Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
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Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
il mio cammino professionale
Dopo
28 anni di lavoro professionale…l’agosto scorso sono andata in pensione! Ho
giubilato…La parola giubilo significa un’esplosione di gioia! Ora la interpreto
come la stupenda esperienza che ho vissuto come infermiera, in mezzo ai
fratelli, con profonda gioia… nonostante come qualsiasi lavoro, oltre alla gratificazione,
abbia comportato sacrificio, difficoltà…
“L’anima
mia magnifica il Signore e il mio
spirito esulta…”. Fin dall’inizio ancora quando studiavo e facevo pratica, la
Vergine Maria è sempre stata presente. Ricordo, quando ero ancora studentessa e
stavo nel collegio delle infermiere, c’era una bellissima immagine di Maria
nella nostra sala. Mi sentii accolta e protetta per sempre da Lei come Madre e
compagna. Da allora ho sempre portato con me una sua piccola immagine nei miei
posti di lavoro e quando ho avuto un mio ufficio nell’Università Cattolica vi
ho messo un’immagine più grande – che mi aveva regalato una mia amica – sulla
parete perché guardasse e custodisse
tutto e lì siamo state insieme lavorando quasi dieci anni.
Successivamente
ho portato con me questa immagine quando abbiamo iniziato il Centro di Salute
Mentale dell’Università Cattolica, dove ho lavorato fino all’agosto scorso.
Maria, Madre, Guida e Custode mi ha sempre avvolto con il suo amore e la sua
protezione ovunque sono stata. Quante volte, impotente, ho lasciato nelle sue
mani e nel suo cuore soprattutto i miei ammalati più gravi e più in difficoltà!
Ho
lavorato in vari reparti: intensivo, medicina, chirurgia, chemioterapia,
gastroenterologia sia in ospedale che in ambulatorio. Tuttavia il settore dove
ho lavorato di più è stato quello della salute mentale e drogati dove facevo
parte di un’equipe di alta qualità professionale, umana e cristiana. Qui ha
acquisito ancora più valore il mio lavoro professionale insieme alla mia testimonianza
di fede e di consacrata CM.
Avrei
ancora molto da raccontare: episodi, testimonianze, aneddoti…dato che la vita è
piena di vicissitudini. Credo di poter riassumere la mia vita professionale di questi anni come
un pellegrinaggio “insieme con Maria, con la sua gioia e gratitudine”. Gioia e
gratitudine perché, nonostante i miei limiti personali, posso dire che
“guardando la piccolezza della sua serva, il Signore ha fatto in me, finora,
meraviglie” e continuerà a farle nella mia vita. E questo dà alla mia anima
pace, speranza e gioia.
Per
il mio modo di essere, io sono molto riservata e di basso profilo, senza grandi
abilità sociali, però sento e tocco con mano che Dio ha messo dentro di me una
grande capacità di affetto per le persone ed esse rimangono in me. Ora tutto
questo non è frutto di causalità perché nessuno rimane in me senza nome, anzi
ognuno è parte della mia vita, entra nella mia storia e, in senso buono, nel
mio cuore e nella mia preghiera.
In
questi anni, con la forza e la luce della spiritualità C.M. come consacrata in
mezzo a questo “mio mondo” che il Signore mi ha donato e mi
dona, vedo che si sono creati vincoli di comunione. Il servizio professionale
si è unito all’accoglienza semplice per donare ai miei fratelli la realtà di
quella comunione che Dio regala loro nel Cuore di Gesù. Questo l’ho
sperimentato con il passare degli anni. La professione non l’ho vissuta solo
come un lavoro, ma come un cammino di comunione con i fratelli che incontravo giorno dopo giorno soprattutto
malati, medici, infermieri.
Il mio impegno costante è stato quello di fare
quello che mi competeva come un servizio professionale, ma cercando di
portarli tutti nel mio cuore, all’Eucaristia, nella mia preghiera e
nell’offerta al Cuore di Gesù e di Maria, nella comunione con Dio.
La
grande passione che ha suscitato la mia vocazione è stata la scoperta
dell’Amore di Dio e quindi poter amare …con parole CM: la comunione. Ho
studiato come infermiera perché lì, in mezzo ai sofferenti, ho incontrato
l’Amore di Dio che chiamava me, piccola creatura, a vivere da consacrata a Lui…
all’unico amore.
Così
sono passati gli anni e lavorando giorno dopo giorno, in diverse occasioni ho
trovato persone che mi hanno ringraziato per averle aiutate a non pensare al
suicidio, grazie all’affetto e all’attenzione che avevano ridato loro speranza.
