Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
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09 / 08 / 2024
Agosto 2024
Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico....
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09 / 08 / 2024
19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
camminare e condividere
Al termine di quest’anno
2022 ho sentito la necessità di fare una sintesi sui nostri ritiri svolti
durante l’anno, riflettere sui
contenuti ma soprattutto su quanto hanno
provocato nella mia vita. Ho preso coscienza che è stato un cammino molto
positivo. In questa condivisione cerco di far emergere alcuni aspetti che mi
hanno stimolato e che devo tenere
presenti per il futuro. Devo dire che ogni ritiro mensile mi ha sollecitato a trovare la maniera di
come concretizzare il contenuto del tema soprattutto nel mio quotidiano.
Anche l’aspetto del clima contemplativo che si è vissuto lo sento come richiamo a rivedere la mia vocazione, cioè a
come vivo la realtà di essere compagna
di viaggio con Gesù, facendogli spazio nel mio cuore.
È un cammino con Lui attingendo forza dalla sua Parola e
anche su quanto ci chiede il nostro Regolamento di Vita al n. 72: “… trovare la nostra realizzazione di donne e
di consacrate nel dono progressivo di noi stesse nella vita dell’amore oblativo”. Le varie
riflessioni mi hanno portato a riflettere e rivedere il mio cammino
vocazionale, sia scoprendo i miei punti di forza che quelli di debolezza. Su
come elaboro questi aspetti nella lotta quotidiana della vita, sia a livello personale
che comunitario; a come accogliere l’altra perché ogni persona ha le sue
qualità ed i suoi limiti. Per cui è
importante riflettere anche sulle relazioni che abbiamo. Spero che in ogni mia
relazione ci sia sempre una benedizione, anche piccola, perché anche la più
piccola benedizione è sempre importante. Essere capace anche di dire poche
parole ma che siano di speranza, che non feriscano le persone. Cercare di
essere persone la cui presenza è sempre positiva, che sa ricominciare perché la relazione è
come una pianta che va coltivata…
In questo
impegno che ciascuna prende a cuore è importante anche la condivisione, cioè
prendersi tempo per comunicarci le gioie e le speranze che abbiamo in cuore, in
modo che si rafforzi la comunione, sia
che si tratti di condividere esperienze di formazione, esperienze nella
comunità, esperienze nel lavoro dove siamo impegnate. Tutto questo ci aiuta ad
imparare gli uni dagli altri, a riconoscere la novità che ciascuno possiede.
Possiamo aprirci all'opera di Dio a
partire dalle esperienze di vita che viviamo, perché la presenza di Dio in noi
è anche chiamata. Dio ci chiama non solo
a riceverlo, ma anche a “essere come lui”con l’aiuto degli altri.
Dio non smette
mai di amarci, anche quando commettiamo errori e peccati. Anche se alcune volte siamo state infedeli, Dio ci
mostra ancora la Sua misericordia. La presenza di Dio nel mondo è un segno del
suo amore e della sua fedeltà per salvare l'umanità.
Noi siamo segno della presenza salvifica di Dio; come
esseri umani amati da Dio, dovremmo
amare Lui e gli altri con tutto il cuore in modo buono e saggio. Il segno della
presenza di Dio che ama l'uomo, in realtà non ha bisogno di essere notato solo
in grandi opere, ma si può vederlo anche attraverso piccole e semplici azioni.
Gli amici sono importanti e
necessari nella nostra vita. Spesso, quando viviamo problemi di sofferenza, di
dolore, abbiamo davvero bisogno che gli amici ascoltino quanto abbiamo nel nostro cuore. Se quando soffriamo per un
lutto o siamo nei guai e un amico viene a confortarci, entra in empatia, la sua
attenzione è vera amicizia. Un vero
amico è tale quando è capace di comprendere la nostra situazione che stiamo
vivendo. Come per gli apostoli che si sentivano persi, confusi come i discepoli
di Emmaus, quando Gesù era morto. La notizia della risurrezione di Gesù che poi
è stata diffusa e loro hanno creduto, il loro dolore si è trasformato in gioia,
perché Gesù era tornato in mezzo a loro. Il senso di dolore e delusione chiude
gli occhi del cuore alla presenza di Dio. Quando siamo in difficoltà,
addolorati, profondamente delusi, gli occhi del nostro cuore non sono più in
grado di vedere chiaramente la realtà.
Attraverso il racconto del cammino dei due discepoli verso Emmaus, siamo
invitati ad essere sensibili alla presenza di Dio in ogni evento della nostra
vita. Nel nostro viaggio della vita, potremmo sentirci ansiosi, confusi, tristi
o forse anche senza speranza. Anche così, dovremmo cercare di sentire la
presenza di Dio, che viene come amico per confortarci, aiutarci e stare con
noi. In ogni evento della nostra vita, ricordiamoci sempre di includere Dio.
Egli ci guiderà sulla via della luce e ci libererà dalle catene della delusione
o della disperazione. È importante testimoniare in ogni evento della
nostra vita la presenza di Gesù. Egli è
un fedele compagno del nostro cammino.
Gesù non vuole che attraversiamo
da soli questo traguardo verso la santità. Perciò «Gesù mandò i suoi discepoli
a due a due» (Mc 6,7), come compagni di viaggio. Ha dato loro il potere dello
Spirito Santo in modo che potessero controllare i desideri disordinati e scacciare
gli spiriti maligni. Per questo c’è lo Spirito Santo che ci rende sempre
consapevoli che apparteniamo a Dio per lodare la sua gloria (Ef 1,14). Essendo
inviati a due a due, abbiamo dei compagni e a vicenda ci sosteniamo e ci incoraggiamo nei nostri
impegni missionari. Gesù ha dato un
messaggio, in modo che "non prendiamo nulla per strada tranne un
bastone" in modo che sia più facile per noi sperimentare le
"benedizioni spirituali" e la provvidenza di Dio.
È una meta che
ci aiuta a vivere il NOI CM ... è una grazia e un dono di cui sono molto grata,
perché questa appartenenza mi aiuta a crescere, a sentire, vivere e attuare le
dinamiche della vita , sia le dinamiche nella comunità in cui vivo, la comunità
di lavoro e la comunità CM.
Entrare ed essere coinvolti nelle dinamiche della vita come CM, mi fa
riconoscere la bellezza della vocazione
come dono, attraverso un processo di
comunione che ci aiuta a collaborare per costruire insieme il progetto di Dio. Come Missionarie del Sacro
Cuore di Gesù, e considerandoci le prime missionarie (in Indonesia), ci viene
chiesto anche di essere testimoni della
risurrezione come ha fatto Maria
Maddalena: una testimonianza di gioia e di fede, che devo comunicare a coloro
che mi sono vicini. Questa comunione che viviamo diventa forza per la mia
vocazione e mi aiuta nei momenti difficili a cambiare la mia prospettiva sul processo di risposta
alla chiamata nella CM. Io penso che per fare questo viaggio e arrivare a
questa meta sia importante anche la formazione continua, una guida continua,
una costante ricerca e allenamento del cuore, in modo da costruire la vita con
saggezza e fedeltà. La domanda che
dobbiamo tenere presente in questo cammino è: che tipo di vita costruisco?
Spero con l’aiuto di Dio, che ha iniziato a
seminare questa vocazione nella mia vita
come opera molto buona, mi aiuterà a portarla a termine. Grazie mio Dio per la grazia della chiamata,
concedimi la grazia della fedeltà.
Lucy, quarta da sinistra, con le colleghe di lavoro
realizzare il progetto di dio su di me
Ho accettato la sfida che
mi è stata fatta da Celestina Camacho di scrivere un articolo per Vinculum. Effettivamente,
da tanto tempo non ho comunicato con questo mezzo, con tutta la CM e lo faccio
adesso.
Sto leggendo il libro: “Um Percurso de Vida e de Pensamento” di Lúcia Correia nel quale lei comunica il
suo percorso di vita e di pensiero utilizzando gli articoli pubblicati su
diverse riviste ed anche su Vinculum. É molto interessante e ne raccomando la
lettura.
Però quello che scrivo oggi ha come punto
di partenza le risposte al questionario inviato dal Consiglio Centrale alle
Missionarie ed ai Familiares intorno al capitolo II° “La nostra fisionomia”
(Statuto delle Missionarie) e “Il nostro programma di Vita” (Statuto dei
Familiares).
La conoscenza della Compagnia Missionaria ha dato un nuovo senso alla mia vita e spiego di seguito il perché.
