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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto 2024
    Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita los grupos en Mozambique... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    19 ottobre 2024
    Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online... Continua
il volto dell'amore
 
C’è uno stupore quasi incredulo e tuttavia inevitabilmente ammirato che percorre tutta l'esperienza religiosa di Israele. Si manifesta ripetutamente in un interrogativo: davvero Dio può prendersi cura dell'uomo? Cos'è mai un figlio d'uomo, perché Dio se ne preoccupi? La risposta Israele la trova nella tangibile esperienza dell'agire di Dio nella sua storia. Anzi, è cosciente che questa storia, quindi la sua stessa vita, ha inizio quando l’Altissimo comincia ad aver cura di lui. E lo stupore, anziché risolversi, può solo accrescersi ed esplodere in lode, benedizione, ringraziamento, in annuncio gioioso: Dio regna, consola il suo popolo e lo salva (cf. Is. 52,7-10). E tuttavia resta uno stupore segnato e ferito dall'incredulità. Dio ha un cuore È l'antico Dio dei padri, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, che ha ancora orecchi per ascoltare i lamenti degli schiavi ebrei in Egitto. È l'Invisibile e l'Inimmaginabile che si nasconde e si manifesta in una fiamma che non consuma, è l'Inaccessibile di fronte al quale bisogna togliersi i sandali, è l'Ineffabile che si sottrae all'empio tentativo umano di dargli un nome. È l'Onnipotente che getterà in mare il faraone e il suo esercito, ma non è impassibile. Egli è il Dio che «conosce» la sofferenza del suo popolo. È il Dio «geloso» che difende la sua eredità, che non permette sia calunniato il suo amico Mosé, con cui parla «bocca a bocca» (Nm. 12,8). Ma quando il suo servo esprime l'appassionato desiderio di contemplarne il volto, come l'amato quello dell'amante, il Dio terribile che sparge terrore attorno all'intangibile monte della rivelazione, non può che mostrare le spalle: a nessuno è dato di guardare il suo volto e rimanere in vita. Pure, questo Dio che ha il trono nei cieli e di cui la terra è sgabello per i piedi, di cui a nessuno è dato pronunciare il nome né vedere il volto, di questo Dio tre volte santo alla cui luce si rivela l'orribile schiacciante verità del peccato umano, di questo Dio Mosè, come già Abramo, quindi l'Israele del deserto, della terra promessa, dell’esilio, ha conosciuto, attraverso il velo della storia, il cuore. Fedeltà oltre il tradimento E tutti i libri sacri di Israele manifestano questo stupore. Anche quando pecca e si allontana da Dio, sembra quasi che questo popolo lo faccia perché, nonostante l'evidenza di una storia continuamente donata come pegno di amore e di fedeltà, non riesce a convincersi che l'Altissimo sia proprio innamorato di lui. Con un atto di amore assolutamente gratuito, inaspettato perché impensabile, per questo spesso incompreso, addirittura tradito, Colui che abita i cieli scende a cercare un popolo umiliato sofferente perseguitato. Abbandonato insanguinato ansante come una neonata esposta sulla strada, curato allevato impreziosito come fanciulla desiderata dal re, Israele viene sposato da Dio con una alleanza d'amore che non verrà meno in nessun caso. Già al tempo del fidanzamento, dei primi incontri amorosi, nel deserto, la sposa non comprende questo incredibile amore e spesso se ne fa fedifraga. Ma anche quando il re la conduce nelle sue dimore, là dove scorrono latte e miele, ella continua a correre dietro i suoi amanti. Israele non poté mai farsi un'immagine scolpita del suo Dio che era anche il suo sposo: avrebbe dovuto scolpire la storia. Proprio in essa, al di là di ogni desiderio, Egli a lui si rivela ricolmandolo ogni volta di più di rinnovata e accresciuta meraviglia. Si può scolpire l'immagine di un idolo che ha mani inoperose, occhi ciechi, orecchi sordi, narici prive di respiro, ma non di un Dio che si china a guardare dai cieli sulla terra, che ascolta il grido del povero e del sofferente, che distende il suo braccio a difendere l'amato, che ha un cuore che freme ed è colmo di compassione anche per la sposa che lo tradisce. Il sogno dell’Onnipotente Un Dio che si rivela come Colui-che-è immancabilmente accanto e dentro la vita del suo popolo, che può instancabilmente innamorarsi di esso, senza lasciarsi sconfiggere dall'infedeltà, è un Dio a cui, nella sua onniscienza e onnipotenza, è dato di sognare. Al di là dei segni vistosi della prostituzione, Egli crede nel cuore della sposa. «Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore... E avverrà in quel giorno oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: mio padrone... Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os. 2,16.18.21-22). Ma un progetto così appare incredibile alla stessa sposa, che crede possibile solo un amore meritato, in qualche modo comprato, quindi misurato, circoscritto, posseduto. L'amore di un idolo che può essere temuto, obbedito, davanti al quale ci si può solo coprire il volto e sprofondare nella polvere, la cui benevolenza può essere pagata con sacrifici. Mentre Israele è amato dal Dio vivente, per questo capace di un amore geloso eppure gratuito e liberante. «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Il suo amore è azione irriducibilmente vitale e creatrice. Creatura nuova rigenerata Alla fine, al compiersi del poema d'amore scritto nella storia, la sposa conoscerà il suo sposo e potrà cantare: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct 8,7). Questa sposa finalmente docile, capace di essere amata e di rispondere all'amore, è creatura nuova, rigenerata, nata essa stessa dall'amore dello sposo. La prima sposa, genitrice di un popolo irrimediabilmente infedele, era nata dalla carne e dalle ossa, dalla costola del suo sposo. Pure desiderosa di incontrare l’azione potente e salvatrice del suo Dio, l'umanità nata da essa è stata incapace di comprenderne e quindi di accoglierne l'amore. Avrebbe accolto di più un Dio esterno alla sua vita, capace di cacciarla dai guai, di liberarla dalla schiavitù ogniqualvolta non avesse potuto farlo da sola o con la potente alleanza di qualche re della terra. Non ha compreso come solo l'amore di Lui avrebbe potuto renderle la vita, la gioia, la libertà feconda. La croce talamo nuziale È mai possibile che la gioia di Dio sia stare con i figli degli uomini, che l'umanità in un ineffabile rapporto sponsale, diventi consanguinea di Dio, una sola carne con Lui, ammesso che Egli abbia carne e sangue? Lo stupore incredulo di secoli ha dovuto entrare, denudato di ogni pensiero, desiderio, attesa, ornamento di prostituzione anche inconsapevole, nel tunnel dell'ora delle tenebre, per poter contemplare l'assurdo e unicamente possibile talamo nuziale su cui si compie l'incontro eternamente sponsale tra Dio e l'umanità: la croce. Il mistero di un amore incredibile si è finalmente manifestato non più attraverso teofanie terribili, pallidi preludi della sua inaccessibile luce, ma in tutto il suo accecante splendore... e «si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33). Consegnato al Padre e all’umanità La Parola eterna che in principio era presso Dio ed era Dio, si è fatta carne ed ha preso dimora in mezzo a noi. Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio in una carne di peccato, perché ogni carne schiava del peccato fosse liberata, rigenerata, in un incontro sponsale finalmente definitivo con Colui che ha amato l'umanità di un amore eterno. Quel volto di Dio che neppure Mosè, né alcuno dei profeti ha potuto vedere, «noi lo abbiamo contemplato, veduto, toccato», testimonia la comunità dei primi credenti. La Vita si è fatta visibile. Dio è sceso tra i suoi. Egli ha il volto umano di Gesù di Nazaret, il Figlio nel quale il Padre si compiace e a immagine del quale siamo stati creati. E abbiamo finalmente compreso la prima rivelazione: «Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gn. 1,27). «...a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a sua similitudine secondo lo spirito», commenta Francesco di Assisi (Ammonizione V). Ora che Dio ha carne e sangue, l'umanità non può più evitare l'incontro con Lui, ma l'appuntamento definitivo del più grande amore, tra il più perfetto Amante e il più indegno amato, avviene nel segno del più grande dolore. L'ultimo e più tragico «no» dell'umanità al suo Dio si esprime in una croce piantata sul Golgota, nel più buio venerdì della storia, sotto Ponzio Pilato. Il definitivo «sì» dell'Amore di Dio ai peccatori si rivela ineffabilmente e inequivocabilmente nell'Uomo di Nazaret crocifisso, Figlio dal Padre eternamente amato, che al Padre si consegna in un eterno «eccomi» confidente e totale, per essere da Lui consegnato, unica fonte di vita e di salvezza, all'umanità-sposa rigenerata nel sangue, finalmente accogliente dell'Amore. «Chinato il capo, rese lo Spirito... Venuti da Gesù... uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,30.33-34). Il velo del tempio si è squarciato (cf Mt 27,51), come il velo della storia ed è vinta la penombra delle profezie. La nuova umanità, pur sempre peccatrice, stando ai piedi della croce, può volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto e contemplare non solo il volto, ma il cuore di Dio. Dalla contemplazione all’annuncio, dalla fede alla comunione «Noi abbiamo contemplato la sua gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Il Cristo crocifisso, dal cuore trafitto sgorgante sangue ed acqua, rigenerazione della sua sposa, è la vera gloria del Padre, icona unica ed insuperabile di Lui, fonte dell'Amore. Lo Spirito, aleggiante sulle acque nella prima creazione, è il Dono che sgorga con l'acqua, dal cuore del Figlio; è l'Amore rigenerante che finalmente celebra le nozze dell'Agnello con la sua sposa rigenerata, vivificata, lavata e fecondata dal sangue di Lui. Indissolubilmente legata al suo Sposo, con Lui la comunità dei credenti può rispondere all'amore del Padre, consegnando il suo «sì», nella certezza di vincere il «no» di un mondo che sulla croce è già stato vinto, mentre una folla innumerevole di uomini e donne attende ancora salvezza, quella salvezza che viene dalla fede. La comunità credente che ha contemplato il volto e il cuore di Dio nel volto e nel cuore trafitto del Crocifisso, non potrà mai più tacere la sua testimonianza, il suo sconvolgente e gioioso annuncio: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35); «Lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo» (lGv 1,3). Ed è una comunione eterna, perché il Crocifisso è il Risorto, il Vivente, il Testimone fedele di un Amore che ha vinto la morte.
