Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
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19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
come a betania
Dopo la mia ordinazione sacerdotale, i superiori della mia Congregazione mi incaricarono di diffondere la devozione al S. Cuore di Gesù, come l'aveva praticata e insegnata ai suoi figli spirituali, i Sacerdoti del S. Cuore, il venerato p. Dehon. Eravamo alla fine della seconda guerra mondiale ed era forte la sete di spiritualità; ho potuto così avere contatto con molti sacerdoti, con adulti e con giovani. Alcune ragazze mi comunicarono la volontà di una donazione più piena al Signore: all'inizio ho cercato di indirizzarle all'una o all'altra congregazione feminile che conoscevo; ma altre ragazze, che mi accompagnavano nei vari incontri, espressero il desiderio di rimanere nel cammino della stessa spiritualità a cui avevano già aderito: come a Betania, in atteggiamento di ascolto, nell'amore e nel servizio di Dio e dei fratelli. Così ha avuto inizio la Compagnia Missionaria del S. Cuore di Gesù, la notte di Natale del 1957
nate con gesù a natale
La giornata tanto attesa finalmente è arrivata. Sembrava che questi giorni non passassero più tanto era il nostro desiderio di vedere spuntare l’alba del 24.12.57.
Incominciano a farsi sentire i primi squilli di campanello: ognuna di noi va a gara per correre ad aprire la porta alle nostre sorelle esterne che con noi oggi faranno una giornata di ritiro in preparazione alla funzione di accettazione nella Compagnia...
...alle 8,30 ci si ritrova in Cappella. Il Padre, dopo aver proceduto alla benedizione dell’Altare e di tutti gli oggetti sacri, si accinge a celebrare la S.Messa. Non si può dire che cosa provavano i nostri cuori in quel momento.
La prima S.Messa celebrata nella nostra casa, la S.Messa che ci avrebbe permesso di avere sempre Gesù in mezzo a noi! Non potevano sgorgare dai nostri cuori che sentimenti di viva riconoscenza per la grazia che il Signore in quel momento ci faceva, per tutte le grazie che ci aveva fatto preferendoci a tante altre ben più buone di noi. Questi sentimenti sono stati gli stessi che il Padre ci ha proposto alla nostra prima meditazione, all’inizio del ritiro...
...il Padre ci ha comunicato, con nostra grande gioia che la Direttrice della Compagnia Missionaria del S.Cuore, sarà in perpetuo la Madonna.
Costituita dalla sapienza Divina la Direttrice di Gesù è giusto che sia anche la Direttrice delle anime che compongono la nuova famiglia di Gesù. Ciò detto il Padre ha consacrato solennemente il primo nucleo della Compagnia Missionaria alla Madonna...
...Per esprimere in concreto la nostra dipendenza dalla Madonna, le lasceremo oggi e sempre il primo posto nella nostra comunità: in Cappella, nel laboratorio, in refettorio, in dormitorio etc…
La sua immagine oppure un piccolo mazzo di fiori ci richiamerà la sua presenza e a Lei porteremo tutti i nostri problemi, tutte le nostre ansietà, tutte le nostre pene e da Lei ci attenderemo la soluzione, la guida e il conforto.
La S.Messa di mezzanotte ha inizio mentre una profonda commozione pervade i nostri cuori: con Gesù anche noi stiamo nascendo ad una nuova vita. In quel momento più niente ci è sembrato aver importanza; nessuna distrazione venne in quel momento a distoglierci da questa realtà: stavamo per promettere a Gesù in forma solenne che per la vita e per la morte saremmo state sue.
Dopo la S.Messa viene esposto il SS. Sacramento ed ha così inizio la funzione circa la nostra prima accettazione nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore...
...Questa notte non siamo riuscite a trattenere in noi la gioia per il grande beneficio che il Signore ci ha fatto, non siamo riuscite a coricarci subito e tanto meno chiudere quei benedetti occhi. Sentivamo tanto amore per Gesù nelle nostre anime!
intervista per l'80° compleanno
Bologna, 15 novembre 1999
Rivolgere lo sguardo al passato, per riconoscere nella storia l’agire di Dio, è sempre motivo di gratitudine e alimento della speranza, per questo abbiamo chiesto a p. Albino di offrirci brevemente qualche ricordo della sua vita, soprattutto riguardante la sua famiglia e la sua vocazione.