Sono nata da una famiglia molto religiosa ed ho frequentato alcuni collegi religiosi; ho studiato Letteratura alla
Faculdade Clássica de Lisboa, dove ho presentato la tesi su un poeta di Madeira “L'opera poetica di Francisco de Paula Medina
e Vasconcelos”. Ho svolto un tirocinio e ho presentato la tesi per l'esame di tirocinio “Contributo a una Psicopedagogia della Grammatica”.
Poi sono andata a Parigi per frequentare i corsi della “Alliance Française” e contemporaneamente ho lavorato part-time presso una
famiglia francese come “au pair”. Ritornata a Funchal ho insegnato Portoghese e Francese nelle scuole pubbliche.
Mi sforzadei aulas de Português e Francês em escolas públicas. Mi sono impegnata ed ho cercato di trasmettere la conoscenza agli
studenti e far loro sviluppare le loro capacità intellettuali e umane. Dal punto di vista pastorale, ero catechista, visitavo i carcerati,
ero membro dell’Azione Cattolica. Nonostante questo, non mi sentivo né felice e nemmeno realizzata.
Un giorno, un sacerdote mi chiese in
confessione cosa facessi ed io ho risposto che insegnavo. Lui ha capito che mi
mancava qualcosa per dare senso alla mia vita. Mi ha parlato della Compagnia
Missionaria del Sacro Cuore e mi ha dato il telefono delle missionarie. Teresa
Castro e Lúcia Correia sono venute a Funchal ed io ho parlato con Celestina
Camacho invitandola ad essere presente. Ho trovato la mia vocazione che era
l’offerta della mia vita al Cuore di Cristo per essere segno del Suo Amore per
tutti noi. Nell’ “Ecce Venio” di Cristo e nell’ “Ecce Ancilla” di Maria è
compendiata tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere e le
nostre promesse. Come missionarie del Sacro Cuore di Gesù siamo chiamate a
vivere la vita di amore fino a farci comunione con Dio e con i fratelli. Come
Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “si”.
Il gruppo CM di Madeira è
formato da 5 missionarie e da 7 familiares. Facciamo insieme il ritiro mensile
ed alcune missionarie accompagnano i Familiares in alcune riunioni. Noi missionarie ci riuniamo ogni quindici
giorni e mensilmente per i ritiri. Non sentendo bene anche se uso gli apparecchi
uditivi, mi costa non partecipare attivamente come sarebbe mio desiderio.
Siccome mi piace leggere,
faccio il riassunto delle Encicliche del Papa: “Luce della Fede”, “Fratelli
Tutti”, “Laudato Si”, di testi sullo Spirito Santo: “Spirito Santo fonte di vita
e di amore”, “Lo Spirito Santo implora Abba!
Pai”, “Lo Spirito Santo che ci fa dire:
Gesù è il Signore”, “Lo Spirito Santo
che ci consacra ed invia in missione”, “ Lo Spirito Santo che prega in noi”, “Lo
Spirito Santo Consolatore”, “Non spegnete lo Spirito”. Li distribuisco al
Gruppo, così come i testi inviati dal Consiglio Centrale. “Dalla Sinodalità, all’autorità del servizio” di Daniela
Leggio, il riassunto della Consulta delle Responsabili di p. Renzo Brena scj. Consegno
questi riassunti al gruppo delle Missionarie.
Come vivo il mio si nelle
circostaze attuali della mia vita? Partecipo quotidianamente alla Eucaristia
nella Cattedrale di Funchal e sono lettrice nella Messa delle ore 11 del
venerdì. Nella famiglia: mi occupo della mia sorella ammalata di 91 anni. Ho
una cognata ed un nipote che vivono nel continente e chiedono aiuto economico. Ho
2 pronipoti (figlie di nipoti) non sposate ed ho dato loro alcuni documenti
riguardanti la CM. A livello sociale appoggio economicamente una ex impiegata
che è ammalata.
Sono consapevole che il
Signore mi chiede molto e che dò poco ma con la Sua Grazia e di Maria Sua e
nostra Madre, continuo ad impegnarmi per realizzare il progetto di Dio su di
me.
Madalena, seconda da destra, con missionarie e familiares a Madeira
ricordo di giuseppina orlando
Nasce ad Angri (SA) il 12 gennaio 1949. All’età di 24
anni, il 15 novembre 1973 entra nel periodo di orientamento nella Compagnia
Missionaria del Sacro Cuore, affrontando alcuni anni di formazione. Il 7
novembre 1980 emette i primi voti di castità, povertà, obbedienza diventando
missionaria effettiva.
Svolge la sua missione di amore e di servizio nella
Chiesa e nel mondo, secondo la spiritualità e il carisma della Compagnia
Missionaria del Sacro Cuore, in mezzo alla sua numerosa famiglia con passione e
amore materno, nell’ospedale civile di Nocera Inferiore, per 35 anni, come
infermiera professionale nel reparto di ostetricia e ginecologia oncologica e
gravidanza a rischio.
Per tutta la vita ricorda con gratitudine a Dio le
centinaia di bimbi che ha aiutato a venire alla luce, anche impegnandosi tante
volte a salvarli dall’aborto, contro il quale fa la scelta difficile
dell’obiezione di coscienza.
Svolge la sua missione anche in ambito ecclesiale:
soprattutto nell’Azione Cattolica e nella Caritas parrocchiale; e in ambito
sociale: nel Movimento per la vita e nel Consultorio Familiare.
In Compagnia Missionaria è membro del Consiglio
Centrale dal 1989 al 1995. Per alcuni anni è amministratrice del gruppo delle
missionarie che aveva sede prima a Salerno e poi a S. Antonio Abate. Per un
certo periodo svolge il suo servizio nel gruppo anche come responsabile.
Come donna cristiana e come consacrata e discepola del
Sacro Cuore, Giuseppina ama la vita. La vita degli altri, soprattutto dei più
fragili: mamme in gravidanza, bambini, malati, persone in difficoltà, per i
quali mette a disposizione sé stessa e le sue competenze e i suoi talenti. Ama
anche la sua vita Giuseppina e lo dimostra donandola, anche nella sua lunga
malattia; e lo dimostra combattendo con la forza della fede e con inesauribile
speranza per più di tredici anni, mantenendo, anche se con grande fatica, molti
dei suoi impegni, anzitutto in Compagnia Missionaria, nella quale vive una
forte appartenenza con entusiasmo e fedeltà.
Dopo aver percorso per tanti anni la via dolorosa con
Gesù, il 7 aprile 2023, Venerdì Santo, entra con Lui nella morte per risorgere
con Lui nell'eternità dell'Amore.
Lucia Capriotti
Lettera della Presidente per il
funerale
09-03-2023
Carissima Giuseppina,
Oggi
le Missionarie ed i Familiares della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore ti
salutano con cuore grato per la tua donazione nella nostra famiglia, per i
diversi servizi prestati alla Compagnia Missionaria e per la tua testimonianza
di donna consacrata in ogni luogo dove sei stata presente. Ti ricorderemo specialmente
per come hai vissuto la tua lunga e dolorosa malattia sempre in spirito di
offerta, fedele al nostro carisma; molte saranno state le grazie che abbiamo
ricevuto per ogni dolore offerto. Grazie di cuore cara sorella!
Cara Filomena e tutti i membri della tua famiglia ricevete il nostro
abbraccio fraterno e la nostra comunione di preghiera chiedendo che troviate consolazione nel Signore poiché
Giuseppina oggi celebra la Pasqua insieme al nostro Dio e Padre assieme a
tutti i fratelli e le sorelle che ci
hanno preceduto nel Regno dei Cieli.
Oggi
in modo speciale risuonano le Parole di Gesù che rinnovano la nostra speranza: “Io
sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore. Vivrà;
chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.” (Gv. 11,25-26).
Con
fraterna stima.
Graciela Magaldi
Presidente
Ha saputo amare e
soffrire
I miei
ricordi di Giuseppina hanno radici antiche, quando con la sorella Filomena e i
tre nipotini veniva spesso a far visita a mia madre. Verso mia sorella
Giuseppina ha sempre conservato un affetto speciale per averla conosciuta nei
primi tempi della sua scelta missionaria. Amava parlare, ricordando il passato,
delle “tre Giuseppine” includendo naturalmente l’amica del cuore Giuseppina La
Mura, con cui aveva condiviso i tempi della formazione nella CM. Con mia madre
che, come noi figli anche lei chiamava “mammina”, c’era un’empatia naturale e
una certa somiglianza per quel modo semplice, schietto, spontaneo e un po'
scherzoso di raccontare, di comunicare secondo lo stile napoletano. Le visite
diventavano sempre momenti di festa, di allegria. In seguito, con la mia
entrata nella Compagnia Missionaria nel gruppo di Salerno, la nostra amicizia è
diventata più forte, la nostra conoscenza e le nostre condivisioni più
profonde. Non mi è possibile raccogliere i ricordi che sono tantissimi anche
per l’emozione che mi suscitano.