Anche alcuni medici, psichiatri, psicologi mi chiedevano con tanta semplicità e fiducia una preghiera per le loro
situazioni personali…Altri che venivano a cercarmi, dopo anni, per salutarmi e
ringraziarmi. E proprio nel mio ultimo giorno di lavoro, mentre stavo
condividendo con alcuni miei colleghi un pezzo di torta prima di lasciarci
definitivamente, mi avvisano che una signora (senza dirmi chi era) voleva parlare con me. La segretaria, per
aiutarmi mi dice: “Le dico che sei occupata”. In un primo momento mi parve che
avesse ragione dato che ormai non lavoravo più lì. Poi ho pensato che forse la
signora aveva bisogno e che l’avrei ancora potuta aiutare e così l’ho accolta.
Era Gloria, una delle mie prime pazienti, circa 20 anni fa, che era lì per
un incontro con lo psicologo e desiderava salutarmi.
Che abbraccio, che gioia,
quanti ricordi, lotte, sofferenze e quanto affetto! E’
stato per me come il
simbolo del mio lasciare per sempre il lavoro professionale.
Come
missionaria CM, in questo cammino in mezzo ai fratelli,
mediante la mia professione di infermiera, tento di
riassumere la presenza
di Dio nel mio lavoro con queste immagini:
Maria: in questa immagine che mi ha ricevuto come
alunna,
simbolo di una presenza piena di tenerezza che
mai mi
ha abbandonata, mia cara Madre, Guida e Custode.
Il Cuore trafitto di Cristo: immagine che mi è
giunta quando
ho
conosciuto la CM e che mi diceva: “ Ora puoi,
sotto la protezione di Maria, approfondire e
vivere la
comunione
con me portando tutti i tuoi fratelli nel
mio cuore. Così ho potuto camminare e continuo a
camminare nella comunione, mediante la mia
offerta
quotidiana.
I miei fratelli malati, rappresentati nel saluto
di Gloria nel mio ultimo giorno di lavoro: fratelli che sono passati nella
mia vita, giorno dopo giorno, non come anonimi, anzi l’affetto, la forza
della comunione ha dato loro spazio nel mio umile cuore e da lì nel Cuore
che ha dato loro forza per lottare…il Cuore di Cristo.
Ora
vedo che tutto questo l’ho vissuto nell’intimità, nel silenzio, nella
semplicità e nell’opacità e routine che
caratterizza la vita quotidiana. Tuttavia mi rendo conto soprattutto che l’ho vissuto nella convinzione
piena di speranza, arricchita dall’Eucaristia, l’adorazione, la preghiera, la
comunione con la mia cara CM. Di conseguenza nessuno dei miei passi, azioni,
impegni, scelte…erano solamente qualcosa di mio, ma che tutto si andava
realizzando nella comunione con il Signore, per mezzo di Maria, insieme con
Maria. E’ il Signore che mi ha chiamato con Lui sempre…e che mi ha abbracciato
con il suo amore infinito chiamandomi nella Compagnia Missionaria. E’ il
Signore di ogni cammino!
essere di dio, essere donne
15 agosto 2014
In questo periodo in Cile possiamo respirare un poco perché abbiamo due
settimane di vacanze invernali, anche se è soprattutto per le scuole e gli
studenti. Tuttavia alcuni di noi possono approfittare di questo periodo per la
formazione. Si organizzano le “scuole della fede” e giustamente la diocesi di
san Bernardo ha scelto, tra gli altri, il tema dell’amore umano. Condivido con voi alcuni aspetti che hanno destato la mia attenzione in riferimento al nostro modo di essere nel
mondo.
La domanda cosa significa essere
uomo o donna ci rimanda ai primi capitoli della Genesi per riflettere sulle
parole creatrici del testo biblico: “e
Dio disse…” e “Dio vide che era cosa buona”. E più avanti la Scrittura
dice: Dio disse facciamo l’uomo a nostra
immagine, secondo la nostra somiglianza…(Gn 1,26). Nella parola facciamo Dio si rivela a noi come unità
di persone, cioè l’unità trinitaria. Ed è questo Dio trinitario colui che crea, plasma il suo Essere come
uomo e donna. Con che delicatezza è stato capace di imprimerci il suo essere
divino che ci rende a somiglianza di Dio.!
Ma in che cosa consiste l’essere immagine di Dio? Quando Dio stava
creando disponeva la natura e gli esseri viventi in modo da godere il più bel
giardino abitabile…e Dio vide che era cosa buona. Tuttavia l’essere umano non
rimane in questo ordine di cose, in questo ambito abitabile, anche se è
qualcuno con una sua singolarità, con una sua libertà, capace di stabilire una
relazione con il suo simile. E’ immagine di Dio e questa impresa è nelle mani
del suo creatore, è immagine di Dio in quanto è persona.