La famiglia e la vocazione
«Sono nato a Caldogno – racconta – in provincia di Vicenza, da una famiglia povera, molto povera. Mio padre, Giovanni, lavorava i campi, ma il sabato e la domenica faceva il barbiere; la mamma, Maria, era semplicemente casalinga e, nella sua povertà, aveva da offrire una gran ricchezza alla famiglia: il suo grande affetto. Ebbero tre figli: Angelo, Gemma e io, ma dopo il primo la mamma aveva avuto due aborti spontanei, chissà… forse dovuti alla fatica e agli stenti.
Andavo alla scuola elementare e riuscivo bene, per questo qualcuno cominciò a chiedermi se volevo farmi prete: l’unica possibilità di studiare, allora, era andare in seminario; ma io mi arrabbiavo molto, quando mi facevano questa domanda.
Una sera, però, quando frequentavo la quarta classe, presi in mano le Letture Cattoliche di D. Bosco. Non so di chi fosse quel libro e come lo avessi avuto. In seguito l’ho cercato spesso e non sono più riuscito a trovarlo, ma rivedo ancora com’era fatto. In quell’opera lessi la storia di un missionario, che era andato in Cina ed era morto martire, decapitato. Ho presente l’immagine che lo raffigurava in piedi, sul parapetto della nave, mentre guardava lontano…
Anziché spaventarmi e confermarmi nel rifiuto di farmi prete, quella lettura fece sorgere in me un grande desiderio. Piansi quella sera e mi dissi: “Domani vado a farmi prete”. Andai dal parroco, che mi chiese: “Che classe fai?”. “La quarta”, risposi. “Finisci la quinta - concluse - e poi ne riparliamo”.
Alla scuola apostolica
Terminata la scuola, l’anno successivo, fu il parroco a chiedermi: “Vuoi ancora farti prete?”. Risposi di sì e lui mi accompagnò alla scuola apostolica dei Sacerdoti del Sacro Cuore, ad Albino, in provincia di Bergamo, perché pochi giorni prima aveva ricevuto un foglietto, diffuso per far conoscere questa scuola. I miei genitori non avrebbero potuto pagare la retta del seminario diocesano. Anche ad Albino chiesero una retta, ma mio padre disse che, se questa era la condizione, avrebbe dovuto portarmi a casa. Fui accettato ugualmente. Certo la scelta di Albino fu per me molto dura: la mia casa distava 170 km; troppo. La nostalgia della famiglia mi fece piangere per molte notti. In cinque anni, venne a trovarmi una volta il papà e una volta la mamma, mentre i ragazzi bergamaschi ricevevano le visite dei parenti, con relativi pacchetti, ogni quindici giorni. Potei tornare a casa, la prima volta, in vacanza, dopo quattro anni.
Ero arrivato alla scuola apostolica in ottobre; il 25 marzo successivo, festa dell’Annunciazione, feci la vestizione; eravamo in tanti, tanti bambini vestiti da prete. Ci creava non poca fatica, fisica e psicologica, quell’abito.
Religioso del Sacro Cuore
Dopo il ginnasio, andai ad Albisola Superiore (SV), per il noviziato, durante il quale si interrompeva la scuola: si era impegnati unicamente nella formazione spirituale. Dopo i primi voti, emessi il 29 settembre 1937, iniziai il liceo: il primo anno a Spotorno (SV), gli altri due a Oropa (NO). Si era in montagna; faceva molto freddo e noi eravamo senza riscaldamento. Si desiderava andare al santuario della Madonna per scaldarci.
Terminato il liceo venni allo studentato, qui a Bologna, per lo studio della teologia, ma dovemmo sfollare a Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino, a causa della guerra. Dopo tre anni fui ordinato sacerdote, il 25 giugno 1944, dal Cardinale Nasalli Rocca, nella vecchia chiesina del Suffragio, qui a Bologna, ma la mia famiglia non poté essere presente. Dopo tre giorni la raggiunsi io e celebrai la prima messa a Caldogno. Il treno che mi portò a casa fu l’ultimo che riuscì a passare. Fu bombardata la linea ferroviaria. Il quarto anno di teologia l’ho trascorso in famiglia, studiando sui libri del parroco. Erano stati anni difficili: c’era poco da mangiare a Castiglione, per giovani che avevano sempre un buon appetito. Quando arrivai a casa, la mamma mi disse che ero diventato trasparente.