Una
missionaria che sapeva AMARE, che aveva dato “corpo” al nostro carisma nella
concretezza della sua vita. Tre i suoi grandi amori, che si integravano, si
completavano in un’unica missione : la famiglia naturale, la sua professione di
infermiera, la CM.
La sua famiglia naturale, come ancora molte famiglie del
sud, è numerosissima. Ricordo che aveva racchiuso in una foto (le piaceva
scattare foto) tutti i nipoti che io non riuscivo a contare. Per ognuno si
rendeva disponibile specialmente per problemi di salute e per i parti. Molti li
aveva fatti nascere lei. Ma la scelta più coraggiosa e anche difficile,
condivisa con la sorella Filomena, fu di assumersi la responsabilità dei nipoti
rimasti orfani, dopo la morte del padre.
La
professione di infermiera che esercitava con competenza e senza risparmio di
energie, accettando anche turni faticosi, era un po' il suo orgoglio, il campo
dove riusciva a spendere con frutto la sua passione per la vita. Aveva una
grande capacità di ascolto e di persuasione verso donne confuse, sfiduciate,
smarrite sotto il peso di tanti problemi familiari, per incoraggiarle nella
scelta di portare avanti una gravidanza. Con cuore aperto sapeva trasmettere la
fiducia nel Dio Amore, il Dio della Vita che non chiude mai le strade, anche
quelle strette e prepara sempre una gioia più grande. Non so quante siano state
le donne aiutate da Giuseppina, so solo che provava una grande gioia con un
pizzico di orgoglio quando le incontrava felici e grate per la loro maternità.
In qualche modo si sentiva una seconda mamma di tanti bimbi.
Ma
l’amore più grande è stato la CM. Ha sempre mostrato un forte senso d’identità
e di appartenenza. Ci meravigliava durante la sua malattia la sua presenza ai
ritiri di gruppo, anche dopo un giorno di chemio e provata dalla sofferenza.
Aveva bisogno di respirare l’aria della famiglia CM. Come aveva bisogno, fino a
che le è stato possibile, ritirarsi in luoghi di silenzio e di preghiera per
ricaricarsi spiritualmente e riprendere il ritmo intenso della vita. Si
potrebbe dire una donna “contempl-attiva.” Aveva capito che per essere donne
attive bisogna essere contemplative.
La malattia
La sua malattia si è manifestata subito dopo il
raggiungimento della pensione. Si può dire che non ha lasciato mai gli
ospedali, che sono diventati così il primo “luogo” di missione... Un lungo
Getsemani durato anni ed anni che alla fine l’aveva stancata, ma mai tolto la
sua capacità di lottare e quella saldezza di fede che le apparteneva. Sempre
continuava a ripetere “Sia fatta la Tua Volontà”. Questa cara sorella ci ha
lasciato così un segno profondo e una grande testimonianza. Ha saputo amare e
soffrire.
Marinella Martucci
Cara amica
Cara Giuseppina,
la notizia della tua
morte mi ha sorpreso, pur sapendo che negli ultimi giorni la malattia si era
fatta più aggressiva. Passati i primi momenti di sgomento, ho pensato che il
Signore Gesù ti abbia detto ciò che disse al buon ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Cara amica di ben 50
anni, prega per la tua numerosa famiglia e per tutta la Compagnia Missionaria
che hai amato come la tua famiglia di origine.
Mi tornano in mente le
tue parole: «Andiamo
avanti»,
ma senza il tuo aiuto non possiamo farlo.
Buon viaggio, amica mia.
Emilia
Serra
Familiaris
di S. Giorgio a Cremano
ricordo di kuki suarez durussel
Kuki , missionaria del
gruppo dell’Argentina, è tornata alla casa del Padre nel gennaio scorso: a lei il nostro grazie e il nostro continuo ricordo
Una vita piena di generosità
Il
giorno 7 gennaio 2023 è tornata alla Casa del Padre la nostra sorella
missionaria argentina Blanca Maria Cristina Suarez, che affettuosamente
chiamavamo Kuki, dopo una lunga malattia vissuta con vero spirito di oblazione.
Nata
il 24 agosto del 1938 in Santo Tomè provincia di Santa Fè – Argentina. Si sposò
nel mese di marzo del 1961 con Raul Durussel il quale morì quando il loro unico
figlio Dario aveva solo 9 mesi di vita. Rimasta vedova a 24 anni si dedicò alla
crescita del figlio con molto amore e sacrificio. Senza lavoro e senza casa
decise di vivere con i suoi genitori che l’aiutarono in tutto quanto aveva
bisogno. Cominciò a lavorare come parrucchiera. Nonostante i dispiaceri e difficoltà della vita Kuki è
sempre stata una donna allegra, solidale e disponibile ad ascoltare e ad
accompagnare da vicino chi avesse bisogno di aiuto. In seguito, suo figlio si
sposò e le fece il regalo di quattro nipoti e un pronipote che le hanno voluto
bene e l’hanno accompagnata fino agli ultimi giorni della sua vita. È stata una
donna eccezionale e affettuosa e loro hanno ricambiato così tutto quanto lei
gli aveva donato. La sua vita lavorativa è stata molto intensa: ci sono stati
dei momenti in cui ha dovuto affrontare due lavori contemporaneamente per poter
sostenersi. È stata una persona molto apprezzata per la sua grande
responsabilità, onestà e una buona amica.
Ha lavorato nella Direzione del Turismo di Santa Fé e come economa nel
Seminario Arcidiocesano di Santa Fé dove molti seminaristi, che oggi sono
sacerdoti, la ricordano ancora per la sua testimonianza di vita.
Per la sua grande fede e amore al Signore ha
fatto molti servizi nella Chiesa come missionaria arcidiocesana nei luoghi più bisognosi e
poveri, presente nel movimento del “Cursillos di Cristianità”, nelle comunità
parrocchiali, nel coro e come Ministro Straordinario dell’Eucaristia.
Il
28 gennaio 2001, dopo aver terminato il tempo di preparazione formativa,
insieme ad altre cinque missionarie argentine fece la sua prima emissione dei
voti nella Compagnia Missionaria.
Oggi,
tutto il gruppo di missionarie e familiares ringraziamo il Signore per il dono
della sua vita e donazione alla nostra famiglia CM. Kuki ha sempre cercato con
fervore di vivere santamente e rispondere con generosità alla chiamata che Dio
le aveva fatto. Sappiamo che oggi in cielo possiamo affidarci anche a lei
insieme a p. Albino, missionarie e familiares che già godono della presenza luminosa
del Padre.
Graciela
Magaldi
Carissima Kuki…
…. così continuerò
parlandoti e scambiando con te, certamente in un’altra dimensione, la
dimensione del mistero dell’Amore di Dio e della Vita Eterna. Mi domando: è
terminato il tuo cammino? Penso di no; tu, sempre sei andata avanti in tutte le
circostanze che si sono realizzate tramite la mano benevolente di Dio nella tua
vita … per me continuerai ad essere presente e camminando con me. Ricordo,
rispetto a questo, l’affermazione di Santa Teresina del Bambino Gesù: “Dopo
la mia morte, farò cadere una pioggia di rose.
Cosa significa la “PIOGGIA
DI ROSE”?
Santa Teresina si
incantava davanti alle rose. La sua vita si stava consumando e sapeva che la
sua missione era appena iniziata e nello stesso tempo si disponeva ad entrare
nella vita eterna con Dio. Lei voleva dire che avrebbe continuato “a lavorare”,
che avrebbe elargito una pioggia di favori e benefici affinché la gente potesse
amare di più Dio. Riassumendo avrebbe continuato ad essere missionaria … “Mi
sarebbe piaciuto essere Missionaria non solo per alcuni anni, ma mi sarebbe
piaciuto esserlo fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino alla
consumazione dei secoli” … come te … come desidereremmo esserlo ciascuna/o
di noi.
Le tue rose sono il tuo
sorriso, la tua voce, le tue parole, il tuo esempio di vita … ed ora la tua
intercessione, il tuo camminare sempre guardando al tuo Grande Amore … Grande
Amore che hai saputo scoprire nella tua famiglia, in tuo figlio, nei tuoi
nipoti, nelle tue amiche/amici e nella nostra CM … guardando a Colui che hanno
Trafitto … ma Trafitto per Amore, che si è lasciato trafiggere “per lasciare
aperto il suo Cuore”, Fonte di vita, per il grande ed immenso amore per
l’umanità intera e personalmente per ciascuno di noi, che grande Amore,
inesauribile, meraviglioso !!!.
