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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
Compagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia Missionaria
Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto 2024
    Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
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  • 09 / 08 / 2024
    19 ottobre 2024
    Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online... Continua
il mio cammino professionale
 
Dopo 28 anni di lavoro professionale…l’agosto scorso sono andata in pensione! Ho giubilato…La parola giubilo significa un’esplosione di gioia! Ora la interpreto come la stupenda esperienza che ho vissuto come infermiera, in mezzo ai fratelli, con profonda gioia… nonostante come qualsiasi lavoro, oltre alla gratificazione, abbia comportato sacrificio, difficoltà… “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta…”. Fin dall’inizio ancora quando studiavo e facevo pratica, la Vergine Maria è sempre stata presente. Ricordo, quando ero ancora studentessa e stavo nel collegio delle infermiere, c’era una bellissima immagine di Maria nella nostra sala. Mi sentii accolta e protetta per sempre da Lei come Madre e compagna. Da allora ho sempre portato con me una sua piccola immagine nei miei posti di lavoro e quando ho avuto un mio ufficio nell’Università Cattolica vi ho messo un’immagine più grande – che mi aveva regalato una mia amica – sulla parete perché guardasse e custodisse tutto e lì siamo state insieme lavorando quasi dieci anni. Successivamente ho portato con me questa immagine quando abbiamo iniziato il Centro di Salute Mentale dell’Università Cattolica, dove ho lavorato fino all’agosto scorso. Maria, Madre, Guida e Custode mi ha sempre avvolto con il suo amore e la sua protezione ovunque sono stata. Quante volte, impotente, ho lasciato nelle sue mani e nel suo cuore soprattutto i miei ammalati più gravi e più in difficoltà! Ho lavorato in vari reparti: intensivo, medicina, chirurgia, chemioterapia, gastroenterologia sia in ospedale che in ambulatorio. Tuttavia il settore dove ho lavorato di più è stato quello della salute mentale e drogati dove facevo parte di un’equipe di alta qualità professionale, umana e cristiana. Qui ha acquisito ancora più valore il mio lavoro professionale insieme alla mia testimonianza di fede e di consacrata CM. Avrei ancora molto da raccontare: episodi, testimonianze, aneddoti…dato che la vita è piena di vicissitudini. Credo di poter riassumere la mia vita professionale di questi anni come un pellegrinaggio “insieme con Maria, con la sua gioia e gratitudine”. Gioia e gratitudine perché, nonostante i miei limiti personali, posso dire che “guardando la piccolezza della sua serva, il Signore ha fatto in me, finora, meraviglie” e continuerà a farle nella mia vita. E questo dà alla mia anima pace, speranza e gioia. Per il mio modo di essere, io sono molto riservata e di basso profilo, senza grandi abilità sociali, però sento e tocco con mano che Dio ha messo dentro di me una grande capacità di affetto per le persone ed esse rimangono in me. Ora tutto questo non è frutto di causalità perché nessuno rimane in me senza nome, anzi ognuno è parte della mia vita, entra nella mia storia e, in senso buono, nel mio cuore e nella mia preghiera.             In questi anni, con la forza e la luce della spiritualità C.M. come consacrata in mezzo a questo “mio mondo” che il Signore mi ha donato e mi dona, vedo che si sono creati vincoli di comunione. Il servizio professionale si è unito all’accoglienza semplice per donare ai miei fratelli la realtà di quella comunione che Dio regala loro nel Cuore di Gesù. Questo l’ho sperimentato con il passare degli anni. La professione non l’ho vissuta solo come un lavoro, ma come un cammino di comunione con i fratelli che incontravo giorno dopo giorno soprattutto malati, medici, infermieri. Il mio impegno costante è stato quello di fare quello che mi competeva come un servizio professionale, ma cercando di portarli tutti nel mio cuore, all’Eucaristia, nella mia preghiera e nell’offerta al Cuore di Gesù e di Maria, nella comunione con Dio. La grande passione che ha suscitato la mia vocazione