A partire da questa condizione di
essere umano, è una persona con una sua interiorità, è capace di leggersi
dentro come uomo e come donna, con una corporeità diversificata e quindi
diversa in tutto il creato. La Genesi dice che l’uomo esclama, esulta:”Questa volta è osso delle mie ossa,
carne della mia carne”(v. 23).
Quando arriva la donna cambia tutto,
l’uomo si riempie di gioia. Ora non è più solo e nella donna è capace di vedere
se stesso, è capace di riconoscere in
lei la sua compagnia, il suo aiuto perfetto. E’ proprio come uomo e donna, che
portano impressa nei loro corpi l’immagine di Dio, unica e irrepetibile.
A partire da queste verità, che
molte volte abbiamo studiato, mi viene spontaneo ringraziare il nostro Dio per
quanto ci ha dato: per la nostra condizione di persone con tutta la nostra
capacità di amare, di pensare, di interiorità, con un mondo di sentimenti, con
la nostra capacità di relazione, di incontrarci gli uni gli altri, con
l’anelito al Trascendente, con la nostra necessità di Dio.
Ringrazio soprattutto per il nostro
essere donne, con tutto quello che significa: per come viviamo la nostra più
profonda sensibilità, la tenerezza, il potere di generare, la delicatezza, la
bellezza, tutta la dimensione dei significati che portiamo nel nostro corpo. In
questo corpo che è capace di amare fino a dare la vita per un’altra vita che si
ama profondamente più che la vita propria.
Per questo Dio non ha avuto dubbio
nello scegliere una così degna abitazione, nel grembo di una donna. Una donna
bella, forte, piena di amore per accoglierlo. E, con lei, un uomo, un compagno,
un padre. E in questa dimensione la nostra condizione di uomini e donne è
elevata al massimo nel mistero dell’Incarnazione.
Allora, come non aver cura della
dignità dell’essere donna e riflettere un poco la divinità del nostro creatore
nelle nostre relazioni personali, nel modo come noi comunichiamo, quando
preghiamo, quando insegniamo e quando lavoriamo per il Regno di Dio. E siamo
donne consacrate nella CM quando
guardiamo alla vita con lo sguardo che ha avuto Gesù, o meglio con gli occhi di
Maria di cui condividiamo la stessa condizione, essere donne.
Riconoscerci donne e ricche dei
tanti doni che Dio ha voluto condividere con noi. Mi dà gioia il pensarci così:
figlie, madri, nonne, singole, sposate o consacrate. Ognuna è chiamata a
comunicare la vita. E, cercando e ricercando, mi sono imbattuta in questa
preghiera di mons. Carlos Oviedo Cavada che mi pare esprima bene quello che
sentiamo. Vi invito a fare nostra questa preghiera:
Padre buono, mediante il tuo amato Figlio
Nostro Signor Gesù Cristo,
noi abbiamo sperimentato
l’amore immenso che tu nutri per noi.
Tramite Lui sappiamo
Elizabeth (a destra)
con Teresa
e Margarita
che tu ci nutri
con più affetto che agli uccelli
e che ci vedi più belli dei fiori.
Ti lodiamo per la dignità del nostro corpo,
perché è la migliore opera delle tue mani,
uno strumento per trasmettere la
vita
e per esprimere il nostro amore impegnato.
Ti benediciamo per il Corpo e il Sangue di Gesù
da cui riceviamo la forza e l’amore.
Ti rendiamo grazie perché a contatto con il suo corpo
i ciechi recuperano la vista,
i lebbrosi sono guariti,
i paralitici si rialzano in piedi,
i peccatori ricevono il perdono.
Chiediamo il tuo aiuto e la tua compagnia
perché sappiamo vivere nel nostro corpo
con la maestosa dignità di figli
tuoi,
fratelli di Gesù Cristo e tempio dello Spirito Santo.
Fa che l’amore abiti nei nostri cuori,
che ci sia trasparenza nel nostro sguardo,
purezza nelle nostre parole e azioni
e rispetto per ogni essere umano.
Maria, madre del bell’amore,
aiutaci a dare testimonianza del vangelo nel nostro mondo. Amen
“togliti i sandali perché questa è terra sacra”
L’11
settembre 2014 sono arrivata all’aeroporto di Maputo dove mi aspettava
Giannina. Verso sera, dopo l’Eucaristia, mi sono trovata con Irene che, piena
di entusiasmo, stava preparando il materiale per una “Fiera Vocazionale” del 13
settembre a Inhambane. Alle 22.00 siamo andate all’aeroporto a prendere
Gabriela in arrivo da Nampula, per poi partire il giorno seguente con Irene e
Catarina, una giovane aspirante, per la suddetta Fiera dove non andavano né a
vendere né a comprare, ma per far conoscere gli Istituti Secolari e, tra loro,
la Compagnia Missionaria.