il segreto e il tesoro
 
"Guarderanno colui che hanno trafitto”. Era la preparazione della Pasqua e sul Golgota, fuori dalle mura della Città Santa, la Madre e l'amico contemplavano l'Agnello sacrificato sulla croce, a cui i soldati pagani, ignari e obbedienti all'antico comando, non spezzavano alcun osso. «Uno dei soldati» però «gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). La Madre contemplava e viveva nella sua carne il dolore e la morte del Figlio e l'amico discepolo, nelle tenebre di quell'ora, sentiva risuonare, finalmente comprensibili, le parole misteriose del profeta: «Guarderanno colui che hanno trafitto» (Zc 12,10). La Madre, il discepolo, i soldati pagani che lo avevano ucciso, i giudei che lo avevano condannato, le donne che lo avevano seguito, i discepoli che erano fuggiti, il popolo che scuoteva il capo, le moltitudini nel corso dei secoli, lo avrebbero guardato trafitto: chi avesse accolto quell'acqua e quel sangue che sgorgavano dal Suo Costato aperto ne avrebbe penetrato il misterioso abisso. Fu la Madre la prima che poté immergersi in esso: nel Cuore aperto di suo Figlio. Il Figlio Nelle tenebre di quell'ora, la sua vita, conquistata da Dio e condotta da Lui per i sentieri meravigliosi e terribili della fede, le apparve in un istante e, nella carne trafitta del Figlio, trovò la risposta alle domande che per anni avevano riempito i suoi giorni. Ricordò lo stupore e l'attesa, la trepidazione e la gioia di quando il piccolo cuore di Lui batteva vicino al suo che ripensava ogni giorno le parole di Gabriele: «Sarà chiamato Figlio dell'Altissimo… regnerà sulla casa di Giacobbe». E si interrogava sul significato di quelle parole: «Ma chi è e chi sarà questo figlio che mi è stato dato senza cercarlo, che è mia carne e per il quale non ho scelto neanche il nome; questo figlio che viene dal mistero?». Per lunghi anni, fino a quell'ora di dolore e di morte, aveva portato in cuore, senza comprenderne a pieno il significato, le parole dolorose del vecchio Simeone. Le giovani mamme come lei, in quel giorno lontano, si erano sentite rivolgere parole beneauguranti, cariche di sogni e forse di illusorie speranze. Lei aveva ascoltato parole misteriose che sapevano di lotta e di sofferenza: «Egli è segno di contraddizione... e anche a te una spada trafiggerà l'anima». E sempre - in certi momenti con trafiggente insistenza - aveva continuato a chiedersi: «Chi è questo mio figlio? Perché attorno a lui buio e luce, rifiuto e generosa accoglienza, odio e persecuzione e sangue, povertà e fatica e esilio…?». Poi, quando gli aveva insegnato a camminare, a parlare, a pregare, quando rientrava affamato dopo la scuola e il gioco, quando si entusiasmava nell'aiutare Giuseppe tra legni e colla e martelli, a volte aveva immaginato di conoscerlo: anche lei lo aveva per un momento considerato figlio del falegname. E quando andava al mercato, tenendo stretta nella sua la piccola mano fiduciosa di Lui, quando balbettando le prime preghiere si addormentava sul suo seno, quando giocava ad accarezzarle gli occhi e la baciava sulla guancia lasciandole godere il suo profumo di latte, lei aveva immaginato che quel figlio fosse suo; si era illusa di poterlo trattenere e, come le altre mamme del villaggio, aveva sognato progetti per lui. Ma questi pensieri erano durati sempre solo un istante; le tranquille illusioni di Nazaret erano vinte dai ricordi di Betlemme, di Gerusalemme, della stalla e del tempio, del deserto, dell'Egitto... Le vie della fede Il tempio... proprio là lo aveva ritrovato dopo tre giorni di spasimante ricerca. Non era più un bambino: aveva dodici anni; dialogava con i maestri della Torah. Quante domande angosciose si era fatta in quei giorni terribili: quelle che ogni madre si rivolge. «In che cosa abbiamo sbagliato? Perché ci ha fatto questo? Quali motivazioni ha in cuore per comportarsi cosi?». E sempre ritornava il dubbio lancinante di non conoscere veramente suo figlio, di non riuscire a cogliere la misteriosa realtà che lo abitava. Era un adolescente come tutti, eppure... Lo aveva trovato nel tempio, a dialogare, lui adolescente, con i dottori della legge. E la piena delle domande che soffocava il cuore si era formulata in una: «Perché ci hai fatto questo?». Dopo, aveva desiderato di non averla mai fatta, per non ascoltare una risposta di cui lei aveva percepito solo la trafittura e non il significato: «Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?». Non sapeva lei? E Giuseppe non sapeva? Non sapevano che era stata l'ombra di Dio a coprirla e ciò che era germogliato in lei era opera dell'Altissimo? Ancora una volta, senza comprendere, nella solitudine silenziosa del suo cuore di vergine, poté solo ripetere: «Sono la serva...». E tornarono a casa e lui viveva come ogni figlio, più di ogni figlio obbediente e sottomesso. E allora, per