. Diamogli allora spazio immediato e…ritroviamoci tra qualche
momento per ammirare insieme e lodare il Signore, perché “ cose grandi egli ha
fatto per noi” (Sal.126,2). Il
“Chicco d’acqua” Le riflessioni sui sacramenti condussero lentamente i Padri
a discorrere della Chiesa che li amministra. I sacramenti sono l’effusione
concreta dello Spirito. Il medesimo Spirito che, secondo S. Giovanni, è
raffigurato nell’acqua viva (cfr. Gv 7,38) e che è la linfa della Chiesa. Anche
negli scritti di S. Ireneo s’incontra questa idea. Possiamo rivederla in un
documento ufficiale del Concilio Ecumenico di Vienna (1312):” Il suo fianco fu aperto dalla lancia, perché dai fiotti di acqua e
di sangue che ne uscirono fosse formata l’unica, immacolata, santa, vergine
Madre Chiesa, sposa di Cristo. Allo stesso modo che dal fianco del primo uomo,
immerso nel sonno, fu formata Eva, per diventare sua sposa”. A questa idea si ispirano alcuni disegni di quel tempo che
raffigurano la Chiesa come una regina che sta in piedi, accanto alla croce. Ha
nelle mani un calice dove raccogliere il sangue e l’acqua che scendono dal
Cuore ferito di Cristo. Il nostro primo atteggiamento vuol essere atteggiamento di
lode alla provvidenza di Dio. Al cammino dei secoli, colmo di opere grandi e
belle, ma anche di debolezze, di ingiustizie, di peccati…ha assicurato la
presenza costante del suo amore con il dono della Chiesa. La Chiesa è il tabernacolo di
Dio che
custodisce i tesori della sua grazia e della sua misericordia. Con essi
guarisce le malattie degli uomini, arricchisce la loro povertà e santifica le
loro situazioni di vita perché tutto sia segnato dal sigillo vivificatore di
Dio. La Chiesa è l’ovile dove le pecore disperse
vengono raccolte per godere della tenerezza di Cristo e ritrovare, in lui,
l’unità che le fa riflesso sulla terra dello stile di vita del cielo. La Chiesa è la custode della parola che illumina i
passi degli uomini con la luce di Dio. Così il loro cammino li conduce con
sicurezza alla gioia di sentirsi realizzati nella verità e nella libertà. La Chiesa è la società dei
credenti in
Cristo. Ad essi , indistintamente, la fiducia di Dio ha affidato il compito di allargare a tutte
le genti la grazia della salvezza. Per questo Gesù ha pregato:” Padre che tutti
siano “uno”, come noi siamo uno. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato”
(Gv.17,21). Il carisma che lo Spirito Santo ha affidato alla CM – il
carisma della vita di amore, personificato al punto di farci “comunione” con
Dio e con i fratelli – ci inserisce pienamente nella missione della Chiesa.
Ogni atto che noi compiamo per costruire la “comunione”nel piccolo ambiente
della nostra vita quotidiana è “servizio” alla grazia della nostra Famiglia. Ma è anche apporto che
concretizza la missione propria della Chiesa, voluta esplicitamente dal suo
Signore per essere “segno” e “strumento” in Dio, della “comunione” di tutti gli
uomini. Così ogni espressione di fedeltà allo specifico della nostra vocazione,
fa anche più bella e più grande la Chiesa di Dio. Contribuisce operosamente al
suo sforzo di riunire “insieme” gli uomini dispersi dal peccato, perché l’acqua
e il sangue del Cuore di Cristo siano per tutti dono di purificazione e di
salvezza. Il “chicco d’acqua” ci
offre ogni giorno uno stimolo eccezionale a ritrovare l’entusiasmo e la
generosità nel vivere il dono divino della nostra appartenenza alla CM e alla
Chiesa. Lo desidero veramente
per me e per tutti voi. Maria ci aiuti a renderci degni di collaborare
efficacemente all’azione di grazia della Chiesa del suo Gesù. Con affetto
P.
Albino Elegante
gettare tutto nelle fondamenta
Frase che p. Albino ripeteva spesso alle prime giovani
che sognavano di costruire insieme la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore.