è stata la scoperta dell’Amore di Dio e quindi poter amare …con parole CM: la comunione. Ho studiato come infermiera perché lì, in mezzo ai sofferenti, ho incontrato l’Amore di Dio che chiamava me, piccola creatura, a vivere da consacrata a Lui… all’unico amore. Così sono passati gli anni e lavorando giorno dopo giorno, in diverse occasioni ho trovato persone che mi hanno ringraziato per averle aiutate a non pensare al suicidio, grazie all’affetto e all’attenzione che avevano ridato loro speranza. Anche alcuni medici, psichiatri, psicologi mi chiedevano con tanta semplicità e fiducia una preghiera per le loro situazioni personali…Altri che venivano a cercarmi, dopo anni, per salutarmi e ringraziarmi. E proprio nel mio ultimo giorno di lavoro, mentre stavo condividendo con alcuni miei colleghi un pezzo di torta prima di lasciarci definitivamente, mi avvisano che una signora (senza dirmi chi era) voleva parlare con me. La segretaria, per aiutarmi mi dice: “Le dico che sei occupata”. In un primo momento mi parve che avesse ragione dato che ormai non lavoravo più lì. Poi ho pensato che forse la signora aveva bisogno e che l’avrei ancora potuta aiutare e così l’ho accolta. Era Gloria, una delle mie prime pazienti, circa 20 anni fa, che era lì per un incontro con lo psicologo e desiderava salutarmi. Che abbraccio, che gioia, quanti ricordi, lotte, sofferenze e quanto affetto! E’ stato per me come il simbolo del mio lasciare per sempre il lavoro professionale. Come missionaria CM, in questo cammino in mezzo ai fratelli, mediante la mia professione di infermiera, tento di riassumere la presenza di Dio nel mio lavoro con queste immagini: Maria: in questa immagine che mi ha ricevuto come alunna, simbolo di una presenza piena di tenerezza che mai mi ha abbandonata, mia cara Madre, Guida e Custode. Il Cuore trafitto di Cristo: immagine che mi è giunta quando ho conosciuto la CM e che mi diceva: “ Ora puoi, sotto la protezione di Maria, approfondire e vivere la comunione con me portando tutti i tuoi fratelli nel mio cuore. Così ho potuto camminare e continuo a camminare nella comunione, mediante la mia offerta quotidiana. I miei fratelli malati, rappresentati nel saluto di Gloria nel mio ultimo giorno di lavoro: fratelli che sono passati nella mia vita, giorno dopo giorno, non come anonimi, anzi l’affetto, la forza della comunione ha dato loro spazio nel mio umile cuore e da lì nel Cuore che ha dato loro forza per lottare…il Cuore di Cristo. Ora vedo che tutto questo l’ho vissuto nell’intimità, nel silenzio, nella semplicità e nell’opacità e routine che caratterizza la vita quotidiana. Tuttavia mi rendo conto soprattutto che l’ho vissuto nella convinzione piena di speranza, arricchita dall’Eucaristia, l’adorazione, la preghiera, la comunione con la mia cara CM. Di conseguenza nessuno dei miei passi, azioni, impegni, scelte…erano solamente qualcosa di mio, ma che tutto si andava realizzando nella comunione con il Signore, per mezzo di Maria, insieme con Maria. E’ il Signore che mi ha chiamato con Lui sempre…e che mi ha abbracciato con il suo amore infinito chiamandomi nella Compagnia Missionaria. E’ il Signore di ogni cammino!
essere di dio, essere donne
 
15 agosto 2014 In questo periodo in Cile possiamo respirare un poco perché abbiamo due settimane di vacanze invernali, anche se è soprattutto per le scuole e gli studenti. Tuttavia alcuni di noi possono approfittare di questo periodo per la formazione. Si organizzano le “scuole della fede” e giustamente la diocesi di san Bernardo ha scelto, tra gli altri, il tema dell’amore umano. Condivido con voi alcuni aspetti che hanno destato la mia attenzione in riferimento al nostro modo di essere nel mondo. La domanda cosa significa essere uomo o donna ci rimanda ai primi capitoli della Genesi per riflettere sulle parole creatrici del testo biblico: “e Dio disse…” e “Dio vide che era cosa buona”. E più avanti la Scrittura dice: Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza…(Gn 1,26). Nella parola facciamo Dio si rivela a noi come unità di persone, cioè l’unità trinitaria. Ed è questo Dio trinitario colui che crea, plasma il suo Essere come uomo e donna. Con che delicatezza è stato capace di imprimerci