tanti anni, fu ancora più difficile comprendere, mentre lui imparava il mestiere di Giuseppe per guadagnarsi il pane e poi lo sostituiva nella responsabilità della famiglia. «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Forse i pensieri di Dio sono cosi luminosi che ci abbagliano e sui sentieri della fede spesso è notte. E lei non fece più domande ma, mentre lui diventava uomo e poi sempre ogni giorno, un'attesa piena di timore la saziava costringendola a scrutare gli occhi di lui e ogni gesto e ad ascoltarne ogni silenzio, per penetrarne i pensieri del cuore. Secondo le Scritture Al sorgere e al tramontare di ogni giorno, insieme pregavano i salmi e tante volte la voce solenne e profonda di lui si era fatta grave, ripetendo: «Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato». «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero. Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea». E il cuore di lei aveva sussultato. Di tanto in tanto, il sabato, nella sinagoga lui proclamava la parola dei profeti, davanti all'assemblea, e la sua voce penetrava le fibre più intime della madre: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me; mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri...a promulgare l'anno di misericordia del Signore». Come? Quando? E ancora la voce di lui proclamava Isaia: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire... Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità... per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte...». Allora un dolore lancinante la trafiggeva - e solo ora, là sul Golgota, comprendeva perché - e una domanda angosciosa esplodeva in lei: «Di chi parla il profeta, di se stesso o di un altro?». Solo il ricordo di una parola le impediva - come ora, là sul Golgota - di gridare o di fuggire: «Sarà grande e santo e chiamato Figlio di Dio». La spada Quante volte lo aveva accarezzato con gli occhi contemplandolo come il più bello tra i figli dell'uomo! Ora lo aveva davanti a sé, inchiodato al legno maledetto; ora non aveva «né apparenza né bellezza per attirare gli sguardi», ma lei non finiva di saziarsi in uno sguardo appassionato al varco che la lancia del soldato aveva aperto nel cuore di lui. Si era fatto buio su tutta la terra, ma dalle sue trafitture pioveva su di lei la luce: una luce più misteriosa delle tenebre che l'avvolgevano; una luce che la trafiggeva più intimamente e più profondamente della tenebrosa spada del dolore: era la Parola di lui che per tanti anni lei aveva conservato e meditato nella solitudine silenziosa del suo cuore di vergine. «Mio cibo è fare la volontà del Padre… Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre . Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Cosi è piaciuto a te, Padre... Nessuno conosce il Figlio se non il Padre... Il Padre che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite. Il Padre che è in me compie le sue opere... Io sono nel Padre e il Padre è in me... Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato». L'amore Il Padre… Il Padre... Un giorno, dicendo la vacuità delle ricchezze della terra, Gesù aveva affermato: «Là dov'è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore». E Lui, quel Figlio che ora pendeva nudo dalla croce, dopo che l'aveva lasciata sola nella casa di Nazaret, non aveva più avuto un tetto né una pietra dove posare il capo. Ma un tesoro infinito abitava nel suo cuore, una sorgente inesauribile: «Chi ha sete venga a me e beva… Sono venuto perché abbiano la vita in abbondanza…». Con gli occhi incollati a quel cuore squarciato, il suo cuore di madre e di vergine credente e fedele si inebriava dell'acqua e del sangue che ne sgorgavano. Il Padre era stato dunque il segreto, la verità, l'amore ardente del cuore di lui: il segreto che l'aveva condotto sulle strade dell'umanità con la carne di lei e consegnato alle mani dei peccatori, sui quali ora, con l'acqua e con il sangue, pioveva la misericordia sorprendente e insperata del Padre. Il Padre, che per amore lo genera nell'eternità, lo aveva inviato, nel tempo, a salvare i peccatori, perché «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di Lui». E dunque, «come il Padre ha amato me, io ho amato voi». Quel figlio che aveva vissuto con amore obbediente a lei e a Giuseppe, in realtà era l'innamorato obbediente del Padre e, quindi, l'innamorato dei peccatori che il Padre ama. Per essi, per renderli suoi fratelli, aveva spogliato se stesso, donato la sua vita e il suo Spirito. Lei, la madre, là nelle tenebre del Golgota, ne aveva raccolto l'eredità e l'estrema dichiarazione d'amore: «Donna, ecco tuo figlio... Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno... Dio mio, perché mi hai abbandonato? Padre, nelle tue mani consegno la mia vita». Allora le tenebre non poterono vincere la luce che era la vita degli uomini.