Ricordando i 60 anni di fondazione della Compagnia Missionaria proponiamo come riflessione stralci di una lettera, che risale al 1958 quando p. Albino all’inizio
dell’Istituto cominciava a vivere il suo ruolo di formatore del primo gruppo di
aspiranti missionarie. Dovendo assentarsi da Bologna per partecipare a un corso
di esercizi spirituali…prima di iniziare gli esercizi lui scrive a tutte per
ricordare che non possono dimenticare lo scopo ultimo della vita che hanno
scelto: arrivare alla santità! Una meta
che riguarda tutti!
E lo fa mettendo davanti a loro ideali grandi, orizzonti aperti, non si
stanca di esortare, ma è capace anche della tenerezza del padre e della madre, creando
un clima di umanità che segnerà per
sempre lo stile formativo della Compagnia Missionaria. La lettera propone impegni concreti che se accolti renderanno forti le “fondamenta” per
trasformare il sogno in realtà. “Quando sono tenaci, le radici, costituiscono una promessa di futuro.( Papa
Francesco in uno dei suoi discorsi nel suo viaggio a Myanmar).
12
gennaio 1958
Mie buone figliole,
Sono appena
arrivato, e prima di iniziare i Santi Esercizi mi è caro inviarvi il mio
ricordo e la mia benedizione. Ho tanto bisogno che preghiate per me in questi
giorni di grazia perché possa ricevere
sovrabbondante il dono di Dio che purifica, rinnova e santifica. Fatemi
in maniera larga questa carità così che il beneficio mio possa essere poi
beneficio vostro attraverso il contatto quotidiano della direzione spirituale e
la premura espressa nelle parole e nell’esempio per condurvi alla santità a
cui assolutamente vi chiama il Cuore di Gesù.
Pregherò anch’io molto per voi e offrirò volentieri tutti
i sacrifici piccoli e grandi che la Provvidenza mette sul cammino di ogni
giornata. Bisogna che vi porti
alla santità e bisogna che voi vogliate ad ogni costo giungere alla santità. Diversamente noi
abbiamo fallito nello scopo della nostra vita di Missionari e deludiamo le
aspettative della S. Chiesa e delle anime.
Per
la meta della santità
1) siate fedeli, estremamente e
serenamente fedeli al regolamento di vita quotidiano, vale a
dire all’orario con le pratiche di pietà prescritte, con i doveri di lavoro,
con l’esercizio del silenzio e del raccoglimento…
2) Ciascuna vinca decisamente quella particolare debolezza
spirituale che ancora non le permette di essere tutta e solo di Gesù. … Una delle prove
più pratiche e più sincere dell’amore è proprio questa: donare senza indugi e
senza compromessi quanto è vivamente desiderato e richiesto dalla persona cara.
3) Vivete nell’amabilità più cordiale con Gesù e con tutti i fratelli e le sorelle di Gesù.
Santa Bernardetta, parlando della Madonna che le era apparsa a Lourdes, ha
detto che “era
molto bella e sembrava così buona” perché aveva
sempre un sorriso celeste soffuso nelle sue labbra, anche quando lo sguardo era
triste e bagnato di lacrime per la visione dei peccati del mondo…
Quale onore più
bello potete fare a Maria che imitando sempre,
sempre, sempre il suo sorriso anche quando qualche
dolore vi cruccia, anche quando qualche amarezza vi rende triste lo sguardo?...
4) Curate la compitezza del vostro portamento esteriore.... Voi dovete essere cristalli purissimi sotto tutti gli
aspetti che riflettono a perfezione la grandezza e la nobiltà di Dio e di Maria
sua e nostra Madre….
Intanto per chi
vuole c’è già sufficiente, anzi abbondante materia di esame, di riforma e di
generosi propositi….
Vi ripeto: fatevi sante, fatevi sante, donando oggi a Gesù quanto gli dovete donare, senza
rimandare a domani sia pure la più piccola generosità. Così Lui si rispecchierà
nella vostra vita, in tutte le espressioni, in tutti gli atteggiamenti… Lo voglia proprio Gesù per l’intercessione di
Maria “Madre, Guida e Custode della Compagnia Missionaria del S. Cuore”. A Lei
ancora una volta vi affido perché vi formi il cuore docile che Gesù si aspetta,
un cuore cui torna a piacere l’ascoltare, il ritenere, il lasciarsi
guidare, perché l’essenza della nostra
vocazione sta proprio qui: lasciarsi guidare, un assoluto lasciarsi guidare a testimonianza concreta d’amore a Lui, Gesù, che vi ha
scelte.