L’Apostolato della Riparazione
Tornato a Bologna, al termine della guerra, il superiore mi chiese se volevo fare il professore allo studentato o dedicarmi all’apostolato; era questo il mio desiderio. Mi nominò, dunque, direttore dell’Apostolato della Riparazione, un’associazione che diffondeva la spiritualità del S. Cuore, nella forma che p. Dehon aveva consegnato alla sua congregazione: vita d’amore e di riparazione per l’avvento del Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società. Furono anni bellissimi, di grandi soddisfazioni. Insieme con p. Moro, che seguiva gli Amici di Gesù, associazione di bambini che vivevano la stessa spiritualità, ho girato l’Italia, per diffondere l’associazione, formarne i membri, predicare gli esercizi spirituali.
La Compagnia Missionaria
Tra le giovani iscritte all’Apostolato della Riparazione, alcune volevano consacrarsi totalmente al Signore e io indicavo loro gli istituti dedicati al S. Cuore, ma finalmente, a Cesuna (VI), durante un corso di esercizi, con un piccolo gruppo di giovani che desideravano la vita di consacrazione, decidemmo di dare inizio ad una nuova realtà. Fu quello il primo passo verso la Compagnia Missionaria. Pensammo di aprire una casa per esercizi e dedicarci a quel servizio; dopo aver cercato in diverse diocesi, finalmente trovammo una casa a Padova con l’approvazione del vescovo, ma mentre ero in viaggio per andare a comprarla, abbi un grave incidente e il progetto svanì.
La Compagnia Missionaria nacque così a Bologna, e le missionarie si dedicarono ad altre attività. A Natale compie quarantadue anni ed è ormai diffusa in tre continenti”.
Guardare lontano
Una vita intensa, quella di p. Albino, dedicata al Signore fin dall’infanzia, offerta con grande dinamismo a servizio del Regno, con quella carica d’amore che sgorga dal Cuore di Cristo.
Né il distacco e la lontananza dalla famiglia, né la disciplina e le esigenze della vita di seminario, né l’ingombrante talare indossata da bambino, né le ristrettezze e le tribolazioni causate dalla guerra e nessuna delle contrarietà della vita gli hanno impedito di seguire il Signore e vivere il suo progetto. All’omelia della messa del suo compleanno ci ha chiesto che lo aiutassimo a gridare a Dio il suo grazie, per tutto ciò che Egli ha compiuto nella sua vita. Quasi mai si ferma a ricordare fatti o persone che gli hanno creato problema, mentre continua a spendersi per il Regno di Dio, con grande impegno e fiducia, soprattutto accompagnando il cammino e la crescita della Compagnia Missionaria, senza timore di affrontare ancora lunghi viaggi e di esercitarsi a parlare in diverse lingue e adattarsi a diversi costumi.
Gli ottant’anni di p. Albino ci parlano di una indomita speranza radicata nell’amore del Cuore di Cristo e in una profonda fiducia nella sua misericordia. Espressione di questa speranza è il motto che ha sempre avuto caro e ha voluto consegnare alla Compagnia Missionaria: Guardare lontano. In esso scopriamo la fedeltà di p. Albino alla sua vocazione, a quel progetto di Dio che per la prima volta gli si rivelò attraverso la storia e l’immagine di un missionario che, lasciando la sua terra, guardava lontano, proteso verso i traguardi sconfinati dell’amore che non ha età.
per diffondere l'amore
25 giugno 2004
60 anni di sacerdozio di p. Elegante
Dice la Scrittura che il valore di una vita non si calcola dal numero degli anni, ma dai suoi frutti, dall’intensità con cui è vissuta. È vero che non c’è merito nel vivere a lungo, ma c’è nel vivere compiendo il bene. In p. Albino, una lunga vita e i buoni frutti stanno insieme e fanno sgorgare, dal suo e dal nostro cuore, gratitudine e gioia e speranza.
L’inizio di una lunga storia
60 anni di sacerdozio, compiuti il 25 giugno, sono una bella cifra; scritta in crema al limone su una deliziosa torta alla panna suscita una simpatica allegria e calorosi complimenti, ma rischierebbe di restare… vuota. Si riempie, invece, e suscita grata commozione, quando si va a guardare dentro: il contenuto di questi anni.