il suo essere divino che ci rende a somiglianza di Dio.! Ma in che cosa consiste l’essere immagine di Dio? Quando Dio stava creando disponeva la natura e gli esseri viventi in modo da godere il più bel giardino abitabile…e Dio vide che era cosa buona. Tuttavia l’essere umano non rimane in questo ordine di cose, in questo ambito abitabile, anche se è qualcuno con una sua singolarità, con una sua libertà, capace di stabilire una relazione con il suo simile. E’ immagine di Dio e questa impresa è nelle mani del suo creatore, è immagine di Dio in quanto è persona. A partire da questa condizione di essere umano, è una persona con una sua interiorità, è capace di leggersi dentro come uomo e come donna, con una corporeità diversificata e quindi diversa in tutto il creato. La Genesi dice che l’uomo esclama, esulta:”Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne”(v. 23). Quando arriva la donna cambia tutto, l’uomo si riempie di gioia. Ora non è più solo e nella donna è capace di vedere se stesso, è capace di riconoscere in lei la sua compagnia, il suo aiuto perfetto. E’ proprio come uomo e donna, che portano impressa nei loro corpi l’immagine di Dio, unica e irrepetibile. A partire da queste verità, che molte volte abbiamo studiato, mi viene spontaneo ringraziare il nostro Dio per quanto ci ha dato: per la nostra condizione di persone con tutta la nostra capacità di amare, di pensare, di interiorità, con un mondo di sentimenti, con la nostra capacità di relazione, di incontrarci gli uni gli altri, con l’anelito al Trascendente, con la nostra necessità di Dio. Ringrazio soprattutto per il nostro essere donne, con tutto quello che significa: per come viviamo la nostra più profonda sensibilità, la tenerezza, il potere di generare, la delicatezza, la bellezza, tutta la dimensione dei significati che portiamo nel nostro corpo. In questo corpo che è capace di amare fino a dare la vita per un’altra vita che si ama profondamente più che la vita propria. Per questo Dio non ha avuto dubbio nello scegliere una così degna abitazione, nel grembo di una donna. Una donna bella, forte, piena di amore per accoglierlo. E, con lei, un uomo, un compagno, un padre. E in questa dimensione la nostra condizione di uomini e donne è elevata al massimo nel mistero dell’Incarnazione. Allora, come non aver cura della dignità dell’essere donna e riflettere un poco la divinità del nostro creatore nelle nostre relazioni personali, nel modo come noi comunichiamo, quando preghiamo, quando insegniamo e quando lavoriamo per il Regno di Dio. E siamo donne consacrate nella CM quando guardiamo alla vita con lo sguardo che ha avuto Gesù, o meglio con gli occhi di Maria di cui condividiamo la stessa condizione, essere donne. Riconoscerci donne e ricche dei tanti doni che Dio ha voluto condividere con noi. Mi dà gioia il pensarci così: figlie, madri, nonne, singole, sposate o consacrate. Ognuna è chiamata a comunicare la vita. E, cercando e ricercando, mi sono imbattuta in questa preghiera di mons. Carlos Oviedo Cavada che mi pare esprima bene quello che sentiamo. Vi invito a fare nostra questa preghiera: Padre buono, mediante il tuo amato Figlio Nostro Signor Gesù Cristo, noi abbiamo sperimentato l’amore immenso che tu nutri per noi. Tramite Lui sappiamo Elizabeth (a destra) con Teresa e Margarita che tu ci nutri con più affetto che agli uccelli e che ci vedi più belli dei fiori. Ti lodiamo per la dignità del nostro corpo, perché è la migliore opera delle tue mani, uno strumento per trasmettere la vita e per esprimere il nostro amore impegnato. Ti benediciamo per il Corpo e il Sangue di Gesù da cui riceviamo la forza e l’amore. Ti rendiamo grazie perché a contatto con il suo corpo i ciechi recuperano la vista, i lebbrosi sono guariti, i paralitici si rialzano in piedi, i peccatori ricevono il perdono. Chiediamo il tuo aiuto e la tua compagnia perché sappiamo vivere nel nostro corpo con la maestosa dignità di figli tuoi, fratelli di Gesù Cristo e tempio dello Spirito Santo. Fa che l’amore abiti nei nostri cuori, che ci sia trasparenza nel nostro sguardo, purezza nelle nostre parole e azioni e rispetto per ogni essere umano. Maria, madre del bell’amore, aiutaci a dare testimonianza del vangelo nel nostro mondo. Amen