Vi benedico di tutto cuore in Gesù e Maria.
P. Giuseppe (Albino)
Elegante
il nostro grazie
Quest’anno celebriamo il 60° di
vita della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore! Una tappa importante che
vogliamo vivere nel segno della festa e
del ringraziamento. Questa riflessione di p. Albino, presentata in altra
ricorrenza, la troviamo appropriata a questo evento perché ancora attuale e
perché fa emergere stimolanti indicazioni per rinnovare al Signore il nostro GRAZIE.
“Allora io ti renderò grazie al suono dell’arpa, per la tua fedeltà o
Dio. A te canterò sulla cetra, o Santo d’Israele” (salmo 71).
Come ringraziare per questi anni di vita della Compagnia
Missionaria ? Lo possiamo imparare da san Paolo. Ecco due esempi, fra i tanti
che incontriamo all’inizio delle sue lettere.
1 Tes. 1,2-4 : “Rendiamo sempre
grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo
continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra
carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo,
davanti a Dio Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete
stati scelti da lui”.
Notiamo anzitutto che il ringraziamento è rivolto a Dio
Padre. E questa è una costante dell’epistolario paolino: l’espressione della gratitudine va a colui che sta all’origine della storia e della nostra salvezza.
E’ da qui che nasce il grazie. Infatti,
ringraziare significa riconoscere l’iniziativa salvifica del Padre e la sua
azione efficace, sempre nascosta nelle pieghe più profonde delle vicende umane.
L’avverbio “sempre” significa di
continuo e che non si tratta solo di momenti liturgici, ma di un atteggiamento
del cuore. Notiamo inoltre che il grazie nasce e si alimenta dal “fare
memoria”, cioè dal ricordare: quanto più si ricordano i doni di grazia
ricevuti, tanto più cresce la gratitudine. E San Paolo ci insegna a nominare i
doni ricevuti come la fede, l’amore, la speranza...
Un’ altra motivazione che nutre il ringraziamento di Paolo è
individuata nell’amore e nell’elezione divina. L’essere “amati da Dio”è una
qualifica che specifica il vero nome di coloro che il Padre sceglie. Per
ringraziare di essere stati scelti e amati, occorre l’acutezza di occhi nuovi che penetrino l’insondabile profondità di
Dio. La scelta dei credenti è stata anticipata dal suo progetto: Lui ci ha
scelti gratuitamente, secondo un disegno misterioso di volontà elettiva.
Ognuno di noi può parafrasare e applicare alla Compagnia
Missionaria e ad ogni suo membro quello che San Paolo scrive alla chiesa di
Tessalonica. La nostra gratitudine va a colui che è all’origine della nostra
Famiglia spirituale: Dio e la sua azione efficace dentro le pieghe di questi
anni trascorsi. Gratitudine che sgorga dalla nostra disponibilità a “ricordare” ed “enumerare” i tanti doni di
grazia che danno volto alla CM: il dono del Cuore trafitto di Cristo da cui
nasce la nostra spiritualità e missione, comunione, oblazione, consacrazione,
secolarità, missionarietà ; uno stile di
amore tipico e qualificante. Questi altri doni costituiscono l’identità del
nostro Istituto che ha già attenuto l’approvazione pontificia.
Fil. 1,3-5: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre quando
prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per
il Vangelo, dal primo giorno fino al presente”.
Il ringraziamento in questo caso, è da san Paolo abbinato a
motivi “eucaristici”, a quello della preghiera di intercessione e
all’espressione di sentimenti di gioia, di fiducia e persino di affetto. Un
rendere grazie che rivela il cuore dell’apostolo che nel tu- a Tu con il suo
Dio non si isola, ma resta unito all’amata comunità, fatta motivo del suo
rendimento di grazie, oggetto del suo ricordo affettuoso e destinataria della
sua supplica. Si noti anche qui l’uso abbondante delle espressioni “ogni
volta”, “sempre”,” in ogni mia preghiera”.Più in dettaglio, San Paolo ringrazia
Dio perché dal primo giorno della loro
chiamata fino ad oggi, i filippesi hanno preso parte alla diffusione del
Vangelo.