Né i
dolori alla schiena di Irene, né la stanchezza di una settimana di Gabriela e
di studio per Catarina hanno impedito loro di partire all’incontro dei giovani
per far loro conoscere, insieme agli
Istituti Religiosi, la diversità dei carismi che lo Spirito Santo suscita nella
Chiesa. Ho sentito un desiderio enorme di accompagnarle, ma avevo già combinato
di trovarmi con Anna Maria che, proprio in quel giorno arrivava a Maputo, di
passaggio per l’Indonesia per una missione di formazione e animazione in
collaborazione con Santina.
Eravamo
tutte in diaspora per la formazione, accompagnamento e animazione vocazionale –
missionaria. In questo vai e vieni costante, il gruppo di Maputo è stata la
nostra tenda d’incontro: punto di arrivo, di accoglienza, di riposo e di
partenza.
Dal
14 settembre al 19 ottobre, per la terza volta, sono stata a Nampula per
rimanere con le missionarie, le ragazze in formazione e le aspiranti della
Compagnia Missionaria. In un primo momento la mia missione sembrava ben
definita e preparata. Ma dinanzi alla realtà, con piedi saldi a terra, ho
capito subito la necessità di pormi in un atteggiamento umile e semplice per
ascoltare, intuire la cultura, percepire ciascuna persona come un essere unico
e irrepetibile, portatore di una sua storia personale. Avevo già appreso, nella
mia professione, l’importanza di programmare e pianificare con responsabilità
le attività e, allo stesso tempo, essere flessibile dinanzi agli imprevisti, al
nuovo… Essere flessibile, tenendo presente la meta da raggiungere, mi ha
aiutato a spogliarmi non per indossare la capulana, ma per pormi in un
atteggiamento di libertà interiore che mi permettesse di stare dinanzi al
mistero dell’altro, capace di meravigliarmi e inginocchiarmi dal di dentro.
Conoscere e aiutare ciascuna delle ragazze in
formazione e le aspiranti a conoscersi meglio nelle loro qualità e capacità,
nei loro punti deboli e nei loro limiti ha richiesto un grande sforzo di
inculturazione e di apprendimento. Ho cercato di camminare a fianco e nella
stessa direzione, disponibile ad accogliere e cogliere l’altra nella sorpresa e
nella novità. C’è in ciascuna e in tutte una volontà enorme di crescere, di
essere protagonista del loro proprio processo di sviluppo integrale.
Davanti al mistero del fratello – lo sconosciuto,
l’inatteso, il nuovo, il diverso – Dio continua oggi, come al tempo di Mosè, a
dirmi e a dirti: “Togliti i sandali
perché questa e terra sacra”.
Non
so quale sarà il futuro di queste nove giovani della CM a Nampula: tre sono in
formazione nella casa di sopra: due in Orientamento, Alefa e Joana, una nel
Biennio, Isabel; sei in accompagnamento nella casa di sotto: Ana Paula,
Angelina, Argèlia, Ilda, Edilmisa e Natalia. Tuttavia so e sento che la CM,
accompagnando queste giovani nel loro discernimento vocazionale, nella loro
formazione e crescita umana, spirituale, culturale, accademica e sociale, sta
collaborando con Dio nella creazione continua e risponde all’appello di papa
Francesco di andare alle periferie esistenziali.
Ammiro
la capacità che manifestano nell’organizzazione e esecuzione responsabile dei
compiti domestici, liturgici e scolari. Sanno gestire il tempo in modo da dare
a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio e questo, in
pratica, significa essere Betania. Possonoessere occupate nei loro studi o
altro, ma sono sempre pronte ad accogliere il bambino che bussa alla porta a
chiedere un bicchiere d’acqua, i colleghi/amici, i poveri e li fanno entrare,
sedere in veranda e fanno loro compagnia. Sono dotate per l’ospitalità. In
realtà Gesù, come allora in Betania, continua oggi qui, nella persona del
fratello, a cercare uno spazio per riposare e recuperare energie…
Ho
vissuto giorni tranquilli, molte ore da sola, ma la solitudine e la monotonia
non le ho sentite lì, anzi ho potuto cantare con p. Zezinho:”Molta gente vive senza amore e sente la
solitudine, ma qui in questa casa del Signore, la solitudine non esiste”. E’
sempre possibile trovare il nuovo e il bello nella semplicità del quotidiano…
Basta contemplare il tramonto, la foglia secca che, nel ballo della discesa
entra nella danza delle sue compagne, lo sguardo di un bambino, le piante
fiorite… per dimenticare le
preoccupazioni e semplicemente entrare in comunione con il Creatore e con le
sue creature.