“togliti i sandali perché questa è terra sacra”
 
L’11 settembre 2014 sono arrivata all’aeroporto di Maputo dove mi aspettava Giannina. Verso sera, dopo l’Eucaristia, mi sono trovata con Irene che, piena di entusiasmo, stava preparando il materiale per una “Fiera Vocazionale” del 13 settembre a Inhambane. Alle 22.00 siamo andate all’aeroporto a prendere Gabriela in arrivo da Nampula, per poi partire il giorno seguente con Irene e Catarina, una giovane aspirante, per la suddetta Fiera dove non andavano né a vendere né a comprare, ma per far conoscere gli Istituti Secolari e, tra loro, la Compagnia Missionaria.             Né i dolori alla schiena di Irene, né la stanchezza di una settimana di Gabriela e di studio per Catarina hanno impedito loro di partire all’incontro dei giovani per far loro  conoscere, insieme agli Istituti Religiosi, la diversità dei carismi che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa. Ho sentito un desiderio enorme di accompagnarle, ma avevo già combinato di trovarmi con Anna Maria che, proprio in quel giorno arrivava a Maputo, di passaggio per l’Indonesia per una missione di formazione e animazione in collaborazione con Santina.             Eravamo tutte in diaspora per la formazione, accompagnamento e animazione vocazionale – missionaria. In questo vai e vieni costante, il gruppo di Maputo è stata la nostra tenda d’incontro: punto di arrivo, di accoglienza, di riposo e di partenza. Dal 14 settembre al 19 ottobre, per la terza volta, sono stata a Nampula per rimanere con le missionarie, le ragazze in formazione e le aspiranti della Compagnia Missionaria. In un primo momento la mia missione sembrava ben definita e preparata. Ma dinanzi alla realtà, con piedi saldi a terra, ho capito subito la necessità di pormi in un atteggiamento umile e semplice per ascoltare, intuire la cultura, percepire ciascuna persona come un essere unico e irrepetibile, portatore di una sua storia personale. Avevo già appreso, nella mia professione, l’importanza di programmare e pianificare con responsabilità le attività e, allo stesso tempo, essere flessibile dinanzi agli imprevisti, al nuovo… Essere flessibile, tenendo presente la meta da raggiungere, mi ha aiutato a spogliarmi non per indossare la capulana, ma per pormi in un atteggiamento di libertà interiore che mi permettesse di stare dinanzi al mistero dell’altro, capace di meravigliarmi e inginocchiarmi dal di dentro. Conoscere e aiutare ciascuna delle ragazze in formazione e le aspiranti a conoscersi meglio nelle loro qualità e capacità, nei loro punti deboli e nei loro limiti ha richiesto un grande sforzo di inculturazione e di apprendimento. Ho cercato di camminare a fianco e nella stessa direzione, disponibile ad accogliere e cogliere l’altra nella sorpresa e nella novità. C’è in ciascuna e in tutte una volontà enorme di crescere, di essere protagonista del loro proprio processo di sviluppo integrale. Davanti al mistero del fratello – lo sconosciuto, l’inatteso, il nuovo, il diverso – Dio continua oggi, come al tempo di Mosè, a dirmi e a dirti: “Togliti i sandali perché questa e terra sacra”. Non so quale sarà il futuro di queste nove giovani della CM a Nampula: tre sono in formazione nella casa di sopra: due in Orientamento, Alefa e Joana, una nel Biennio, Isabel; sei in accompagnamento nella casa di sotto: Ana Paula, Angelina, Argèlia, Ilda, Edilmisa e Natalia. Tuttavia so e sento che la CM, accompagnando queste giovani nel loro discernimento vocazionale, nella loro formazione e crescita umana, spirituale, culturale, accademica e sociale, sta collaborando con Dio nella creazione continua e risponde all’appello di papa Francesco di andare alle periferie esistenziali.             