Anni pieni, anzitutto, della grazia e della misericordia di Dio. Quel magrissimo ragazzo ventiquattrenne, vestito in talare e cinto del cordone nero”dehoniano”, fotografato nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, il 25 giugno 1944, sapeva di essere oggetto dell’amore di predilezione di Dio, che lo aveva chiamato, ancora bambino, alla vita consacrata e al sacerdozio per diffondere il regno del S. Cuore di Gesù nelle anime e nelle società. Dopo sessant’anni, l’anziano sacerdote che celebra l’eucaristia nella cappella della Compagnia Missionaria del S. Cuore a Bologna, rende lode e ringraziamento a Dio Amore per le sorprendenti manifestazioni e gli innumerevoli frutti che hanno dato volto e fecondità a quella grazia.
Dopo l’ordinazione, in quel lontano e dolorosamente memorabile 1944, il novello sacerdote, quasi inseguito dai furori della guerra, raggiunse la sua famiglia nel paese natale, a Caldogno (VI) e si sentì dire da sua madre che era diventato “trasparente”. Celebrò la sua prima messa al paese e vi restò per un anno, bloccato dall’interruzione della ferrovia bombardata. Chissà: forse la Provvidenza si servì di quella ferrovia interrotta per riconsegnare prolungatamente all’affetto della famiglia quel giovane che, per rispondere alla chiamata divina, aveva lasciato, ancora bambino, secondo l’uso di quel tempo, papà e mamma, fratello e sorella, piangendo calde lacrime per lunghe notti. Certamente, quando tornò tra i suoi confratelli, a Bologna, aveva perso la trasparenza… quella “fisica” causata dalla giovane fame quasi mai saziata, durante gli ultimi anni che gli studenti dehoniani avevano vissuto da sfollati a Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino bolognese.
Trasparenza di Dio
Un’altra “trasparenza” p. Albino, che allora si chiamava p. Giuseppe (era uso, prima del Concilio Vaticano II, che i religiosi sostituissero al nome di battesimo il cosiddetto “nome di religione”; dopo il Concilio, molti hanno scelto di riprendere il nome di battesimo) si sforzò di non perdere, anzi certamente cercò di coltivare: la trasparenza dell’agire di Dio nella sua persona. La missione che le fu affidata dai superiori esigeva questa trasparenza in modo speciale. Fu nominato direttore nazionale dell’Apostolato della Riparazione, associazione composta di laici e sacerdoti che si impegnava a vivere, testimoniare e diffondere la spiritualità di amore e riparazione in comunione con il Cuore di Cristo, secondo l’insegnamento di p. Dehon. Proprio all’interno di questa associazione è maturata l’esigenza di una nuova forma di vita consacrata concretizzatasi nella Compagnia Missionaria del S. Cuore, fondata da p. Albino a Bologna nel Natale 1957.
Manifestare al mondo, con la parola e con la testimonianza, l’amore di Dio che si rivela in modo eminente nel Cuore trafitto di Cristo crocifisso e impegnare, per questo, la totalità della vita con la professione dei consigli evangelici di castità, povertà, obbedienza; diffondere e vivificare con l’annuncio e la testimonianza di questo amore ogni realtà umana, ogni ambiente dove uomini e donne vivono, lavorano, sperano, soffrono… perché ogni persona ritrovi se stessa in Cristo e realizzi la propria vita secondo il progetto di bene del Creatore: questo il sogno che Dio ha affidato a p. Albino e alle donne che hanno voluto, con lui, rispondere “Ecce venio, Ecce ancilla” ( Eccomi, io vengo, Eccomi sono la serva del Signore).
Il cammino, iniziato con tanto entusiasmo e tante speranze, ha richiesto ascolto e impegno, ricerca e fatica per comprendere i sentieri di Dio: vivere la piena consacrazione per una missione di evangelizzazione e promozione umana, ma restando laiche all’interno del popolo di Dio, facendosi compagne di cammino con i fedeli laici che, dal Concilio Vaticano II, andavano e vanno ancora scoprendo e assumendo responsabilmente la vocazione alla santità e la missione ecclesiale; vivere come laiche consacrate in gruppi di vita fraterna o da sole o nella famiglia di origine; incarnare la spiritualità di amore e di oblazione, di obbedienza e di servizio, di immolazione e di comunione, in una missione espressa nell’evangelizzazione diretta e nel lavoro professionale o casalingo, nel volontariato e nell’impegno socio-politico, nella missione ad gentes, accolta e voluta fin dai primi anni sotto la spinta del motto “guardare lontano”.