Abbiamo
vissuto momenti di gioia e di fraternità davvero gratificanti come l’essere
andate alla spiaggia delle Chocas, alla diga e al monte Monapo. Inoltre abbiamo
partecipato tutte al matrimonio di Claudina, del gruppo degli amici CM di
Nampula. Una festa molto bella. Ho sperimentato una grande libertà quando hanno
distribuito una t-shirt e una capulana a tutte le missionarie, alle ragazze e
signore del gruppo degli amici CM, come nostro abito per la partecipazione al
matrimonio. Ho ammirato la serietà e responsabilità
nel preparare la celebrazione eucaristica, la partecipazione di tutti, senza
fretta né stanchezza…Tutto era gioia, colore, danza…manifestazione di una fede
di chi dà il primato a Dio. Davvero un giorno meraviglioso.
Un
altro momento importante è stata la partecipazione all’incontro mensile di
riflessione del gruppo degli amici di Nampula, animato da Imaculada. Ho colto
che investono con molta serietà nella formazione, nella condivisione, nel senso
del gruppo e nella preghiera. La condivisione evidenzia chiaramente un grande
cammino e molta volontà di crescere. Riconoscono e ringraziano per il molto che
hanno ricevuto dalla CM e anche noi riconosciamo e ringraziamo per il molto che
riceviamo da loro.
La mia visita alla comunità di S. Paolo è stato un
momento molto significativo. Giocare a palla con i bambini, incontrare e
conversare con persone che vivono nelle “palhotas” mentre preparano le foglie
di mandioca per fare “matapa” e con altre rinnovano la copertura delle
suddette palhotas mi ha fatto sperimentare una gioia
profonda e una maggiore comprensione nei
confronti dei missionari ammalati e anziani che non vogliono ritornare al
conforto delle loro case in Europa, ma preferiscono rimanere lì, darsi fino in
fondo a questa gente, sempre pronta ad accogliere la Buona Novella. Senza
dubbio quei bambini pieni di polvere, scalzi, ricoperti di stracci…sono
totalmente disponibili ad accogliere, giocare, stare con noi e darci il meglio
di quello che hanno: la gioia, il sorriso…
Mi
sarebbe piaciuto stare anche con le ragazze di Invinha, ma non mi è stato
possibile.
Il 19
ottobre, al termine della Giornata Missionaria Mondiale, sono tornata a Maputo.
All’aeroporto mi aspettavano Irene e Giannina. Nei giorni 20 e 21 ho avuto
l’opportunità di vivere con loro momenti di condivisione e preghiera e anche di
meravigliarmi nel vedere la gioventù dovuta a tante primavere accumulate, la
convinzione che guadagna la vita chi la
perde e che vale di più, secondo il detto di p. Almiro, spendersi anziché arrugginirsi, dà loro
ali per andare, per stare sempre in uscita: alla scuola, all’ospedale, agli
incontri di animazione vocazionale e missionaria…
In
quei giorni ho avuto anche l’opportunità di trovarmi con Catarina e Julieta e
di dialogare con ciascuna e con il gruppo. Ho passato tre pomeriggi con Alice –
uno al mio arrivo e due prima di rientrare – e abbiamo avuto l’opportunità di
stabilire un dialogo esistenziale ricco di comunione che ha contribuito a
rafforzare legami di amicizia e di famiglia.
Ringrazio
Dio, le missionarie, le ragazze e gli amici CM in Mozambico, i Padri Dehoniani
e altri padri amici della CM, alcuni dei quali già li conoscevo e che hanno
avuto la delicatezza di accogliermi e farmi sentire Chiesa, una Chiesa
missionaria e fraterna.
nella biblioteca del centro culturale di napipine
La mia preparazione come supervisora nella biblioteca
è iniziata l’anno scorso. Frequentavo la scuola media superiore di Napipine e
tutti i giorni ero là per leggere, scrivere, fare ricerche.
Tante volte mi ero seduta al lato di Lurdes, l’allora
supervisora, per imparare da lei come accogliere il pubblico e per capire gli impegni
che quell’incarico comportava. Osservavo con attenzione il modo come lei
accoglieva le persone: ascolto, ritiro della tessera di ognuno degli utenti, il
registro con i fogli numerati, nome, attività richiesta, lettura e utilizzo del
computer…
Quando è arrivato il mio momento di
prestare questo servizio comunitario di intervento civico e sociale, Anna Maria
mi ha affidato questo impegno-missione e mi ha dato alcune indicazioni su come
agire. L’orario di apertura è dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 11.30 e
dalle 14.00 alle 17.00. Mi trovo bene a contatto con gli studenti ed ho una
buona relazione con tutti loro. Infatti sanno come usare, rispettare l’ambiente
di una biblioteca e collaborare quando è necessario.