Anche da questo scritto paolino non sarà difficile, per
ognuno di noi trarre lezione e nutrimento per come e perché vivere il
rendimento di grazie, intercedendo gli uni per gli altri e alimentando
sentimenti di gioia, di fiducia reciproca e di affetto. Un ringraziamento che porta ad aumentare il senso di appartenenza all’Istituto e a crescere nella comunione
tra noi e con gli altri. E vedendo se riusciamo a farlo “ogni volta”,”sempre”,”in
ogni preghiera” affinché anche di noi si possa dire, secondo le modalità
specifiche della Compagnia Missionaria, che dal primo giorno della nostra
vocazione “fino ad oggi”abbiamo “preso parte alla diffusione del vangelo”. E si
può enumerare tutta la partecipazione della Compagnia Missionaria alla
diffusione del Vangelo, non solo Italia, ma anche in altre parti del mondo. Si
può quindi concludere con il salmista:”Quanti prodigi in nostro favore, sono troppi per
essere contati”.
Ci auguriamo che questi ed altri esempi biblici possano
spronarci ad abbondare in rendimento di grazie. In forma semplice e mnemonica
possiamo ripetere il seguente ritornello:
“Allora ti renderò grazie, al suono dell’arpa, per la tua
fedeltà o Dio. A te canterò sulla cetra o Santo d’Israele” (salmo 71).
(dagli scritti di p. Albino Elegante)
gesù mite e umile di cuore
La contemplazione
del Cuore di Gesù, lo sguardo di fede, fugace ma intenso di desiderio, che
rivolgiamo di frequente alla sua immagine, lentamente ci conducono a farci
copia dei suoi sentimenti e della sua disponibilità.
Nella fedeltà
quotidiana all’impegno di preghiera, questa disponibilità si allarga e si
consolida. Al punto da renderci “adulti” in Cristo, testimoni limpidi ed
entusiasti delle disposizioni del suo cuore, particolarmente di quelle che sono
più efficaci di ammirazione e di grazia: l’amore misericordioso, la giustizia,
lo zelo, la volontà di pace….
E’ la nostra
missione: fare del Cuore di Cristo, il
cuore nostro e il cuore del mondo.
Qualunque sia il posto
dove viviamo, qualunque attività che rientra nei doveri della nostra
quotidianità, in famiglia, nel lavoro, nell’ambiente ecclesiale o sociale… noi
dobbiamo presentarci impregnati dello spirito del Cuore di Gesù e tutti,
indistintamente tutti, devono coglierne il fascino nella costanza della nostra
visione di fede, nell’apertura all’ottimismo e alla speranza, nella
disponibilità all’accoglienza, nella “caparbietà” serena a risolvere tutto
nella giustizia e nella carità.
La liturgia della Chiesa
ha scelto questa pagina come brano evangelico proprio della solennità del Sacro
Cuore dell’anno A.
Rileggiamola insieme:
“In
quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra,
perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai
rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato
dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me,
voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
(Mat. 11, 25-30).
Indubbiamente il Vangelo
di Matteo ci pone di fronte a un brano molto originale, in cui meritano
attenzione per “le cose che sono state dette” e “come” sono dette. Ne rileviamo
in particolare, due:
- l’esclamazione
di giubilo e di benedizione al Padre per lo stile con cui Egli conduce il
cammino della redenzione del mondo;
- l’invito
a seguire il suo esempio di mitezza e di umiltà. E questo, nonostante che Egli
abbia appena affermato di essere maestro “assoluto” e “necessario” per
l’addentramento dell’uomo nella conoscenza del mistero di Dio.
Potremo concludere che,
prima dell’intelligenza, preme a Gesù il nostro cuore. E’ lì che Egli vuole,
soprattutto, collocare l’amore e la pace di Dio.
L’esclamazione
di giubilo di Gesù
Ci colpisce la confidenza con cui Gesù si
rivolge al Padre. Capovolge la mentalità e l’uso, fino allora seguiti dal
popolo Ebreo, che aveva relegato la grandezza e l’onnipotenza di Dio in un
mondo tutto suo, inaccessibile ai limiti umani. Al punto che il pio israelita
non si permetteva nemmeno di pronunciare il nome di Dio.