Ammiro la capacità che manifestano nell’organizzazione e esecuzione responsabile dei compiti domestici, liturgici e scolari. Sanno gestire il tempo in modo da dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio e questo, in pratica, significa essere Betania. Possonoessere occupate nei loro studi o altro, ma sono sempre pronte ad accogliere il bambino che bussa alla porta a chiedere un bicchiere d’acqua, i colleghi/amici, i poveri e li fanno entrare, sedere in veranda e fanno loro compagnia. Sono dotate per l’ospitalità. In realtà Gesù, come allora in Betania, continua oggi qui, nella persona del fratello, a cercare uno spazio per riposare e recuperare energie…             Ho vissuto giorni tranquilli, molte ore da sola, ma la solitudine e la monotonia non le ho sentite lì, anzi ho potuto cantare con p. Zezinho:”Molta gente vive senza amore e sente la solitudine, ma qui in questa casa del Signore, la solitudine non esiste”. E’ sempre possibile trovare il nuovo e il bello nella semplicità del quotidiano… Basta contemplare il tramonto, la foglia secca che, nel ballo della discesa entra nella danza delle sue compagne, lo sguardo di un bambino, le piante fiorite… per dimenticare le preoccupazioni e semplicemente entrare in comunione con il Creatore e con le sue creature.             Abbiamo vissuto momenti di gioia e di fraternità davvero gratificanti come l’essere andate alla spiaggia delle Chocas, alla diga e al monte Monapo. Inoltre abbiamo partecipato tutte al matrimonio di Claudina, del gruppo degli amici CM di Nampula. Una festa molto bella. Ho sperimentato una grande libertà quando hanno distribuito una t-shirt e una capulana a tutte le missionarie, alle ragazze e signore del gruppo degli amici CM, come nostro abito per la partecipazione al matrimonio. Ho  ammirato la serietà e responsabilità nel preparare la celebrazione eucaristica, la partecipazione di tutti, senza fretta né stanchezza…Tutto era gioia, colore, danza…manifestazione di una fede di chi dà il primato a Dio. Davvero un giorno meraviglioso.             Un altro momento importante è stata la partecipazione all’incontro mensile di riflessione del gruppo degli amici di Nampula, animato da Imaculada. Ho colto che investono con molta serietà nella formazione, nella condivisione, nel senso del gruppo e nella preghiera. La condivisione evidenzia chiaramente un grande cammino e molta volontà di crescere. Riconoscono e ringraziano per il molto che hanno ricevuto dalla CM e anche noi riconosciamo e ringraziamo per il molto che riceviamo da loro.  La mia visita alla comunità di S. Paolo è stato un momento molto significativo. Giocare a palla con i bambini, incontrare e conversare con persone che vivono nelle “palhotas” mentre preparano le foglie di mandioca per fare “matapa” e con altre rinnovano la copertura delle suddette palhotas mi ha fatto sperimentare una gioia profonda e una maggiore comprensione  nei confronti dei missionari ammalati e anziani che non vogliono ritornare al conforto delle loro case in Europa, ma preferiscono rimanere lì, darsi fino in fondo a questa gente, sempre pronta ad accogliere la Buona Novella. Senza dubbio quei bambini pieni di polvere, scalzi, ricoperti di stracci…sono totalmente disponibili ad accogliere, giocare, stare con noi e darci il meglio di quello che hanno: la gioia, il sorriso… Mi sarebbe piaciuto stare anche con le ragazze di Invinha, ma non mi è stato possibile.             Il 19 ottobre, al termine della Giornata Missionaria Mondiale, sono tornata a Maputo. All’aeroporto mi aspettavano Irene e Giannina. Nei giorni 20 e 21 ho avuto l’opportunità di vivere con loro momenti di condivisione e preghiera e anche di meravigliarmi nel vedere la gioventù dovuta a tante primavere accumulate, la convinzione che guadagna la vita chi la perde e che vale di più, secondo il detto di p. Almiro, spendersi anziché arrugginirsi, dà loro ali per andare, per stare sempre in uscita: alla scuola, all’ospedale, agli incontri di animazione vocazionale e missionaria…             In quei giorni ho avuto anche l’opportunità di trovarmi con Catarina e Julieta e di dialogare con ciascuna e con il gruppo. Ho passato tre pomeriggi con Alice – uno al mio arrivo e due prima di rientrare – e abbiamo avuto l’opportunità di stabilire un dialogo esistenziale ricco di comunione che ha contribuito a rafforzare legami di amicizia e di famiglia.             Ringrazio Dio, le missionarie, le ragazze e gli amici CM in Mozambico, i Padri Dehoniani e altri padri amici della CM, alcuni dei quali già li conoscevo e che hanno avuto la delicatezza di accogliermi e farmi sentire Chiesa, una Chiesa missionaria e fraterna.