Ed … ho un ricordo molto
speciale, che potrebbe sembrare un dettaglio, che però è sempre rimasto
impresso nel mio cuore: in una delle nostre conversazioni, mi hai raccontato
che dal tuo posto di lavoro, in ufficio, vedevi attraverso la finestra, una
parte di una chiesa … mi dicesti: “ è da
questa finestrella, che nessuno pensa, che guardo Gesù …” vivevi la tua
quotidianità guardando sempre il Trafitto per Amore. Ed è così che hai
camminato nella vita, guardando, cercando sempre Gesù, ed è così che hai
sofferto la tua infermità e la tua offerta di amore … così continuerai
dall’eternità guardando a Gesù ed anche a noi, camminando insieme a noi. Grazie
sempre Kuki … continuiamo insieme! Sempre guardando avanti.
Febbraio 2023
Teresa Pozo - CM Chile
“O sole mio”
Ho
conosciuto Kuki agli inizi della CM in Argentina quando periodicamente andavo
per accompagnare il gruppo nella formazione. Ci siamo riviste dopo tanti anni l’ultima volta nell’ottobre
2018, quando sono ritornata in Argentina, per festeggiare il mio 50°
anniversario di consacrazione nella CM. In questi ultimi anni ho accompagnato
Kuki nel percorso della sua malattia
attraverso vari contatti telefonici e
messaggi vocali che le missionarie del suo gruppo mi inviavano per aggiornarmi
sulla situazione. Alti e bassi che segnavano il percorso di uno stato di salute
fragile, segnali di precarietà, però accettati con grande fede e serenità. Una
lunga malattia vissuta nello spirito di offerta e abbandono di chi aveva saputo vivere da tempo nel suo
quotidiano, l’Ecce Venio e l’Ecce Ancilla. Un esempio perché ci ha insegnato
come vivere e accettare l’anzianità.
Di
Kuki conservo nel mio cuore ricordi gioiosi, che in questo momento emergono e si sovrappongono tra loro, disegnando un armonioso profilo di
donna solare, serena, coraggiosa, nella quale con la sua vita ha saputo
lasciare orme positive e benefiche che hanno arricchito anche il mio cammino.
Ricordo Kuki come la donna forte, la mamma e sorella maggiore, affettuosa
e vivace, sapiente e appassionata per la sua famiglia, per la chiesa, per il
suo gruppo di appartenenza… Come colei
che piano piano diventa la pietra angolare sulla quale si appoggiano tutte le
altre e sostiene tutto l’edificio, perché se ne riconosce la fermezza e la
capacità di tenerci saldi nel cammino.
Il
nostro Statuto al n. 9 ci ricorda che: “L’amore dominerà quindi tutte le espressioni
della nostra vita e apparirà evidente nella testimonianza, espressa mediante la
vivacità della donazione, il sorriso, la semplicità, l’accoglienza di tutti gli
uomini come fratelli”. Kuki a piccoli passi, ha costruito
fin dall’inizio la sua vita su questa roccia e l’ha potuto fare perché ha
riconosciuto in Cristo Gesù la vera pietra angolare, la più importante della
sua vita.
Pochi
giorni fa un messaggio di Letizia (Leti) mi annunciava così la sua morte: “Buen
dia Santina! Escucha:
nuestra Kuki se fue al cielo y con los Angeles te canta: O sole mio. In
comunione”.
Il canto “O sole mio” fa
parte della storia CM Argentina, un
ricordo a tutte caro, che ancora oggi è
come il filo rosso che stimola a
guardare con serenità e gioia al passato
e a ringraziare il presente per il
cammino che ciascuna ha fatto. A Kuki
piaceva tanto cantare e parlare la lingua italiana; a ogni nostro incontro
trovava sempre un pretesto, una motivazione per cantare insieme “O sole mio”.
Pochi mesi prima di morire, sapendo che Leti mi avrebbe mandato il suo messaggio ha voluto registrare un video
dove con un filo di voce tremula e commossa canta “O sole mio”. Un saluto affettuoso come sapeva farlo lei, un
momento particolare – “divino” in cui il canto si era trasformato in preghiera.
Ho
fatto memoria di Kuki seguendo i passi del salmista: Ripenso ai giorni passati…un canto mi risuona nel cuore. (Salmo 77,
6-7) … Carissima Kuki, nel silenzio del mio cuore ti risento cantare e la tua voce è più splendida che mai, perché
ora la tua vita ha incontrato il Vero
Sole e con Lui dimori! Grazie Kuki per
quanto mi hai donato; proteggi la tua bella famiglia e la nostra famiglia
CM.
Santina
Pirovano
Bologna 12 gennaio 2023
Ricordi di
Kuki
Ricordo quell’anno del
2005 …, l’anno quando ho iniziato a conoscere l’Istituto. Quanto ho aspettato
per conoscere le mie sorelle che “erano lontane”. Quanto affetto ed entusiasmo
mi hanno manifestato in quel primo incontro fraterno nella Compagnia
Missionaria. Ricordo che Kuki stava recuperandosi da una operazione al
ginocchio e camminava con le stampelle …! Che grande donna!
Il suo amore per Cristo e per la Compagnia Missionaria lo esteriorizzava così, non misurando lo sforzo, facendosi presente in tutte le circostanze … e questo zelo apostolico l’ha accompagnata fino alla fine. Ricordo uno dei suoi ultimi esercizi annuali, che già doveva passarli in molta parte prostrata, però lì stava “al pie del cañón” (ai piedi del cannone), come diciamo qui.
Per non parlare dei suoi desideri e dei suoi progetti che penso le davano le ali per sognare sempre di più. Ricordo un aneddoto di un altro ritiro che abbiamo condiviso dove con grande convinzione ci raccontò che aveva fatto una barca dove andavano insieme con Gesù e lei appassionatamente reclamava con Gesù più salute per poter fare più cose per Lui … mi è parso tanto speciale ed unico, tanto bello il suo racconto … tanto rivelatore del suo Amore per Gesù ed il suo progetto …
Ti immagino oggi, Kuki, con il tuo bel sorriso, incoraggiandoci a continuare a crescere come Compagnia Missionaria … si, si può … ! coraggio!
Rosa Mabel Gonzalez
La generosita’ di Kuki
Pensavo ad una parola con la quale poterla definire …, credo che la parola
è GENEROSA.
La sua generosità si esprimeva in tutti gli aspetti della sua vita. Non
aveva dubbi nel condividere i doni che il Signore le ha dato ed i suoi
beni.
Una delle cose che mi hanno colpito fin dal primo giorno che l’ho
conosciuta è stato il suo amore alla vita ed alla vita della Compagnia Missionaria.
Aspettava ogni ritiro, ogni Incontro con molto entusiasmo e molta gioia,
non le importava tutto lo sforzo che questo poteva significare.
Kuki ci ha lasciato una testimonianza di “offerta” generosa e sempre piena
di gratitudine. Ringrazio di nuovo il Signore per essere potuta andare a
visitarla lo scorso anno e, rimane in me quel momento nel quale abbiamo
rinnovato la nostra consacrazione a Maria Madre, Guida e Custode della CM.
Rendo lode a Dio. In comunione!
Andrea Ramirez
feconda amicizia e dialogo positivo
Condividiamo la testimonianza di Pia e Mimmo, Familiares del gruppo di S. Antonio Abate (Napoli). Familiares della CM, cioè amici che vogliono condividere più da vicino la nostra spiritualità e le nostre attività, diventando parte viva dell'Istituto.
Presentatevi: raccontateci un po' della vostra vita, come vi siete conosciuti, la vostra famiglia, la vostra vita attuale ecc.
Siamo una coppia unitasi in matrimonio il 18/03/1979: Eravamo in viaggio di “luna di miele” con un'autovettura 127 nuova per visitare le città della nostra bella Italia (Roma, Firenze, Bologna, Milano, Venezia, Como e fino a Lugano e vicinanze in Svizzera), che già le direzioni degli ospedali della provincia di Napoli e Salerno, iniziavano a chiamarmi, perché laureato in Medicina e Chirurgia il 14/10/78 e poi abilitato alla professione medica ed iscritto all'Albo dell' Ordine dei MEDICI - CHIRURGHI DI NAPOLI, avevo l'obbligo di frequentare per 6 mesi, con una paga di 250 mila lire mensili (così è iniziata la mia passione per l'otorinolaringoiatria). Già da qualche anno frequentavo, di mattina, il reparto di chirurgia dell'Ospedale di Castellammare di Stabia e di pomeriggio affiancavo un medico anziano famoso di Sant'Antonio Abate, con funzione di Direttore Sanitario e specialista in Pediatria ed Ostetricia, per approfondire l'esperienza quotidiana del rapporto con la persona ammalata. Intanto Pia era studentessa di Biologia presso l'Università degli Studi di Napoli.