Famiglia in crescita
E mentre la Compagnia Missionaria, arricchitasi fin dai primi anni di consacrate portoghesi, nella seconda metà degli anni ’60 andava intraprendendo vie nuove, aprendosi alle esigenze ecclesiali del dopo-concilio, p. Albino doveva sempre più farsi attento al soffio sorprendente dello Spirito, che non lascia mai nulla parcheggiato nelle aree dello scontato e del ripetitivo: le missionarie studiavano teologia con gli studenti dehoniani, si preparavano a partire per il Mozambico, cominciavano ad impegnarsi nell’animazione del tempo libero con la gestione stagionale di una casa per ferie e con l’ITER, in diretta collaborazione con p. Albino offrivano alle parrocchie il servizio di evangelizzazione nella forma delle missioni popolari. Sempre con un unico scopo: offrire al mondo la testimonianza dell’amore di Dio, anche con i segni dell’accoglienza, della disponibilità, del sorriso, della condivisione, della festa…
Cominciava intanto a bussare alla porta un’altra realtà, che p. Albino accolse, coltivò, cercando di darle, nel volgere del tempo, una fisionomia sempre più chiara: i familiares, laici uomini e donne che assumono la spiritualità e partecipano alla missione della Compagnia Missionaria senza i voti di consacrazione.
Nell’apertura allo Spirito, nonostante gli ostacoli dei limiti e fragilità umane, nel dialogo a volte faticoso, nell’impegno a camminare con la Chiesa e a farsi compagni di strada dell’umanità, nell’accoglienza e condivisione di gioie, speranze, delusioni e tribolazioni, nell’offerta quotidiana della vita, la Compagnia Missionaria è cresciuta e si è diffusa ormai in quattro continenti, costringendo il fondatore e viaggiare molto, a imparare diverse lingue e… a prendere molta confidenza con computer e posta elettronica: degno figlio di p. Dehon che apprezzava molto e si serviva con gioia dei mezzi sempre nuovi che il progresso offriva tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. P. Elegante ormai ha intrapreso la via del XXI secolo e pare la percorra con una certa disinvoltura.
Gratitudine nella comunione
Tutta la Compagnia Missionaria ha festeggiato con gioia e gratitudine i sessant’anni di sacerdozio di p. Elegante. Un grosso album ha raccolto auguri e testimonianze scritti per l’occasione da missionarie e familiares dei vari gruppi sparsi nel mondo. Ma soprattutto ogni membro della famiglia era presente, anche se fisicamente lontano, alla celebrazione eucaristica tenutasi in via Guidotti a Bologna, sabato 26 giugno. Un alberello di ulivo rendeva in qualche modo visibile la presenza di tutti: ai rami erano attaccati biglietti con i nomi di ciascuno dei membri viventi e, sulla terra, erano appoggiati i nomi di quella parte di Compagnia Missionaria che ha già raggiunto la meta.
Una forte e commovente esperienza di comunione, e, nella gratitudine profonda, anche un momento di verifica e di riconferma della vocazione ad essere testimonianza luminosa, serena, coraggiosa dell’amore che Dio ha riversato in noi: questi, in sintesi, i sentimenti e il desiderio espressi da p. Albino durante la celebrazione, in riferimento a se stesso e ai membri della Compagnia Missionaria.
Qualche settimana prima, c’era stata un’anteprima della festa, a S. Antonio Abate, dove p. Elegante aveva incontrato un gruppo di giovani e, successivamente, familiares e missionarie; in due momenti si era dato spazio ai ricordi, alla testimonianza, alla preghiera, alla celebrazione eucaristica, alla festa condivisa, nella gioia e nella gratitudine a Dio Amore per i doni della sua grazia, ma anche a p. Albino per la generosità della risposta e a quanti – anzitutto i genitori Giovanni e Maria e tutti i suoi formatori – lo hanno educato alla fede e guidato sulle vie di Dio.
eccomi: parola dell'amore
La lettera agli Ebrei attribuisce a Cristo, nel momento dell'incarnazione, le parole del salmo 40: «Eccomi, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà». Certamente non c'è modo migliore, per vivere il tempo quaresimale, che entrare in comunione con questa disposizione del Figlio verso il Padre.