uno che cerca
 
Aveva sicuramente avuto esperienza profonda dell’amore di sua madre, il profeta Isaia – Dio salva era il suo nome - ; lei non avrebbe mai potuto abbandonarlo e dimenticarlo: anche dopo averlo messo al mondo, continuava a portarlo nella profondità del suo cuore. Era forse questa l’esperienza che gli aveva fatto comprendere l’amore sempre presente, attento e carico di tenerezza di quel Dio d’Israele che aveva conquistato la sua vita e al quale si era consegnato, nella fede. Per questo non poteva accettare la sfiducia, lo sconforto che serpeggiavano in mezzo al popolo, di fronte alle contrarietà, ai pericoli, alle aggressioni dei nemici. La memoria di Dio “Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 14-16). Abbandonare e dimenticare non sono verbi che entrano nel vocabolario di Dio, quel Dio che crea e che cerca per salvare coloro che ha creato per amore. «Dove sei?» Fin dal principio il Creatore ha cercato nell’infinita ricchezza della sua fantasia creatrice un volto filiale, che gli somigliasse, come ogni figlio e ogni figlia portano i segni amati di un’appartenenza familiare. Ma presto il frutto del grembo fecondo di Dio-Amore credette, come molti adolescenti, di trovare vita e libertà lontano dall’amore che lo aveva generato. Mistero di gelosia e di sfiducia, di incomprensione e di rifiuto verso un amore non chiesto e gratuitamente offerto. E Dio cominciò a cercare l’umanità sottrattasi al suo sguardo, in un tragico gioco a nascondino. «L’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio… Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”» (Gn 3, 8.9) «Dove sei?»: la prima domanda, carica dell’amore angosciato di Dio in cerca di ogni figlio fuggito, nascosto, perduto. La domanda dell’innamorato, mai stanco di cercare l’amata... E poiché la creazione tutta è opera e manifestazione dello Spirito di Dio, non c’è luogo dove Egli non possa andare a cercare l’umanità: in Egitto, nel deserto e nel mare, a Babilonia, nelle regge e nei tuguri, nel grembo materno e nei talami nuziali, nelle tende militari e nel tempio, lungo i fiumi e sui monti; non c’è luogo che gli sia precluso per cercare il cuore umano. Ma è proprio nel cuore della carne umana – adescato dalla menzogna, invaghito di se stesso, soffocato dall’odio, prigioniero del rifiuto, rapito dalla morte – l’abisso del peccato, fecondo di dolore e di morte, non creati dallo Spirito di Dio. Cercare per salvare Allora, nella debolezza di una carne simile alla nostra, il Figlio di Dio, l’Unigenito eternamente unito al Padre in un abbraccio d’Amore inimmaginabile, è venuto con lo stesso Amore del Padre a cercare e a salvare ciò che era perduto: i fratelli e le sorelle della sua stessa carne, per renderli fratelli e sorelle nel suo stesso Spirito, quello dei figli del Padre. Venne, e ci è dato di vederlo nell’esperienza dei testimoni che lo annunciano e nella nostra stessa storia personale. Venne e ci raccontò di una pecora, che si era perduta lontano dai recinti della vita, e del pastore che, lasciando al sicuro tutte le altre nell’ovile, era andato a cercarla e, trovatala, aveva fatto una grande festa… E l’abbiamo visto andare a cercare Simone, Andrea, Giovanni, Giacomo… sulla riva del mare, dentro le barche del loro lavoro quotidiano. Stupiti, l’abbiamo visto cercare e raggiungere Natanaele seduto sotto un fico, compreso nella sua ricerca di verità. Scandalizzati, l’abbiamo visto cercare e chiamare alla vita gli strozzini Matteo e Zaccheo, la straniera di Samaria, l’indemoniata Maria di Magdala, il posseduto dalla legione di demoni… Stanchi e sfiduciati, l’abbiamo visto cercare con dolorosa collera gli idolatri del denaro e del potere, i farisei e gli scribi adoratori della loro stessa scienza, gli stessi ipocriti infine. Commossi, l’abbiamo visto cercare il riflesso di Dio nel volto e nel cuore dei bambini, la luce santa di Dio nell’umile ascolto obbediente di sua Madre. L’abbiamo visto piangere, cercando un segno di pentimento nella città santa divenuta tana di serpenti… L’abbiamo visto cercare tutti i nostri peccati nell’abisso dei nostri cuori, per caricarsene e liberare dal peso le nostre spalle. L’Agnello di Dio Non era una la pecora che si era perduta: eravamo tutti. L’unico Agnello amante e obbediente del Pastore era Lui, il Figlio, Gesù, Dio sceso nella carne umana, venuto ad abitare nella debolezza della nostra tenda di nomadi perduti. Lui, l’Unico Vivente nell’Amore del Padre, è venuto a cercare tutti noi, mortalmente feriti nell’umiliazione della schiavitù, dall’accusatore che giorno e notte ci rinfaccia disperatamente il peccato di cui ci nutre. L’Agnello è venuto a cercare e salvare il gregge, affrontando una lotta mortale. Ne è uscito trafitto e vittorioso: rivestito del suo stesso sangue, bevanda di vita della quale