Ci siamo già conosciuti giovanissimi, lei all'età di 14 anni ed io diciottenne, quando mi chiese di fare delle ricerche sulle mie enciclopedie, perché le nostre famiglie già si conoscevano (da allora è nata la nostra attrazione con il fidanzamento successivo e poi al matrimonio).
Con la mia graduale ma veloce affermazione a S. Antonio Abate, come medico di MEDICINA GENERALE e con la benedizione del SIGNORE per l'arrivo dei primi figli, Pia si è dedicata completamente all'organizzazione della famiglia, abbandonando gli Studi Universitari, anche perché faceva funzione di segretaria per le visite domiciliari ed informazioni. Anche se la nostra vita professionale era molto intensa, siamo cresciuti nell'ambiente della Parrocchia e delle suore, partecipando all'Azione Cattolica: all'età di sedici anni sono stato vincitore di un “Concorso Veritas” tenutosi presso il Vescovado di Castellammare – Sorrento , con il relativo soggiorno premio di tre giorni a ROMA.
Pia ha continuato il suo impegno in parrocchia, continuando a studiare, conseguendo il diploma di SCIENZE RELIGIOSE.
La nostra famiglia si è arricchita della gradita presenza di 3 figli (2 donne e un maschio) che abbiamo seguito negli studi e nelle varie attività ricreative, culturali e religiose: la prima figlia è medico – chirurgo, specialista in igiene (ha 3 figlie) e vive a S. Antonio Abate; il maschio è ingegnere medico, laureatosi a Roma, ivi sposato con una collega ed ha 2 figlie; la terza, single, laureata in scienze per informazione scientifica, dopo alcuni anni di attività, ha scelto di diventare dipendente della posta.
Dopo alcuni anni di sofferenza per malattia (sono stato operato di K vescica in ottobre 2018), con successive varie complicanze, per cui sono stato spesso in fin di vita ed in uno stato di cachessia, con la necessità di alimentazione artificiale e trasfusioni di sangue.
Il vostro incontro con la Compagnia Missionaria
Oggi posso ringraziare il SIGNORE NOSTRO DIO, nonostante gli alti e bassi del vivere quotidiano, per gli esiti dei miei problemi di salute, e ringrazio per le preghiere e per l'affetto dei familiari, amici, missionarie di tutta la CM e dei Familiares e della nostra responsabile, DOLORES, (la cui vicinanza è arrivata anche a Milano, dove ero ricoverato), e la particolare vicinanza degli amici familiari di S. Antonio Abate (GENNARO MERCURIO, CLEMENTE STATZU ecc.). Nonostante siano gravosi i miei problemi di salute, riusciamo ad accogliere i nostri nipotini ed a coadiuvare i genitori nella loro crescita professionale e ricreativa.
Frequentando e vivendo la vita della nostra Parrocchia, i nostri amici Clemente e Rosa, Gennaro Mercurio e Lucia, Giuseppe de Gregorio e Anna, Vincenzo Pannone e Consiglia, ci hanno invitato a frequentare gli incontri dei Familiares con il caro PADRE ALBINO: ci siamo subito innamorati del carisma di PADRE ALBINO e poi di CAMILLA, che ci ha seguito nel percorso di formazione per aderire alla famiglia dei Familiares ed alla CM, ed in seguito Lucia Capriotti e di tutte le altre missionarie, che abbiamo conosciuto successivamente.
Quei primi anni sono stati pieni di ricordi e di feconda amicizia e di crescita culturale e religiosa, insieme ai nostri figli, che stavano meravigliosamente bene con i figli dei nostri amici Familiares, con i quali sono cresciuti in età e cultura.
Papa Francesco parla di “chiesa in uscita” e “di periferie esistenziali”. Secondo voi come possiamo concretizzare questo suggerimento nell'ambiente in cui viviamo?
Conveniamo con il nostro caro PAPA FRANCESCO, che la chiesa deve essere in uscita, per migliorare il contatto con le persone ed aiutarle ad innamorarsi di GESU' e della nostra cara Madre Maria.
Secondo noi, per riuscire ad avere una comunicazione religiosa con la società in cui viviamo, è necessario riuscire a stabilire un dialogo positivo e costruttivo con la popolazione, di tutte le età, del nostro ambiente ed a creare in parrocchia eventi ricreativi e culturali per stimolare lo sviluppo culturale e morale delle nuove generazioni. Abbiamo vissuto un periodo difficile per il periodo dell'epidemia da COVID, ma con la disgrazia della guerra scatenata da PUTIN in UCRAINA, la nostra vita è peggiorata per la crisi economica conseguente alla penuria del gas e grano, per cui è vigente un corale scoraggiamento e sfiducia nel futuro, ma con la buona della società civile e con l'aiuto della Comunità Europea e con la fiducia che abbiamo nel nostro amato Gesù, supereremo certamente questo delicato momento di difficoltà economica.
Pia Del Sorbo e Domenico De Riso
compagnia missionaria e spiritualità di comunione
Le parole di s. Paolo e di p. Dehon, citate sopra, esprimono
alcuni atteggiamenti fondamentali perché un gruppo di persone possa stabilire
rapporti di comunione. La fraternità da voi scelta come condizione in cui
esprimere la vostra vocazione – anche se in forme diverse – ha il suo fondamento nella vita teologale, dal
momento che il segreto della felicità dell’uomo e di una nuova umanità sta nel
mistero stesso della Trinità: la comunione.
Premessa – Comunione: un’urgenza attualissima
Sentirsi uniti da un carisma – la
spiritualità del Cuore di Cristo – e dal valore della comunione, può darci la sensazione
di pensare e sentire tutti allo stesso modo, poiché abbiamo valori e linguaggio
comuni, che danno una sensazione di omogeneità. Di fatto, la realtà è più
complessa. Ogni persona aspira a valori e atteggiamenti che ritiene importanti
per la propria esistenza e cerca di tradurli in comportamenti coerenti. Le
aspirazioni ideali, tuttavia, anche se sono fondamentali non bastano:
costituiscono il punto di partenza, che deve incarnarsi in scelte di
comportamento coerenti con tali valori. Il cammino della nostra vita sta tutto
in questa costante tensione tra l’ideale
oggettivo e l’impegno soggettivo
di tradurlo nella vita quotidiana.
Davanti alla spiritualità del Cuore di
Cristo, declinata nella vita e negli scritti di p. Dehon – e mediata per la Compagnia Missionaria da p. Albino
Elegante – ognuno sente risuonare dentro di sé alcuni valori che percepisce più
“suoi”, più in sintonia con il suo essere. Questa risonanza interiore,
tuttavia, va vissuta con una particolare avvertenza: ciò che uno sente
risuonare dentro di sé come elemento più in sintonia con la propria realtà
personale è semplicemente il punto di partenza per fare spazio a tutto il
resto del Vangelo. Lo stesso va detto degli aspetti che sente più
faticosi: essi indicano i punti più bisognosi di attenzione e di
comprensione per farli oggetto del proprio cammino di conversione.
A livello generale, infatti, è
importante vigilare per non ridurre la spiritualità a una realtà
teorica o puramente soggettiva. Pur sentendo più centrali ed
evocativi per sé alcuni valori del Vangelo, ognuno di noi non può/non deve
confondere una parte con il tutto ma, a partire da ciò che sente più sintonico
con la propria realtà personale: tutti siamo chiamati a vivere una vita interamente
evangelica, che ci conduca a essere un’umile incarnazione di Dio Amore.
Il mondo di oggi, così ferito e offeso
nelle relazioni ha bisogno di questo. Infatti, oggi in ogni ambito della nostra
società, la libertà
è percepita come un valore che divide più che unire. Essa viene sempre più
spesso chiamata in causa per mettere distanza, per marcare dei limiti tra le
persone, non per favorire la loro unione. Oggi, la competizione
ha un ruolo crescente, anzi, sembra essere il criterio dominante: egocentrismo,
arrivismo, carriera, culto del successo ad ogni costo, arrivare a essere i
primi e meglio degli altri... sono questi i nuovi “comandamenti” della cultura
attuale. E anche noi, in comunità o in famiglia, non siamo esenti da questi
idoli e dalle dinamiche che innescano. Il risultato, lo vediamo, è la rottura delle relazioni umane.