Il nostro cammino di conversione non può che realizzarsi in questa progressiva adesione al progetto del Padre su di noi, come persone e come comunità cristiana, come missionarie e come familiares. E proprio in questo tempo quaresimale cade la festa dell'Annunciazione del Signore, cioè la festa dell'Incarnazione. Questo giorno, 25 marzo, è proprio quello in cui celebriamo l'«eccomi» di Cristo unito a quello di sua Madre. Possiamo dire che queste due risposte, mentre sono ambedue rivolte al Padre, sono anche reciproche; sono l'identica risposta di due persone che si incontrano. si accolgono, si consegnano irreversibilmente l'una all'altra. Il Figlio di Dio, per diventare fratello dell'umanità, per ricevere cittadinanza nel mondo, per farsi carne, ha bisogno di una madre, per essere in tutto uguale a noi. Maria, la fanciulla di Nazaret, promessa sposa a Giuseppe, della casa di Davide, per essere semplicemente ciò che è, donna e membro del popolo di Dio, per ottenere il senso della propria vita e la cittadinanza del Regno di Dio, ha bisogno di accogliere totalmente quel Dio che viene nella debolezza di un bambino, per ricondurre l'umanità alla vita piena, nella casa del Padre.
La catena rotta
Eccomi è una parola-chiave per comprendere tutta la Scrittura. È la parola dell'incontro, la risposta di chi scopre la presenza di Dio nella propria vita e non se ne sottrae, ma ne ascolta la voce, è l'obbediente e amorevole assenso di chi accoglie liberamente la sua Signoria. E’ la parola consueta - libera cosciente adorante - sulla bocca dei patriarchi, a cominciare da Abramo, e dei profeti, a cominciare da Samuele. È la parola che, anche quando non è esplicitamente espressa con le labbra, informa comunque gli atteggiamenti e le scelte difficili, anticonformiste e incomprensibili di uomini e donne, di Noè che costruisce l'arca, di Tobia che seppellisce i morti contro l'ordine del re, di Ester che rischia la sua vita per salvare il suo popolo, della madre dei Maccabei che incoraggia i suoi sette figli ad accettare la morte piuttosto che disobbedire alla legge di Dio. Sembrerebbe una lunga catena di «eccomi» che si susseguono in una storia di secoli, ma, a ben guardare, ci si accorge che sono solo spezzoni, che già all'inizio la catena è rotta: manca il primo anello e ne mancano, poi, tanti altri: sono maglie rotte che testimoniano le mancate risposte o gli aperti rifiuti di singoli personaggi e di un intero popolo, capace di costruirsi vitelli d'oro e idoli ciechi, sordi e senza respiro, da contrapporre al Dio vivente. Ma queste maglie rotte non sono che la conseguenza, il frutto, la ripetizione di quel primo anello mancante.
Dio in cerca dell’uomo
«Poi udirono il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: “Dove sei?”» (Gn. 3,8-9).
Il nascondersi dell'umanità, il sottrarsi all'incontro con Dio, suo creatore, non è che la manifestazione del rifiuto più radicale espresso nella scelta disobbediente del peccato. Una scelta che rompe, rifiutandola, la reciprocità con un «eccomi» iniziale, originario, che è proprio quello pronunciato dal Creatore fin dall'inizio. «E Dio disse: "Facciamo L'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui peschi del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”... Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn. l, 26-28.31). «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn. 2,15-16). Ascoltando la Scrittura, ci si accorge come agli alterni rifiuti e accoglienze dell'umanità nei confronti di Dio, si affianca, instancabile inesauribile eterno, l'«eccomi» di Dio a coloro che ha creato a sua immagine, a quell'umanità che, nonostante tutto, sceglie e ama come sua sposa.
Un uomo e una donna
Nel giardino di Eden, due innocenti, un uomo e una donna, si erano resi colpevoli, rifiutando la risposta di amore obbediente. Ma il Dio eterno è Colui che non perde la speranza e sa attendere. Dopo tanti secoli, in una povera casa di Nazaret, un Uomo e una Donna, innocenti, a nome di una umanità peccatrice, riconsegnano a Lui il fedele e definitivo «sì», riparando la reciprocità ferita di un amore che finalmente è totalmente accolto e donato.
«Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”» (Lc.1,38). «Entrando nel mondo, Cristo dice: “...Eccomi, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb. 10,5.7).