nutre coloro che ha redento. Abbiamo sentito la sua stessa voce chiamarci per nome; non ci ha chiesto olocausti e sacrifici che pagassero le nostre colpe; di quelle stesse colpe si è fatto mendicante. Anche quelle di coloro che orgogliosamente vogliono trattenerle ha preso su di sé, davanti al Padre e all’umanità, lui che non aveva commesso peccato. «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità». (Is 53, 3-5) La casa dell’incontro Era uscito dalla casa del Padre per venire a cercarci nella tenebrosa valle della morte. L’ultima sera con i suoi discepoli, prima di essere arrestato, «…cominciò a sentire paura e angoscia… disse: “L’anima mia è triste fino alla morte”… andato un po’ innanzi si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”» (Mc 14, 33-36) Umiliato fino a confondersi con la stessa polvere della terra - destino dell’umanità peccatrice -, schiacciato nel terrore dell’ingiustizia e della morte, solidale con i peccatori fino a cercarli nell’atroce lontananza da Dio, Gesù diventa l’uomo che cerca la volontà d’amore e di salvezza del Creatore. Egli porta su di sé le spaventose ferite del peccato: il NO dell’umanità a Dio. Egli è l’Uomo nuovo che grida la fame di Dio che abita ogni cuore umano e offre il SÌ dell’amore fiducioso a Colui che solo può dare vita, perché è Amore. In Gesù, Dio cerca l’uomo e la donna fin nell’abisso della perdizione, dove sono capaci di ogni più orribile rifiuto. In Gesù, ogni uomo e ogni donna, sprofondati in quell’abisso, possono ancora rivolgersi a Dio, cercare il suo volto, la comunione con Lui, il Padre. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). «Padre, nelle tue mani consegno la mia vita» (Lc 23, 46). Nel suo cuore di uomo, l’amore di Dio per l’umanità e il desiderio irriducibile che l’umanità ha di Dio, finalmente, si sono incontrati e, poiché «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6), quel cuore umano è stato squarciato: si è aperto a rivelare il Cuore di Dio, unico ovile dove ogni “perduto cercato” è ricondotto a vivere nella gioia ineffabile dell’abbraccio del Padre.
eccomi: parola dell'amore
 
La lettera agli Ebrei attribuisce a Cristo, nel momento dell'incarnazione, le parole del salmo 40: «Eccomi, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà». Certamente non c'è modo migliore, per vivere il tempo quaresimale, che entrare in comunione con questa disposizione del Figlio verso il Padre. Il nostro cammino di conversione non può che realizzarsi in questa progressiva adesione al progetto del Padre su di noi, come persone e come comunità cristiana, come missionarie e come familiares. E proprio in questo tempo quaresimale cade la festa dell'Annunciazione del Signore, cioè la festa dell'Incarnazione. Questo giorno, 25 marzo, è proprio quello in cui celebriamo l'«eccomi» di Cristo unito a quello di sua Madre. Possiamo dire che queste due risposte, mentre sono ambedue rivolte al Padre, sono anche reciproche; sono l'identica risposta di due persone che si incontrano. si accolgono, si consegnano irreversibilmente l'una all'altra. Il Figlio di Dio, per diventare fratello dell'umanità, per ricevere cittadinanza nel mondo, per farsi carne, ha bisogno di una madre, per essere in tutto uguale a noi. Maria, la fanciulla di Nazaret, promessa sposa a Giuseppe, della casa di Davide, per essere semplicemente ciò che è, donna e membro del popolo di Dio, per ottenere il senso della propria vita e la cittadinanza del Regno di Dio, ha bisogno di accogliere totalmente quel Dio che viene nella debolezza di un bambino, per ricondurre l'umanità alla vita piena, nella casa del Padre. La catena rotta Eccomi è una parola-chiave per comprendere tutta la Scrittura. È la parola dell'incontro, la risposta di chi scopre la presenza di Dio nella propria vita e non se ne sottrae, ma ne ascolta la voce, è l'obbediente e amorevole assenso di chi accoglie liberamente la sua Signoria. E’ la parola consueta - libera cosciente adorante - sulla bocca dei patriarchi, a cominciare da Abramo, e dei profeti, a cominciare da Samuele. È la parola che, anche quando non è esplicitamente espressa con le labbra, informa comunque gli atteggiamenti e le scelte difficili, anticonformiste e incomprensibili di uomini e donne, di Noè che costruisce l'arca, di Tobia che seppellisce i morti contro l'ordine del re, di Ester che rischia la sua vita per salvare il suo popolo, della madre dei Maccabei che incoraggia i suoi sette figli ad accettare la morte piuttosto che disobbedire alla legge di Dio. Sembrerebbe una lunga catena di «eccomi» che si susseguono in una storia di secoli, ma, a ben guardare, ci si accorge che sono solo spezzoni, che già all'inizio la catena è rotta: manca il primo anello e ne mancano, poi, tanti altri: sono maglie rotte che testimoniano le mancate risposte