Il mondo intero – non solo quello
occidentale – è malato, colpito da un morbo che progressivamente lo corrode in
ciò che possiede di più umano: la
capacità di stabilire e mantenere relazioni permanenti e fedeli, la capacità di comunione, gratuità, amore,
appartenenza, unità... L’esaltazione unilaterale dell’individuo come
soggetto che può trovare la propria realizzazione in se stesso, sganciato dalla
comunità e dalla famiglia, o addirittura in contrapposizione agli altri, è il leit-motiv
della cultura attuale. Non importa se il nostro tempo si caratterizza anche per
fenomeni dilaganti come la depressione, il suicidio, l’insoddisfazione per la
vita: nonostante l’enorme bisogno di comunicazione e di comunione, la nostra
epoca sembra paradossalmente complottare contro di essa.
D’altra parte, ciò è riconducibile a un dato ontologico: in
tutti noi c’è il desiderio di
comunione/amore/amicizia, ma queste realtà ci fanno anche paura. C’è un aspetto di fascino
e paura nell’incontro con l’altro, chiunque esso sia, perché la diversità
dell’altro ci mette in discussione, perché intuiamo che l’aprirsi all’“altro” provoca ed esige un cambiamento.
Quando noi consacrati scegliamo di vivere alla luce del
Vangelo – in comunità o in famiglia – accogliamo l’invito a intraprendere
un’avventura misteriosa, enormemente più grande della nostra capacità di
immaginazione. Non abbiamo scelto di vivere in comunità perché ci sentiamo già
capaci di vivere in modo evangelico. Neppure possiamo aspettarci di godere un
clima di rapporti perfetti, ideali, forniti dai fratelli o dalle sorelle.
Piuttosto, intraprendiamo la vita comunitaria perché crediamo nella possibilità e nella
verità di tali valori per noi e per il futuro del mondo; perché crediamo e speriamo che solo nella tensione
costante a un amore semplice, povero, disinteressato diventiamo davvero “figli”
del Dio di Gesù Cristo e costruiamo il suo Regno.
Vivere insieme alla luce del comandamento dell’amore è un
ideale che ci ripetiamo spesso, ma è un progetto molto al di sopra della nostra
genialità e delle nostre povere forze, e riserva continue sorprese. Cominciamo
questo cammino, ma non sappiamo dove ci condurrà e cosa ci chiederà. Crediamo e
speriamo però che la vocazione
ricevuta porta con sé la grazia per riconoscere quegli indizi della storia che
ci permetteranno di sintonizzarci con il cuore di Dio, purché sia
tenace e visibile nei gesti quotidiani la nostra continua ricerca e apertura al
Bene, la scelta di mettere l’amore e la riconciliazione di Cristo a fondamento
della nostra vita.
Il comandamento dell’amore – amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi
(Gv 15,13; 1Gv 1,3-4) – è il fondamento della vocazione cristiana e della
spiritualità del Cuore di Cristo. Ciò significa: dare la vita. E per non cadere
nel moralismo o nel soggettivismo, in una spiritualità disincarnata o in un
attivismo autoreferenziale, una sana spiritualità ci fa tenere unite contemplazione e azione,
per vivere in un
atteggiamento di discepolato concreto, per rimanere nella sana tensione verso la libertà di amare come
ama Dio.
A partire dal testo ricco di significati dei vostri Statuti di Missionarie e Familiares
e dalle vostre risposte, vi presento alcuni spunti di riflessione per una
verifica e un approfondimento specifico che aiuti a concretizzare, non solo a
conoscere, i valori propri della spiritualità del Cuore di Gesù.
1. Una spiritualità di
comunione
Per evitare voli pindarici,
chiediamoci: che cosa si
intende con il concetto di “spiritualità”? Intendiamo una vita teologale, cioè
fede e speranza vissute come amore responsabile nella/della storia. Proprio per vivere a fondo la
storia degli uomini noi cerchiamo costantemente la sintonia con il
Cuore di Dio-Amore, unico principio attivo di ogni possibilità di
comunione. La nostra vita fraterna, in comunità e
in famiglia, trova
qui le sue radici.
Tutto inizia dall’atteggiamento
dell’accoglienza. Si tratta di
accogliere il dono dello Spirito di Dio che ci vuole costruire
a sua immagine; accogliere l’Amore che ci precede e ci viene incontro sempre.
L’Amore accolto ci porterà a essere figli,
cioè a essere immagine di Dio. E poiché Dio non è solitario, ma mistero di
comunione, anche noi troviamo
la nostra identità nell’apertura e nella comunione con l’altro
(natura, uomini, vicende, Dio). Solo rimanendo sempre aperti all’alterità si costruisce in noi
l’immagine di Dio, scopriamo la nostra identità.
Noi siamo chiamati a vivere insieme per accoglierci: siamo affidati gli uni agli
altri per essere segno di quell’accoglienza originale di Dio che ci fa essere e
ci pone costantemente nella Vita, nel Bene, nell’Amore; perché si riveli la sua
potenza nelle nostre debolezze.
In questo senso comunità e famiglia sono luogo privilegiato di crescita verso l’amore e fondamento di ogni azione
pastorale. A
condizione che noi cerchiamo di vivere un’autentica vita teologale e possediamo uno sguardo contemplativo in grado di
vedere Dio costantemente all’opera nella nostra vita. Dio è presente in tutto,
anche se non lo si vede, ma per rendersi visibile deve passare attraverso la
nostra accoglienza. Infatti, per agire nel mondo creato Dio
ha scelto di incarnarsi: prima nella Parola, e
poi nel Verbo fatto uomo. Ora chiede di incarnarsi nella storia di
ciascuno di noi. La nostra scelta di vita è offrirsi a Dio con tutto
noi stessi per essere spazio
della sua azione nel mondo, oggi, e ci impegna sul cantiere
della storia. In questo senso realizziamo quel «complemento reale dell’immolazione di Cristo» (Statuti, 10), che non aggiunge niente all’offerta di Cristo, ma la
attualizza nella nostra vita, permettendo a noi di vivere quell’unione al Cuore
di Gesù che ci fa “rimanere in Lui”
(cfr. Gv 15), essere una cosa sola
con Lui. Così si vive la conversione alla libertà di amare come Dio
ama...
2. Per una
comunione viva
La vocazione consacrata si nutre della comunione con Dio e
con i fratelli/sorelle. Cosa
dire di più specifico a questo proposito? A quali atteggiamenti sollecitano
i vostri Statuti per crescere nella sua
realizzazione? Condivido con voi alcune brevi riflessioni in
progressione, che ritengo importanti per vivere realisticamente di una
spiritualità di comunione.
Ciò che è riferito alla comunità è valido – con le necessarie distinzioni –
anche per la famiglia.
a. Una visione dinamica della vita.
La vita è in sé stessa relazione, così come l’amore dice
relazione.
Le scienze umane, con la visione dinamico-evolutiva che le
caratterizza, ci informano che la persona è relazione e si struttura
attraverso i rapporti. L’uomo, cioè, non è già sé stesso in modo
chiaro e definitivo al momento della nascita, ma lo diventa attraverso una fitta rete di relazioni che lo costituiscono
nella sua identità, permettendo così anche
l’espressione della sua interiorità. Ciascuno di noi cresce e diventa individuo in forza di comunità vitali (società, famiglia, scuola, gruppi, comunità...) e dei rapporti che in esse stabilisce.
Proprio la qualità dell’inserimento nel nostro tessuto comunitario esprime
quanto anche noi siamo vitali, cioè capaci di generare vita e alimentare altre
comunità.
b. In comunità per divenire noi stessi.
La comunità ha questo scopo
fondamentale: la piena
maturazione delle persone. San Paolo esprimeva questa realtà quando
scriveva che la sua paternità aveva come scopo che i fratelli potessero
crescere « finché Cristo sia formato in voi » (Gal 4,19); e altrettanto quando
spiegava che i diversi doni di grazia da loro ricevuti dovevano condurli alla «
piena maturità di Cristo
» (Ef 4,13).
Questi riferimenti paolini non sono casuali: ci dicono che la nostra vera identità consiste nel
giungere a essere figli come “il” figlio Gesù, a immagine del
quale noi siamo stati creati (cfr. Ef
1,3-14).
La comunità, quindi, è per la crescita delle
persone, le quali giungono alla verità e pienezza di sé aprendosi
progressivamente e continuamente alla novità del vangelo e del Regno. Essa
vuole essere luogo privilegiato affinché ciascuno possa giungere alla sua piena
identità di figli di Dio, dando un volto unico ed originale al
desiderio/vocazione al bene che porta iscritto dentro di sé.
E in una comunità/famiglia tutti contribuiamo a creare quel
clima vitale che permette questa crescita. O si cresce insieme o non si cresce.