Gesù, con il suo esempio, abbatte le
barriere della inaccessibilità dell’uomo a Dio e ci insegna che Dio è il Padre
buono e misericordioso, sempre aperto all’accoglienza. Il Padre che soprattutto
ama e vuole essere amato. Il Padre a cui piace immensamente il nostro linguaggio e il nostro atteggiamento
filiale.
Del resto è Lui stesso che ci instrada su
questo rapporto di semplicità. Gesù lo benedice perché rivela le cose della
sapienza di Dio. I misteri del suo amore non sono appannaggio riservato ai
dotti, ai grandi della terra, ma dono di amore e di infinita benevolenza per i
piccoli.
Così i piccoli, nel criterio di Dio,
diventano il prototipo di coloro che Egli ama. E Gesù dice ai “grandi” che
devono convertirsi e farsi nello spirito come loro. Diversamente non troveranno
posto nel regno dei cieli…
Imparate da me!
“Imparate
da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre
anime”. Con queste parole Gesù
si proclama “maestro di vita”. Maestro di tutti, perché tutti hanno incontrato
e incontrano sulla strada della vita il volto sfigurato della fatica e della
tribolazione, perché tutti fanno esperienza quotidiana della ingenita debolezza
che li spinge sotto la schiavitù del peccato e della morte (cfr. Rom. 5,12).
Gesù, come il Padre, vuole far giungere a tutti i tribolati il suo amore che
solleva e che salva.
Ma
è strana, per la mentalità umana, la strada che Egli sceglie per farsi nostro
sollievo: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Con due
aggettivi Gesù caratterizza il suo comportamento e ci assicura che, se lo
imiteremo, troveremo un profondo beneficio di spirito.
La mitezza: è il comportamento che dona un fascino straordinario alla
persona di Gesù. La sua bontà, la sua accoglienza, la sua disponibilità a
tutti, la capacità illimitata di comprendere, di perdonare, di aiutare, di
soccorrere ogni sorta di calamità…. Fa accorrere a lui le moltitudini persuase
che in lui “è Dio stesso che ha visitato il suo popolo” (Lc.7,16).
La via della mitezza è un obbligo
irrinunciabile per chi segue i passi di Gesù. Egli è stato molto esplicito nel
suo insegnamento: il nostro volto presenterà al mondo l’autenticità del suo
volto, solo se ci manterremo sulla linea della sua bontà…
La mitezza, per espandersi in tutte le sue esigenze ha bisogno assoluto di sbocciare
e mantenersi nel terreno dell’umiltà
. Per questo Gesù, pur dichiarandosi
guida necessaria a Dio, non trasborda mai nell’insofferenza dei limiti e delle
debolezze umane. Ne condivide volentieri il peso e dove è necessario si mostra
medico paziente e generoso che sa rimetterci fino… al sacrificio stesso della
vita, senza mai darsi l’aria di chi vive su un gradino superiore. Anzi!
La
sera dell’ultima Cena, racconta l’Evangelista Giovanni, nel mezzo del pasto
“Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse di un asciugatoio
e, versata dell’acqua in un catino, cominciò a lavare i piedi dei discepoli”.
Il gesto di Gesù, sul piano sociale era un gesto rivoluzionario
che rovesciava i comportamenti abituali, i normali rapporti tra maestro e
discepoli, tra padrone e servi. Sul piano della fede era addirittura un gesto
sconvolgente, assolutamente impensabile: Dio che si inginocchiava davanti
all’uomo.
Certo l’atto compiuto da Gesù suscitò
meraviglia e gli apostoli sorpresi, si saranno domandati che cosa intendeva
significare la novità di quell’atteggiamento. Gesù stava per consegnare alla
sua Chiesa il testamento di umiltà e di
servizio che aveva contraddistinto tutti i momenti della sua vita e che, se
accolto e seguito, avrebbe inserito i suoi seguaci nello stile specifico di Dio
e, come Dio, li avrebbe fatti beati.
Il mio augurio per la solennità del Sacro Cuore
Oso auspicare che l’imitazione di Gesù “mite e umile di cuore” divenga la
nostra beatitudine e il modo semplice, trasparente con cui soprattutto vogliamo
esprimere la nostra donazione e il nostro servizio al carisma che lo Spirito
santo ha posto nelle mani della nostra Famiglia. Ci conduca a questa grazia
l'imminente Solennità della festa del Sacro Cuore di Gesù.
( dagli scritti di p. Albino Elegante -
Solennità del Sacro Cuore 1996)