o gli aperti rifiuti di singoli personaggi e di un intero popolo, capace di costruirsi vitelli d'oro e idoli ciechi, sordi e senza respiro, da contrapporre al Dio vivente. Ma queste maglie rotte non sono che la conseguenza, il frutto, la ripetizione di quel primo anello mancante. Dio in cerca dell’uomo «Poi udirono il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: “Dove sei?”» (Gn. 3,8-9). Il nascondersi dell'umanità, il sottrarsi all'incontro con Dio, suo creatore, non è che la manifestazione del rifiuto più radicale espresso nella scelta disobbediente del peccato. Una scelta che rompe, rifiutandola, la reciprocità con un «eccomi» iniziale, originario, che è proprio quello pronunciato dal Creatore fin dall'inizio. «E Dio disse: "Facciamo L'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui peschi del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”... Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn. l, 26-28.31). «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn. 2,15-16). Ascoltando la Scrittura, ci si accorge come agli alterni rifiuti e accoglienze dell'umanità nei confronti di Dio, si affianca, instancabile inesauribile eterno, l'«eccomi» di Dio a coloro che ha creato a sua immagine, a quell'umanità che, nonostante tutto, sceglie e ama come sua sposa. Un uomo e una donna Nel giardino di Eden, due innocenti, un uomo e una donna, si erano resi colpevoli, rifiutando la risposta di amore obbediente. Ma il Dio eterno è Colui che non perde la speranza e sa attendere. Dopo tanti secoli, in una povera casa di Nazaret, un Uomo e una Donna, innocenti, a nome di una umanità peccatrice, riconsegnano a Lui il fedele e definitivo «sì», riparando la reciprocità ferita di un amore che finalmente è totalmente accolto e donato. «Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”» (Lc.1,38). «Entrando nel mondo, Cristo dice: “...Eccomi, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb. 10,5.7). L'«eccomi» di Cristo e di Maria sono l'asse portante, l'espressione in cui si compendia la spiritualità di amore e di oblazione che la Compagnia Missionaria riceve dalla contemplazione di Cristo nel mistero del suo Cuore trafitto. E’ proprio il Crocifisso dal cuore trafitto l'espressione piena ed estrema della risposta d'amore obbediente, che aveva avuto inizio a Nazaret nell'«eccomi» del nuovo Adamo e della nuova Eva. In loro la catena rotta è stata riparata. In loro l'umanità ha accolto finalmente l'eterno «eccomi» di Dio che raggiunge l'inattesa vetta dell'offerta sacrificale nella morte, e risponde a sua volta «eccomi» con confidente amore, nella consegna di sé. Pure ci accorgiamo inevitabilmente che, ancora oggi, con spaventosa superficialità e oscura sfrontatezza, da tante parti si continua ad opporre ingrato ed empio rifiuto alla Parola di Verità, di Amore, di Vita, di Misericordia salvifica di Dio Amore. E nessuno di noi è del tutto estraneo a questo rifiuto che è sordità e mutismo, menzogna, egoismo, odio, cecità e morte. Ma se accogliamo con decisione e libertà l'identità di cristiani, membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, in particolare se siamo stati chiamati a vivere la spiritualità e il carisma ereditati dall' esperienza spirituale di p. Dehon, sappiamo che la nostra vocazione e la nostra missione si realizzano nella partecipazione all'«eccomi» di Gesù e di Maria sua madre, con una adesione quotidiana al progetto del Padre. Spirito di immolazione «Con Cristo e assieme a tutta l'umanità, ci offriremo al Padre, in docilità allo Spirito, come oblazione viva, santa e gradita a Dio, nell'accoglienza umile e serena della sua volontà in qualunque forma si manifesti. Come Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “sì” e disponibili al “servizio” per amore» (Statuto CM 7). «La vita d'amore così intesa e vissuta farà di noi un complemento reale dell'immolazione di Cristo e ci renderà cooperatrici della sua opera di redenzione all'interno del mondo. Per questa finalità valorizzeremo tutta la nostra vita con le sue gioie e speranze, con il suo peso di lavoro, di fatica e di prova, in comunione con le sofferenze e la morte di Cristo» (St. CM l0). Il nostro “sì” deve essere lotta a tutto ciò che nel mondo, nella nostra società, nella nostra famiglia, nel nostro stesso cuore vorrebbe essere rifiuto o indifferenza al progetto di Amore e di Vita del Padre. Il nostro «eccomi», con quello di Maria, vuole essere comunione al sacrificio riparatore di Cristo: l'umanità e la creazione, ferite dal peccato, trovano in Lui guarigione e vita. «In queste parole: Ecce venio, Deus, ut faciam voluntatem tuam, e in queste: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbun tuum, si trovano tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere, le nostre promesse» (p. Dehon).