Riconosco che questo spazio è molto
importante per l’esito accademico di coloro che lo utilizzano perché offre loro
buone condizioni di lavoro. Normalmente funziona bene. Tuttavia a volte ci sono
dei problemi e reclami perché mancano libri, soprattutto quelli più ricercati. Preso atto di questo disagio,
abbiamo avviato un lavoro di elencazione dei libri più richiesti e per i quali
non abbiamo risposta. Questa elencazione sarà inviata alla ONLUS insieme ad una
relazione di fine anno con la speranza di trovare una risposta più efficace per
i nostri studenti che frequentano la biblioteca.
I nostri undici collaboratori sono
distribuiti, dal lunedì al venerdì, in due turni, mattino e pomeriggio. Hanno
assunto in modo responsabile il loro lavoro e sanno utilizzare bene il tempo
anche per i loro studi universitari e s’impegnano a collaborare nello studio e
uso dei computers con gli utenti che
hanno maggiori difficoltà. Frequentano la biblioteca, oltre agli studenti
iscritti, anche le giovani in accompagnamento vocazionale della Compagnia
Missionaria.
Durante questo anno ho approfittato
per approfondire le mie conoscenze attraverso la lettura. Il prossimo anno mi
piacerebbe riprendere gli studi. L’esperienza di lavoro in biblioteca sarà per
me un valore aggiunto per il prosieguo degli studi. Il mio amico Cecilio,
conosciuto da molto tempo dalle missionarie CM, ci ha aiutato molto a risolvere
vari problemi dei computers.
Ringrazio Dio per la sua chiamata
Desidero anche condividere con voi
il mio primo passo nella Compagnia Missionaria. Con l’aiuto di Dio, e delle
missionarie Mariolina, Helena, Martina e Anna Maria, dopo un periodo di
preparazione umana e cristiana, il 14 giugno di quest’anno ho iniziato il
periodo di Orientamento. E’ stato un avvenimento meraviglioso che mi ha fatto esultare di gioia per essermi decisa
a seguire Gesù. Gabriella mi ha accolto nella CM: mi ha consegnato la Bibbia
perché mi sia lampada ai miei passi, luce per il mio cammino e perché mi
insegni a vivere con sapienza e fedeltà il mio battesimo; il libro di preghiere
come alimento quotidiano della spiritualità CM; un’immagine della Madonna delle
origini perché io sappia ricorrere sempre a lei come Madre, Guida e Custode.
Il messaggio che Helena ha letto, la
presenza dei monaci di Rex e delle missionarie di Nampula mi hanno fatto
sentire amicizia e comunione.
ben-haja inhambane!
Abbiamo accolto con
gioia l’invito, da parte del diacono Ananias, a partecipare alla fiera
vocazionale, organizzata dalla commissione diocesana di Inhmbane il 13
settembre 2014.
E’ stato un momento
solenne, un incontro fraterno dove è stato possibile uno scambio di esperienze
riguardo alla dinamica diocesana della pastorale vocazionale.
Di Maputo, abbiamo partecipato Irene ed io e da
Nampula, Gabriela. Siamo partite venerdì 12 settembre, molto presto perché ci
aspettava un lungo e stancante viaggio ma, nonostante le difficoltà, abbiamo
affrontato il tutto con coraggio e serenità. Siamo arrivate a Inhambane alla
sera e precisamente al Centro di promozione umana di Giùa, gestito dai
Missionari della Consolata, dove siamo state ospitate per due giorni.
La mattina del sabato
già si vedevano arrivare persone dal sud della regione e dal centro di quella
diocesi che venivano a partecipare a questa fiera vocazionale. All’inizio c’è
stata una bella riflessione riguardo alla vocazione e alla preghiera. Subito
dopo, 21 Congregazioni/Istituti hanno presentato il loro carisma ed hanno risposto
alle domande dei circa 300 partecipanti in ricerca vocazionale di età diverse.
In seguito c’è stata
la presentazione del carisma e missione
di ciascun Istituto, cioè la propria dimensione essenziale. Riguardo alla
Compagnia Missionaria, Gabriela ha comunicato chi siamo, Irene invece ha
parlato della nostra spiritualità ed io ho presentato la nostra missione.
Essendo la nostra vocazione secolare una novità in Mozambico, soprattutto in
quella regione, la nostra presentazione ha suscitato un grande interesse nei
giovani presenti e anche in alcuni istituti religiosi.