Se qualcuno non dà il suo contributo tutti ne risentono; se qualcuno presenta
resistenze all’accoglienza della vita, che arriva a noi sempre attraverso mediazioni umane - cioè gli altri fratelli –,
tutti subiscono conseguenze. L’unità e la comunione prima ancora che essere frutto
di un impegno della nostra volontà sono un dono che viene a noi da Dio nella forma
del dono di sé che ci facciamo gli uni gli altri.
Per questo la comunità religiosa – diceva s. Tommaso – è
una scuola di
carità perfetta. È una scuola dove nella relazione con i fratelli si
impara a voler bene, a volere il Bene a ogni costo e per tutti. Ciò richiede di
saper riconoscere il Bene presente nella propria storia e in quella dei
fratelli; saper interiorizzare il Bene che è Dio-Amore e lasciare che si
esprima attraverso i nostri gesti, le nostre parole, i nostri silenzi, ecc...
M. GRAZIA VIRDIS, Ut unum sint
c. Scegliere la propria comunità.
Quando entriamo in comunità troviamo
un ambiente e persone che hanno una storia, una tradizione e stili già
collaudati. Educarsi alla comunione e vivere la fraternità – o, come è scritto
nei vostri statuti, « farci comunione
» – comincia con la scelta consapevole di
accettare la storia e la tradizione di una comunità che ci accoglie
e che noi accogliamo.
È il grande tema del senso di appartenenza alla comunità
e al carisma dell’Istituto. Accettare non significa lasciare tutto com’è, ma
arricchire la comunità con il contributo della propria unicità, della propria
diversità anche etnica e culturale e stimolarla a crescere in forza delle
energie presenti in essa. L’arricchimento personale di ognuno risulta tale
quando non è imposizione della propria
sensibilità o dei propri modi di vedere la comunità, ma quando è offerta che si rivela fermento capace di far lievitare la
comunione della comunità. Per questo è indispensabile l’accoglienza della
comunità e delle persone, con tutte le loro qualità e con tutti i loro limiti.
Se noi accettiamo solo le cose belle, le caratteristiche
positive di una comunità, ciò che si accorda immediatamente con il nostro modo
di essere o di pensare, costruiamo rapporti falsi. Non esistono persone,
culture, tanto meno comunità, che abbiano solo pregi e nessun difetto; tutto e
tutti, in quanto creature, hanno pregi e limiti/difetti. Se vogliamo costruire
il Regno – e quindi evangelizzazione, fraternità, unità e comunione – bisogna
fare i conti con entrambi.
Penso sia questa uno dei motivi delle nostre difficoltà a
vivere insieme: viviamo ancora prigionieri di meccanismi ingenui di idealizzazione e di individualismo.
d. Gli ideali sono vissuti nella storia.
Tutti noi, sia che viviamo in
comunità o in famiglia, siamo animati da grandi ideali. Ma siamo chiamati a fare i conti con la storia e con la
dinamica evolutiva che la caratterizza. Essa ci insegna che solo
progressivamente, nel divenire della vita, possiamo dare
un’espressione visibile e credibile ai valori e agli ideali. E questo richiede
che ci accogliamo senza riserve e senza pregiudizi, ci aiutiamo con delicatezza
e grande rispetto se vogliamo rispondere alla nostra vocazione.
Vivere le fatiche dell’accoglienza
reciproca, dell’andare incontro all’altro con discrezione, del coraggio della
correzione fraterna data e ricevuta, della consapevolezza che la nostra
crescita passa attraverso l’altro..., è la condizione che ci dispone a essere
attenti, recettivi, capaci di rispondere alle provocazioni della vita che
incontriamo anche nell’apostolato. Non dobbiamo desiderare convivenze in cui
non ci siano problemi, ma comunità/famiglie in cui le diversità, e le tensioni
che ne derivano, sono affrontate in modo evangelico, con simpatia, umorismo,
disarmo, amore.
Non possiamo vivere bene a compartimenti stagni. Quando noi
viviamo le relazioni in un certo modo in comunità/famiglia e in un modo diverso
fuori, stiamo strumentalizzando gli altri per un nostro benessere; non abbiamo
ancora compreso il dono della relazione con l’altro, che cosa significhi vivere
in comunità, e come l’unità e la comunione tra noi sia la prima testimonianza
da rendere: vi riconosceranno da come vi
amerete (cfr. Gv 13,35).
e. Tensioni, conflitti, crisi: che senso hanno?
Il cammino che porta alla comunione
e all’unità è accidentato, lo sappiamo bene. Difficoltà, tensioni (anche prolungate), momenti di crisi sono passaggi obbligati.
Per fare spazio alla fraternità è necessario rivalutare questi momenti,
cogliere la loro valenza positiva proprio in ordine al valore della comunione. La comunione ha senso proprio perché siamo
diversi: la nostra diversità riconosciuta, accolta e valorizzata
rivela la bellezza del piano di Dio, che vede ogni realtà creata ordinata
all’Uno.
Di solito percepiamo ogni
difficoltà/conflitto/tensione che interferisce con i nostri programmi come una
minaccia. Presi dalla paura di non sapere che cosa fare, o di perdere il
controllo della situazione, siamo portati istintivamente a scongiurare ogni
eventualità di crisi. In questo modo anziché essere profeti di quella comunione
e unità che sarà destino futuro dell’uomo, ci mostriamo custodi di un museo
archeologico: quello delle nostre paure e rigidità infantili, che non
accettiamo di mettere in questione.
Le scienze in generale ci insegnano
che le crisi sono
il segno di un processo di divenire in atto, hanno un ruolo positivo nel
processo evolutivo, ci fanno crescere. In un organismo vivente le crisi sono normali. L’eccezione è la
condizione di equilibrio, l’assenza di tensioni, i passaggi indolori. Siamo
diversi per età, cultura e famiglia d’origine, estrazione sociale, educazione
ricevuta, sensibilità, intelligenza, esperienze vissute, preparazione
culturale...: come potrebbero non esserci difficoltà e fatiche al confronto e
alla collaborazione? È proprio il
confronto e la condivisione delle singole originalità che stimola alla
conversione e rende possibile la comunione. Anziché essere una penalizzazione,
allora, tutti questi elementi di diversità ci aiutano a scoprire la nostra
identità e il nostro futuro come singoli e come comunità, e ci richiamano a un
atteggiamento di discernimento permanente.
Invece di inasprire le differenze individuali e la
competizione, dovremmo rivalutare l’ascolto, il silenzio, la pazienza,
l’accoglienza, la valorizzazione dell’altro...!
f. L’identità sta davanti a noi, nel futuro.
Quando noi parliamo di identità la
tentazione è quella di guardare istintivamente indietro - la
nostra storia passata, gli eventi salienti della nostra esperienza di vita, i
nostri tratti caratteristici, ecc. -
in modo statico e implicitamente “conservatore”. E facciamo così anche
per la nostra identità di istituto consacrato, pensando che la fedeltà al
carisma dipenda da quanto è già stato detto e fatto dal fondatore, o da chi è
venuto prima di noi. Pensiamo, insomma, che la nostra identità è qualcosa da conservare piuttosto che da cercare
e costruire.
La
storia attuale, con tutta la sua complessità, ci dice che la fedeltà più impegnativa riguarda il futuro.
Il passato e la tradizione non sono il riferimento assoluto, e il
cammino della nostra vita non è tutto predeterminato e definibile a priori.
Anche la vita consacrata segue i sentieri dell’umanità, dove tutto è in
evoluzione.
Gli ideali e valori che guidano un
istituto di persone consacrate sono sempre formulati e vissuti in modo
provvisorio e parziale. Fedele al carisma, infatti, è chi ne permette e
facilita un’espressione adeguata all’oggi: i suoi gesti esprimono
un’adesione e una tensione sincera ai valori della tradizione in cui si è
inserito, ma che con le sue scelte cerca di sviluppare.
L’importante è aver chiaro qual è il
progetto
che ci tiene insieme. È la chiarezza sul progetto che crea le basi per l’unità
e la comunione e la testimonianza della comunità. Di per sé la comunione non è
lo scopo ultimo della nostra vita religiosa. Lo scopo è e rimane sempre conoscere Dio, dimorare in Lui, giungere
alla piena maturità di Cristo e godere della Vita in pienezza
(cfr. Gv 13,15.17); la ricerca di unità e comunione è l’atteggiamento
che ci consente di rimanere sempre aperti ad accogliere e vivere questo dono.
E noi, abbiamo chiarezza sul
progetto da realizzare?
g. Siamo un cantiere sempre in costruzione.
Ho trovato molto bella una definizione della comunità vista
come « il luogo dei
passaggi verso l’amore » (J. Vanier). È vero! Fare comunione – in
famiglia come in comunità – comporta passaggi decisivi per il proprio divenire
persone e credenti adulti. Il passaggio dall’egoismo all’amore, dalla paura
alla fiducia, dal litigio all’unità, dalla menzogna alla verità, dalle teorie,
dai sogni e dall’idealismo alla realtà, dalla vanagloria alla gloria di Dio...