nella biblioteca del centro culturale di napipine
 
La mia preparazione come supervisora nella biblioteca è iniziata l’anno scorso. Frequentavo la scuola media superiore di Napipine e tutti i giorni ero là per leggere, scrivere, fare ricerche. Tante volte mi ero seduta al lato di Lurdes, l’allora supervisora, per imparare da lei come accogliere il pubblico e per capire gli impegni che quell’incarico comportava. Osservavo con attenzione il modo come lei accoglieva le persone: ascolto, ritiro della tessera di ognuno degli utenti, il registro con i fogli numerati, nome, attività richiesta, lettura e utilizzo del computer… Quando è arrivato il mio momento di prestare questo servizio comunitario di intervento civico e sociale, Anna Maria mi ha affidato questo impegno-missione e mi ha dato alcune indicazioni su come agire. L’orario di apertura è dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 11.30 e dalle 14.00 alle 17.00. Mi trovo bene a contatto con gli studenti ed ho una buona relazione con tutti loro. Infatti sanno come usare, rispettare l’ambiente di una biblioteca e collaborare quando è necessario. Riconosco che questo spazio è molto importante per l’esito accademico di coloro che lo utilizzano perché offre loro buone condizioni di lavoro. Normalmente funziona bene. Tuttavia a volte ci sono dei problemi e reclami perché mancano libri, soprattutto quelli più ricercati. Preso atto di questo disagio, abbiamo avviato un lavoro di elencazione dei libri più richiesti e per i quali non abbiamo risposta. Questa elencazione sarà inviata alla ONLUS insieme ad una relazione di fine anno con la speranza di trovare una risposta più efficace per i nostri studenti che frequentano la biblioteca. I nostri undici collaboratori sono distribuiti, dal lunedì al venerdì, in due turni, mattino e pomeriggio. Hanno assunto in modo responsabile il loro lavoro e sanno utilizzare bene il tempo anche per i loro studi universitari e s’impegnano a collaborare nello studio e uso dei computers con gli utenti che hanno maggiori difficoltà. Frequentano la biblioteca, oltre agli studenti iscritti, anche le giovani in accompagnamento vocazionale della Compagnia Missionaria. Durante questo anno ho approfittato per approfondire le mie conoscenze attraverso la lettura. Il prossimo anno mi piacerebbe riprendere gli studi. L’esperienza di lavoro in biblioteca sarà per me un valore aggiunto per il prosieguo degli studi. Il mio amico Cecilio, conosciuto da molto tempo dalle missionarie CM, ci ha aiutato molto a risolvere vari problemi dei computers. Ringrazio Dio per la sua chiamata Desidero anche condividere con voi il mio primo passo nella Compagnia Missionaria. Con l’aiuto di Dio, e delle missionarie Mariolina, Helena, Martina e Anna Maria, dopo un periodo di preparazione umana e cristiana, il 14 giugno di quest’anno ho iniziato il periodo di Orientamento. E’ stato un avvenimento meraviglioso che mi ha fatto esultare di gioia per essermi decisa a seguire Gesù. Gabriella mi ha accolto nella CM: mi ha consegnato la Bibbia perché mi sia lampada ai miei passi, luce per il mio cammino e perché mi insegni a vivere con sapienza e fedeltà il mio battesimo; il libro di preghiere come alimento quotidiano della spiritualità CM; un’immagine della Madonna delle origini perché io sappia ricorrere sempre a lei come Madre, Guida e Custode. Il messaggio che Helena ha letto, la presenza dei monaci di Rex e delle missionarie di Nampula mi hanno fatto sentire amicizia e comunione.
ben-haja inhambane!
 
Abbiamo accolto con gioia l’invito, da parte del diacono Ananias, a partecipare alla fiera vocazionale, organizzata dalla commissione diocesana di Inhmbane il 13 settembre 2014. E’ stato un momento solenne, un incontro fraterno dove è stato possibile uno scambio di esperienze riguardo alla dinamica diocesana della pastorale vocazionale. Di Maputo, abbiamo partecipato Irene ed io e da Nampula, Gabriela. Siamo partite venerdì 12 settembre, molto presto perché ci aspettava un lungo e stancante viaggio ma, nonostante le difficoltà, abbiamo affrontato il tutto con coraggio e serenità. Siamo arrivate a Inhambane alla sera e precisamente al Centro di promozione umana di Giùa, gestito dai Missionari della Consolata, dove siamo state ospitate per due giorni. La mattina del sabato già si vedevano arrivare persone dal sud della regione e dal centro di quella diocesi che venivano a partecipare a questa fiera vocazionale. All’inizio c’è stata una bella riflessione riguardo alla vocazione e alla preghiera. Subito dopo, 21 Congregazioni/Istituti hanno presentato il loro carisma ed hanno risposto alle domande dei circa 300 partecipanti in ricerca vocazionale di età diverse. In seguito c’è stata la presentazione del carisma e missione di ciascun Istituto, cioè la propria dimensione essenziale. Riguardo alla Compagnia Missionaria, Gabriela ha comunicato chi siamo, Irene invece ha parlato della nostra spiritualità ed io ho presentato la nostra missione. Essendo la nostra vocazione secolare una novità in Mozambico, soprattutto in quella regione, la nostra presentazione ha suscitato un grande interesse nei giovani presenti e anche in alcuni istituti religiosi. Un altro momento importante è stato il pranzo, preparato con tanto amore per tutti noi partecipanti, dove abbiamo avuto la possibilità di scambiarci impressioni con diverse giovani che, un po’ timidamente, ci avvicinavano e presentavano i loro dubbi …Giovani molto aperte e desiderose di conoscere e imparare. E’ stata davvero una magnifica esperienza! Mi ha rafforzata nel mio desiderio di continuare il cammino con la Compagnia Missionaria e mi ha fatto realmente scoprire un altro orizzonte della vita cristiana. Ben-Haja Inhambane!