L'«eccomi» di Cristo e di Maria sono l'asse portante, l'espressione in cui si compendia la spiritualità di amore e di oblazione che la Compagnia Missionaria riceve dalla contemplazione di Cristo nel mistero del suo Cuore trafitto. E’ proprio il Crocifisso dal cuore trafitto l'espressione piena ed estrema della risposta d'amore obbediente, che aveva avuto inizio a Nazaret nell'«eccomi» del nuovo Adamo e della nuova Eva.
In loro la catena rotta è stata riparata. In loro l'umanità ha accolto finalmente l'eterno «eccomi» di Dio che raggiunge l'inattesa vetta dell'offerta sacrificale nella morte, e risponde a sua volta «eccomi» con confidente amore, nella consegna di sé. Pure ci accorgiamo inevitabilmente che, ancora oggi, con spaventosa superficialità e oscura sfrontatezza, da tante parti si continua ad opporre ingrato ed empio rifiuto alla Parola di Verità, di Amore, di Vita, di Misericordia salvifica di Dio Amore. E nessuno di noi è del tutto estraneo a questo rifiuto che è sordità e mutismo, menzogna, egoismo, odio, cecità e morte. Ma se accogliamo con decisione e libertà l'identità di cristiani, membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, in particolare se siamo stati chiamati a vivere la spiritualità e il carisma ereditati dall' esperienza spirituale di p. Dehon, sappiamo che la nostra vocazione e la nostra missione si realizzano nella partecipazione all'«eccomi» di Gesù e di Maria sua madre, con una adesione quotidiana al progetto del Padre.
Spirito di immolazione
«Con Cristo e assieme a tutta l'umanità, ci offriremo al Padre, in docilità allo Spirito, come oblazione viva, santa e gradita a Dio, nell'accoglienza umile e serena della sua volontà in qualunque forma si manifesti. Come Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “sì” e disponibili al “servizio” per amore» (Statuto CM 7). «La vita d'amore così intesa e vissuta farà di noi un complemento reale dell'immolazione di Cristo e ci renderà cooperatrici della sua opera di redenzione all'interno del mondo. Per questa finalità valorizzeremo tutta la nostra vita con le sue gioie e speranze, con il suo peso di lavoro, di fatica e di prova, in comunione con le sofferenze e la morte di Cristo» (St. CM l0). Il nostro “sì” deve essere lotta a tutto ciò che nel mondo, nella nostra società, nella nostra famiglia, nel nostro stesso cuore vorrebbe essere rifiuto o indifferenza al progetto di Amore e di Vita del Padre. Il nostro «eccomi», con quello di Maria, vuole essere comunione al sacrificio riparatore di Cristo: l'umanità e la creazione, ferite dal peccato, trovano in Lui guarigione e vita. «In queste parole: Ecce venio, Deus, ut faciam voluntatem tuam, e in queste: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbun tuum, si trovano tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere, le nostre promesse» (p. Dehon).
guardare lontano
Missionarietà è intesa come il contesto dentro il quale si respira e ci si muove.
Dentro questa sensibilità missionaria globale si sviluppa e si concretizza anche la dimensione missionaria ad gentes.
C'è stato fin dall'inizio della Compagnia Missionaria lo zelo e il fervore per questo aspetto di partire per altre terre, e il motto "Guardare lontano" guidava i primi passi delle missionarie.
Il Mozambico è stato per noi la prima esperienza di missione ad gentes. Un'esperienza che ha segnato profondamente non solo le missionarie che l'hanno vissuta in prima persona, ma anche l'intero Istituto...
E da allora questa dimensione ad gentes è sempre stata ben caratterizzata e ben presente.
Attraverso questo servizio di collaborazione alle giovani chiese e alle terre dove l'evangelizzazione e la promozione umana sono più urgenti, si esprime e si realizza uno degli aspetti specifici della nostra missione di amore e di servizio.
La nostra presenza missionaria è stata orientata da queste scelte:
* l'inserimento di tipo professionale, in strutture sociali ed ecclesiali, promuovendo i valori di giustizia, unità, speranza, pace e solidarietà;
* la condivisione della vita della gente, con semplicità, rispetto e cercando di vivere la solidarietà con i poveri;
* la partecipazione, insieme ad altri laici, a progetti di organismi di volontariato internazionale;
* i vivi legami di comunione con la Chiesa locale, partecipando attivamente alla sua vita e alle sue iniziative.