La comunità è, in sé stessa, una realtà fortemente evolutiva. È
un’offerta di vita che può favorire la scoperta di sé, di ciò che si può
divenire e ci si sente chiamati a essere, sia come singoli che come gruppo. La
costruzione della propria identità è un processo che avviene soltanto
accettando di stare di fronte all’altro, alla sua diversità, lasciandosi
mettere in questione, mantenendosi in uno stato di costante ricerca.
M. GRAZIA VIRDIS, Frutto in maturazione
Vivere insieme chiede di essere sempre disponibili al cambiamento, e cichiama
a vivere in un atteggiamento di continuo distacco
da noi stessi e dalle cose, dagli affetti e dalle persone. Sembra un paradosso:
per crescere e far crescere la sorella/il fratello nell’unità e nella comunione
è necessario saper vivere il distacco, da intendere non come
negazione della dimensione affettiva ma come attenzione a non dare a nulla e a nessuno il posto di Dio.
h. Crescere è fare spazio alla Vita.
Secondo una visione
dinamico-evolutiva, che è poi evangelica, ciascuno di noi nasce incompiuto e
vive la propria storia camminando verso il suo compimento. E per giungere al nostro compimento abbiamo
accolto la chiamata alla vita consacrata, nella comunità o in famiglia.
Esse sono un aiuto, ma entrambe comportano molte fatiche.
Il tempo trascorso fino a oggi in famiglia e in comunità
penso ci abbia insegnato che i nostri cambiamenti non sono avvenuti per un
volontaristico programma personale steso a tavolino, ma perché abbiamo dato spazio a nuove provocazioni
della vita, a nuove situazioni: abbiamo permesso agli altri di
spostare qualcosa dentro di noi, di modificare qualcosa di cui, forse, fino ad
allora andavamo sicuri e orgogliosi.
Noi cerchiamo la comunione perché crediamo che
la Vita giunge a noi sempre attraverso gli altri: se da una parte
richiede un
atteggiamento di accoglienza e di apertura fiduciosa, dall’altra
comporta che noi accettiamo la
nostra insicurezza.
In altre parole, noi sappiamo entrare in comunione quando
diventiamo vulnerabili, quando lasciamo cadere
le nostre maschere e ci mostriamo così come siamo; quando ci lasciamo
conoscere, apriamo la nostra porta, e non viviamo l’altro come un intruso, ma
come una visita della grazia che vuol portarci vita. Non possiamo sapere in
anticipo cosa ci chiederà e cosa ci porterà a cambiare dentro di noi. Crediamo
però che certamente Dio vuole condurci sempre più in profondità alla verità di
noi stessi, e infine -
lo speriamo -
alla Verità tutta intera. Possiamo accettare la nostra insicurezza e debolezza
quando con fede abbiamo posto la nostra certezza nel Risorto, e speriamo nella
potenza generatrice di vita della sua presenza in comunità.
Ci vuole coraggio per vivere tutto questo!
Perché non esisto solo io con le mie sicurezze personali. Esistono anche gli
altri attorno a me, e mi lanciano continui stimoli che mi mettono in questione.
Se li so accogliere posso crescere e scoprire la ricchezza mia e dell’altro in
ordine al compimento della nostra identità di figli di Dio: giungere alla libertà di amare come ama Dio. Se invece temo la mia
insicurezza mi irrigidisco sulle mie posizioni, non accetto le provocazioni che
mi portano nuova vita, e non mi trovo bene con gli altri.
Ci vuole fiducia per vivere così il
rapporto fraterno in comunità/famiglia. Dare fiducia è il senso profondo dell’amore.
Dio si fida dell’uomo in modo totale. Egli ha messo nelle nostre mani il
mondo, il Figlio, la Chiesa, tutto... crede nella nostra capacità di portare
frutto e, senza scandalizzarsi delle nostre imperfezioni e infedeltà, ci invita
a fare altrettanto con i nostri fratelli.
Se proviamo seriamente a vivere
questa fiducia, la nostra ricerca di comunione ci vedrà servitori del Bene che è presente nella
sorella/nel fratello, forti della “speranza attiva” che ci porta a
giocare tutto su ciò che l’altro ancora non è ma potrebbe divenire con l’aiuto
del nostro sostegno fraterno.
i. Chiamati perché peccatori, uniti perché salvati.
E infine viene da chiedersi: perché mai Dio ha affidato a
creature deboli come noi il Sint unum, il buon messaggio della
unità e della comunione trinitaria? Cosa possiamo fare di fronte al nostro
limite, alle nostre paure e debolezze così evidenti?
E se stesse proprio qui la sfida e
la testimonianza della vita consacrata? Una vita
insieme, camminando ogni giorno alla ricerca dell’unità e della comunione, senza scandalizzarci delle debolezze e delle
povertà nostre e degli altri. Dio ci ha chiamati così come siamo...
e Lui sa bene cosa ci chiede, perché non vede solo i nostri difetti ma anche i
nostri talenti.
Nessuno è perfetto! Non lo erano i primi
discepoli, e non lo siamo neppure noi. Con tutto il fardello della nostra debole
umanità noi siamo chiamati a rendere visibile l’onnipotenza della Grazia di Dio
nelle nostre fragilità e la sua sovrabbondanza proprio lì dove abbonda il
nostro peccato (cfr. Rom 5,20). Mi sembra che sia questo il
messaggio che papa Francesco ci sta mandando con forza e perseveranza
dall’inizio del suo pontificato.
Se crediamo nella buona notizia dell’amore
di Dio e vogliamo viverla, nelle nostre case si dovrebbe vedere che nessuno si
scandalizza se le cose non vanno sempre bene, se i programmi non riescono, se i
fallimenti bussano alla nostra porta, se non ci sono i risultati previsti...
perché crediamo che la Grazia sovrabbonderà anche lì dove noi leggiamo i segni
del fallimento. La Grazia ci trasformerà se ci rendiamo disarmati e disponibili
alla conversione, se non usiamo le nostre debolezze come giustificazioni, ma
continuiamo a cercare anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia.
Allora la nostra vita diventa segno. Segno
del Risorto che dà continuamente la vita a chi si rende disponibile ad
accoglierla. L’accoglienza della sua volontà di comunione diventa in noi
decisione di prestare a Dio le nostre mani, le labbra, il cuore... perché il
suo amore trovi spazio nella nostra storia di uomini.
Smettiamola di guardarci con occhi
di giudizio, di tormentarci – spesso solo a parole – con i sensi di colpa per
le nostre incoerenze come consacrati.
Sarebbe molto più produttivo,
proprio a livello di testimonianza, riconoscerci peccatori senza fare dei drammi, e
accogliere la salvezza di Cristo ogni volta che ci troviamo vuoti e sconfitti
per le nostre infedeltà e per le nostre resistenze. Chi sa mettersi
in questione fa circolare lo Spirito e cammina con i suoi fratelli, libero di
esprimere in forme sempre nuove la sua comunione con il cuore di Cristo, in un
atteggiamento di conversione
permanente.
La gente che ci guarda, allora, non avrà più paura di Dio se potrà vedere noi
che, ogni volta che ci troviamo a terra, ci rialziamo prontamente con il
sorriso di chi sa di essere amato e salvato, e può riconoscere questa salvezza
nel gesto accogliente e riconciliante della sorella/del fratello.
M. GRAZIA VIRDIS, Cuore di luce
P. Enzo Brena scj
Domande per la riflessione/condivisione
· Quali ostacoli/resistenze sperimentiamo più
frequentemente nello stabilire tra noi relazioni di comunione?
· Se è vero che siamo sempre in crescita, che cosa
concretamente ci frena/ci impedisce di accogliere gli stimoli quotidiani alla
nostra conversione/crescita?
· Il più grande ostacolo alla libertà, alla comunione e
alla gioia di vivere siamo noi stessi!
Che cosa mi sono proposto personalmente per stare in un cammino di libertà
evangelica? Che cosa suggerisco e propongo alla comunità?
· Un grande ostacolo all’amore-comunione è il legalismo,
per il quale contano più le regole (e le abitudini personali!) che il Vangelo!
Che cosa stiamo facendo e come ci stiamo aiutando su
questo punto? Quanto la nostra via è vissuta con il cuore aperto?
· Come percepisco il mio limite personale? Quanto vigilo
sul pericolo di una vita vissuta in modo “pelagiano” o “gnostico”? Quanto credo
nella grazia e nella salvezza gratuita di Dio? e quanto la vivo nei confronti
degli altri?