vita quotidiana dei miei studenti
 
Ho raccontato altre volte un po’ di storia della nostra presenza a Maputo e di questa Nazione, dove anche noi abbiamo avuto la nostra minuscola, quasi invisibile, parte, condividendo il cammino del dopoguerra e costruendo per i  loro figli una scuola. Oggi apro una finestra sul quotidiano dei miei studenti. Innanzitutto vi dico subito che le ragazze e i ragazzi, al primo incontro, paiono somigliarsi, per cui non mi é stato facile nei primi tempi distinguere Magda da Ana, Anira da Daimira, e tantomeno Nelson da Abdul, Sergio da Tomás e cosí via. Oggi li conosco tutti e ricordo anche i primi, quelli del 1990, che oggi, dopo 24 anni, ancora tornano a farsi vedere, a iscrivere i figli a scuola. Vengono a vedermi, a chiedere aiuto, a raccontarsi. Io ci sono sempre, li ascolto e quando se ne tornano a casa una parte di me è con loro.. Conosco nonne, cugini, genitori, i nuovi orfani che vivono storie tristi, storie di ferite, le nuove famiglie... Sono tanti, mai troppi. Essi sono diventati i “figli” che amo e seguo anche quando formano la loro nuova famiglia, quando nasce un figlio, se si ammalano, se perdono il lavoro, se vanno a vivere lontano, se prendono una brutta strada... Le loro famiglie di periferia. Nella nostra scuola passiamo insieme anni, gli anni dell’adolescenza, dei sogni, delle speranze. I ragazzi e le ragazze arrivano dopo le primarie a 11/12 anni e vanno via a 16 anni, se sono studiosi, a 18/20 anni se hanno avuto problemi. Essi provengono da famiglie con un basso livello di formazione, che peró stanno migliorando il tenore di vita con la tenacia e il lavoro. Alcuni genitori hanno perfino ripreso a studiare sia per avere piú opportunitá di lavoro, che per aiutare i figli a scuola. La mamma di Meríta, Esthér, sta frequentando la 7°, Meríta é in 6ª e gli altri fratellini, 3 maschietti, sono in 1ª, 2ª e 3ª elementare. A casa c’é la presenza rassicurante di nonna Marta. Il papá di Felizberto, Cesár, che aveva frequentato da noi fino alla 10ª classe - ricordo la sua passione per lo studio -, quest’anno é riuscito ad iscriversi alla 11ª classe grazie alla collaborazione di sua moglie Catarina e della Tia Agostinha. In due anni potrebbe accedere all’Universitá. Voleva fare ingegneria meccanica, ma potrebbe anche fare informatica. Di notte lavora, fa il “guarda” , il guardiano di un albergo di Maputo. I ragazzi e le ragazze piú poveri, tipo Antonio, Vánia, Vanessa, Adérito e altri che non sto a nominare, sono spesso anche quelli che rendono poco e male a scuola. I loro genitori sono fuori casa per lavoro dal mattino presto a sera tardi, prendono poco, non hanno mai tempo per i figli e non sempre c’é una nonna di supporto. Questi ragazzi che vivono nella lontana periferia, sono molto sacrificati: si alzano alle 4 del mattino per uscire di casa alle 5. Devono prendere il primo chapa delle 5 e mezza per essere a scuola puntuali. Si inizia alle 7. Antonio ad esempio non ha l’acqua in casa e il suo primo lavoro é di fare rifornimento al mattino appena sveglio. Pure Vánia aiuta fin dall’alba, andando a raccogliere la legna per accendere il fuoco, scaldare l’acqua per la doccia per sé, mamma e papá. Solo dopo escono a prendere il chapa, lei per andare a scuola in cittá, i genitori per andare al lavoro. Non c’é l’abitudine di fare colazione, né di prendere con sé una merenda. Quando arrivano a scuola sono assonnati fino verso le 8 e mezza, quando squilla la campana di pausa e comprano qualcosa da mangiare. Patrice, Samuel, Cristina, Melissa, Tiago e Evander vengono da Matola, territorio molto vasto, dove le famiglie piú povere hanno l’opportunitá di costruirsi una casetta un pezzo per volta. Da qualche anno si stanno spostando lí tutte le piú grandi imprese e sta diventando la zona industriale di Maputo. Con tre chapa raggiungono Maputo Per raggiungere la cittá, dove ci sono i servizi, scuole, ospedali, uffici governativi, si usa il mezzo di trasporto “chapa”, il piú economico, l’unico