Un altro momento
importante è stato il pranzo, preparato con tanto amore per tutti noi
partecipanti, dove abbiamo avuto la possibilità di scambiarci impressioni con
diverse giovani che, un po’ timidamente, ci avvicinavano e presentavano i loro
dubbi …Giovani molto aperte e desiderose di conoscere e imparare. E’ stata
davvero una magnifica esperienza! Mi ha rafforzata nel mio desiderio di
continuare il cammino con la Compagnia Missionaria e mi ha fatto realmente
scoprire un altro orizzonte della vita cristiana.
Ben-Haja Inhambane!
vita quotidiana dei miei studenti
Ho raccontato altre volte un po’
di storia della nostra presenza a Maputo e di questa Nazione, dove anche noi
abbiamo avuto la nostra minuscola, quasi invisibile, parte, condividendo il
cammino del dopoguerra e costruendo per i
loro figli una scuola. Oggi apro
una finestra sul quotidiano dei miei studenti. Innanzitutto vi dico subito che le ragazze e i ragazzi, al primo
incontro, paiono somigliarsi, per cui non mi é stato facile nei primi tempi distinguere Magda da Ana, Anira da
Daimira, e tantomeno Nelson da Abdul, Sergio da Tomás e cosí via. Oggi li conosco tutti e ricordo anche i primi,
quelli del 1990, che oggi, dopo 24 anni,
ancora tornano a farsi vedere, a iscrivere i figli a scuola. Vengono a vedermi, a chiedere aiuto, a
raccontarsi. Io ci sono sempre, li ascolto e quando se ne tornano a casa una
parte di me è con loro.. Conosco nonne, cugini, genitori, i nuovi orfani che
vivono storie tristi, storie di ferite, le nuove famiglie... Sono tanti, mai troppi. Essi sono diventati i “figli” che amo
e seguo anche quando formano la loro nuova famiglia, quando nasce un
figlio, se si ammalano, se perdono il
lavoro, se vanno a vivere lontano, se prendono una brutta strada...
Le
loro famiglie di periferia.
Nella nostra scuola passiamo
insieme anni, gli anni dell’adolescenza, dei sogni, delle speranze. I ragazzi e le ragazze arrivano dopo le
primarie a 11/12 anni e vanno via a 16 anni, se sono studiosi, a 18/20 anni se
hanno avuto problemi. Essi provengono da
famiglie con un basso livello di formazione, che peró stanno migliorando il
tenore di vita con la tenacia e il lavoro. Alcuni genitori hanno perfino ripreso a studiare sia per avere piú opportunitá di
lavoro, che per aiutare i figli a scuola. La mamma di Meríta, Esthér, sta frequentando la 7°, Meríta é in 6ª e gli altri fratellini, 3 maschietti, sono in
1ª, 2ª e 3ª elementare. A casa c’é la presenza rassicurante di nonna
Marta. Il papá di Felizberto,
Cesár, che aveva frequentato da noi fino alla 10ª classe - ricordo la sua
passione per lo studio -, quest’anno é riuscito ad iscriversi alla 11ª classe
grazie alla collaborazione di sua moglie Catarina e della Tia Agostinha. In due
anni potrebbe accedere all’Universitá. Voleva fare ingegneria meccanica, ma
potrebbe anche fare informatica. Di notte lavora, fa il “guarda” , il guardiano
di un albergo di Maputo.
I
ragazzi e le ragazze piú poveri, tipo Antonio, Vánia, Vanessa, Adérito e altri
che non sto a nominare, sono spesso
anche quelli che rendono poco e male a scuola. I loro genitori sono fuori casa per lavoro dal mattino presto a sera tardi, prendono poco, non
hanno mai tempo per i figli e non
sempre c’é una nonna di supporto. Questi
ragazzi che vivono nella lontana periferia, sono molto sacrificati: si alzano alle 4 del mattino per uscire di
casa alle 5. Devono prendere il primo chapa delle 5 e mezza per essere a scuola puntuali. Si
inizia alle 7. Antonio ad esempio non ha l’acqua in casa e il suo primo lavoro
é di fare rifornimento al mattino appena sveglio. Pure Vánia aiuta fin
dall’alba, andando a raccogliere la
legna per accendere il fuoco, scaldare l’acqua per la doccia per sé, mamma
e papá. Solo dopo escono a prendere il chapa, lei per andare a scuola in cittá,
i genitori per andare al lavoro. Non c’é l’abitudine di fare colazione, né di prendere con sé una
merenda. Quando arrivano a scuola sono assonnati fino verso le 8 e mezza,
quando squilla la campana di pausa e
comprano qualcosa da mangiare. Patrice, Samuel, Cristina, Melissa, Tiago e
Evander vengono da Matola, territorio molto vasto, dove le famiglie piú povere
hanno l’opportunitá di costruirsi una casetta un pezzo per volta. Da qualche
anno si stanno spostando lí tutte le piú grandi imprese e sta diventando la zona industriale di Maputo.