mezzo pubblico, un VW a 9 posti, che puó arrivare a 20 posti a sedere, perché al suo interno vengono fissate delle panche. Qualcuno viaggia anche in piedi, curvo, pur di entrare nel chapa e non dover aspettare il successivo, che non si sa se ci sará e a che ora. Chi é piú mattiniero sale davanti, accanto all’autista e divide quello spazio con un altro viaggiatore. É il posto migliore. Si aspetta che ci siano tutti, si parte solo quando il chapa é pieno, ma pieno davvero, con qualcuno seduto sulle ginocchia. L’altro mezzo a disposizione del popolo é un autocarro aperto dietro, dove una trentina di persone stipate fitte e con il loro carico di merce da vendere in cittá, viaggiano in piedi, aggrappati gli uni agli altri. Lo spazio é quello, viene sfruttato al massimo e vi succede di tutto: chi viene derubato, chi deve fare da “aggancio” al vicino che non sa dove tenersi per non cadere, con disagio del sesso debole, che deve sopportare cose spiacevoli. Il percorso dura anche piú di un’ora a causa dell’ingorgo del traffico, su un percorso che si potrebbe fare in metá tempo. La strada sconnessa e piena di buche viene percorsa come una gimcana per evitarle. Si sopportano scossoni e spinte soprattutto in curva o nei sorpassi. Arrivati a destinazione della tratta, c’é il cambio di chapa e si riparte. A volte ci vuole molto piú tempo, a coprire lo stesso percorso, soprattutto quando c’é molto traffico e si fanno code interminabili. Le vie che portano al centro cittá sono poche. Dal Nord, dal Gurue, entrano in Maputo file di auto, camion carichi di lavoratori e di studenti, che partono alle 3 del mattino da Quelimane per arrivare in tempo in cittá e fare le loro commissioni. C’é un’unica arteria supertrafficata, dove si immettono dalle vie interne chapa, camion, auto, carretti spinti a mano, piccoli taxi, gente in bicicletta, che formano una fiumana di mezzi e di persone. Ultimamente la gente ha avuto grossi problemi di sicurezza sulla strada a causa della guida sconsiderata degli autisti dei chapa. Essi vanno a velocitá elevata, non si curano di semafori, né di codice della strada. Fanno dei sorpassi che ricordano piú le giostre dove ci divertivamo da piccoli, che il senso di responsabilitá per le persone che portano. Ti tagliano la strada, superano indifferentemente da sinistra o da destra, si fermano improvvisamente per scaricare le persone e farne salire altre senza un minimo di attenzione per chi sta dietro o di lato. É vero che le buche nell’asfalto sono pericolose, ti possono far saltare l’asse, bucare le ruote, far sbandare il mezzo che finisce addosso agli altri veicoli. Ma quelli corrono, perché a fine giornata devono aver fatto un certo incasso per avere un buon margine. La gente é scontenta, gli incidenti causano anche morti, ma quale altra alternativa? Per questo tutti se ne servono, altro mezzo pubblico non c’é. Avevano provato a far girare dei mezzi piú grandi, con posti normali, piú comodi. Il costo del servizio andava al di lá delle possibilitá della gente, per cui é fallito il progetto. Non parliamo poi di come si viaggia quando piove! Basta un giorno intero, o una notte di pioggia e le strade diventano impraticabili. L’acqua cresce, copre le strade, fa un unico canale d’acqua e la terra rossa si fa poltiglia che si attacca alle ruote. La gente é costretta ad uscire di casa con i pantaloni arrotolati, le ciabatte di plastica ai piedi o scalzi, l’ombrello é inutile e si portano il cambio per quando arriveranno al lavoro o a scuola. Nelle viuzze tra le abitazioni l’acqua copre tutto ed entra in casa. Ci sono buche e avvallamenti anche di mezzo metro, provocati dallo spostamento della terra rossa sabbiosa che viene portata via dalla pioggia. Nessun mezzo si arrischia a passare lá dentro. Se succede che si impantana deve aspettare che venga il giorno buono per essere tirato fuori. Il carro attrezzi? Non siamo in Italia, mi dicono gli amici. Qui é cosí.
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