Con
tre chapa raggiungono Maputo
Per raggiungere la cittá, dove ci
sono i servizi, scuole, ospedali, uffici governativi, si usa il mezzo di trasporto “chapa”, il piú
economico, l’unico mezzo pubblico, un VW a 9 posti, che puó arrivare a 20 posti
a sedere, perché al suo interno vengono fissate delle panche. Qualcuno viaggia
anche in piedi, curvo, pur di entrare nel chapa e non dover aspettare il successivo, che non si sa se ci sará e a che
ora. Chi é piú mattiniero sale davanti,
accanto all’autista e divide quello spazio con un altro viaggiatore. É il posto
migliore. Si aspetta che ci siano tutti, si parte solo quando il chapa é pieno,
ma pieno davvero, con qualcuno seduto sulle ginocchia.
L’altro mezzo a disposizione del
popolo é un autocarro aperto dietro,
dove una trentina di persone stipate fitte e con il loro carico di merce da
vendere in cittá, viaggiano in piedi, aggrappati gli uni agli altri. Lo spazio
é quello, viene sfruttato al massimo e vi succede di tutto: chi viene derubato,
chi deve fare da “aggancio” al vicino che non sa dove tenersi per non cadere,
con disagio del sesso debole, che deve sopportare cose spiacevoli. Il percorso dura anche piú di un’ora a causa
dell’ingorgo del traffico, su un percorso che si potrebbe fare in metá tempo.
La strada sconnessa e piena di buche viene percorsa come una
gimcana per evitarle. Si sopportano scossoni e spinte soprattutto in curva o nei sorpassi. Arrivati a destinazione della tratta, c’é il
cambio di chapa e si riparte. A volte ci
vuole molto piú tempo, a coprire lo
stesso percorso, soprattutto quando c’é
molto traffico e si fanno code interminabili. Le vie che portano al centro
cittá sono poche. Dal Nord, dal Gurue, entrano in Maputo file di auto, camion carichi di lavoratori e di studenti, che partono alle 3 del
mattino da Quelimane per arrivare in
tempo in cittá e fare le loro commissioni. C’é un’unica arteria
supertrafficata, dove si immettono dalle vie interne chapa, camion, auto,
carretti spinti a mano, piccoli taxi, gente in bicicletta, che formano una
fiumana di mezzi e di persone. Ultimamente la gente ha avuto grossi problemi di
sicurezza sulla strada a causa della guida sconsiderata degli autisti dei
chapa. Essi vanno a velocitá elevata, non si curano di semafori, né di codice
della strada. Fanno dei sorpassi che ricordano piú le giostre dove ci
divertivamo da piccoli, che il senso di responsabilitá per le persone che
portano. Ti tagliano la strada, superano indifferentemente da sinistra o da
destra, si fermano improvvisamente per scaricare le persone e farne salire
altre senza un minimo di attenzione per chi sta dietro o di lato. É vero che le
buche nell’asfalto sono pericolose, ti possono far saltare l’asse, bucare le
ruote, far sbandare il mezzo che finisce addosso agli altri veicoli. Ma quelli
corrono, perché a fine giornata devono aver fatto un certo incasso per avere un
buon margine. La gente é scontenta, gli
incidenti causano anche morti, ma quale altra alternativa? Per questo tutti se
ne servono, altro mezzo pubblico non c’é.
Avevano provato a far girare dei mezzi piú grandi, con posti normali, piú comodi.
Il costo del servizio andava al di lá delle possibilitá della gente, per cui é
fallito il progetto.
Non parliamo poi di come si
viaggia quando piove! Basta un giorno intero, o una notte di pioggia e le
strade diventano impraticabili. L’acqua cresce, copre le strade, fa un unico
canale d’acqua e la terra rossa si fa poltiglia che si attacca alle ruote. La
gente é costretta ad uscire di casa con
i pantaloni arrotolati, le ciabatte di plastica ai piedi o scalzi, l’ombrello é
inutile e si portano il cambio per quando arriveranno al lavoro o a scuola.
Nelle viuzze tra le abitazioni l’acqua
copre tutto ed entra in casa. Ci sono buche e avvallamenti anche di mezzo
metro, provocati dallo spostamento della terra rossa sabbiosa che viene portata
via dalla pioggia. Nessun mezzo si arrischia a passare lá dentro. Se succede
che si impantana deve aspettare che venga il giorno buono per essere tirato
fuori. Il carro attrezzi? Non siamo in Italia, mi dicono gli amici. Qui é
cosí.