maria e la compagnia missionaria
 
Nel frontespizio del piccolo volume che raccoglie lo Statuto e il Regolamento di vita della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore sono riportate due espressioni del Nuovo Testamento: «Ecce venio» (Eb 10, 7), «Ecce ancilla » (Lc 1, 38). Nell’introduzione alla prima parte del II capitolo, riguardante la spiritualità, è riportata un’ espressione di p. Leone Dehon: «Nell’Ecce venio di Cristo e nell’Ecce ancilla di Maria è compendiata tutta la nostra vocazione e il nostro fine, il nostro dovere e le nostre promesse». La spiritualità di p. Dehon è la radice da cui è fiorita la Compagnia Missionaria, una spiritualità che, mentre fissa l’attenzione al Cuore trafitto di Cristo, intende incarnare il suo atteggiamento di obbedienza oblativa e riparatrice espressa proprio nell’Ecce venio. Ad esso corrisponde, dal primo istante dell’incarnazione, l’atteggiamento di obbedienza di sua Madre espresso nell’Ecce ancilla. Per questo la spiritualità oblativo-riparatrice, che si ispira e partecipa all’amore obbediente e riparatore di Gesù, è comunione anche all’obbedienza fiduciosa di Maria; in essa trova l’esempio di più alta partecipazione e imitazione dell’Ecce venio, vissuto da una persona umana. Maestra e guida Maria è dunque maestra e guida per questa Famiglia che, nel contemplare l’amore di Dio nell’icona del Cristo crocifisso dal cuore trafitto, si ispira al suo esempio «per aderire sempre più alla persona di Cristo, al mistero del suo Cuore ed annunciare il suo amore». (St 2) Nella comunione con Gesù e con Maria, le missionarie imparano a offrire integralmente la loro vita alla volontà di Dio. «Per questo l’”Ecce venio” di Gesù e l’”Ecce ancilla” di Maria costituiscono il centro e lo stile della nostra vita» (RdV 7). «Come Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “sì” (cf Eb 10,5-9; Lc 1, 38) e disponibili al servizio per amore (cf Gv 13,12-17)». (St 7) Un modo molto semplice, ma che mantiene vigili e fiduciosi, nel consacrare a Dio, per amore e con amore, ogni azione e ogni avvenimento quotidiano, è la recita di quella che chiamiamo piccola preghiera di offerta: «Mio Dio, io ti offro… in unione a Gesù, per mezzo di Maria, in Spirito di amore, per l’avvento del tuo regno nel mondo». Maria è stata il luogo nel quale ha avuto inizio l’offerta obbediente di Gesù, è stata il mezzo attraverso il quale Egli è stato offerto e consacrato al Padre, nel tempio; così è attraverso di lei che, uniti a Gesù, animati dallo Spirito-Amore, offriamo al Padre ogni espressione della vita. Madre La Compagnia Missionaria è nata nel Natale 1957 e appartiene al Cuore di Cristo, in esso ha la sua origine, il suo riferimento, la fonte della sua vita. Questo legame a Gesù illumina di particolare significato il rapporto con Maria, sua Madre, proprio a partire dalla circostanza del Natale. Il Figlio di Dio, fatto carne, nella debolezza di un bambino, a Natale, entra nel mondo affidato all’amore materno, alla custodia e alla guida di Maria. La Compagnia Missionaria, nascendo a Natale, come il Dio fatto Uomo al quale si lega con alleanza sponsale, si affida all’amore materno, alla custodia, alla guida di sua Madre. Al n.4 dello Statuto, a Maria vengono assegnati tre titoli che dicono le “tre missioni” di Maria nei confronti della Compagnia Missionaria. È madre, perché lo è di Gesù e da Lui, come tutti i discepoli, l’abbiamo ricevuta; è maestra e guida nell’educarci a vivere la spiritualità di amore e di oblazione e il carisma della comunione; è custode perché viviamo nella fedeltà alla vocazione e alla missione ricevute. Guardando, infatti, la storia della Compagnia Missionaria, si nota come sia segnata da alcuni avvenimenti importanti legati a ricorrenze che hanno una particolare fisionomia mariana. La prima approvazione ad experimentum fu data dal Card. Giacomo Lercaro, Arcivescovo di Bologna, il 25 marzo 1958, solennità dell’Annunciazione del Signore: grande significato acquista questa coincidenza proprio in riferimento all’Ecce venio di Cristo e all’Ecce ancilla di Maria. Il decreto di erezione della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore a istituto secolare di diritto diocesano, invece, fu concesso dall’Arcivescovo Enrico Manfredini, in data 8 settembre 1983, festa della Natività di Maria. Consegnati a Maria Sapendo che è nella preghiera che si custodisce e rafforza la fedeltà, i membri della Compagnia Missionaria alimentano quotidianamente la loro vita consacrata con la celebrazione e l’adorazione eucaristica, con la meditazione della Parola di Dio e la celebrazione delle ore liturgiche; ma la preghiera prevede anche «uno spazio di tempo vissuto in comunione con Maria per esprimere il nostro amore e rinnovarle la nostra consacrazione» (St 68). La preghiera di consacrazione recita così: «O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore si consacra oggi a te, perché tu abbia a regnare nella nostra famiglia con la tua protezione materna e con il tuo spirito modello di ogni virtù. Degnati di prendere pieno possesso di questa famiglia che vuole essere il piccolo regno del tuo Cuore e del Cuore di Gesù. Amen». Appartenere a Maria, considerarla propria madre, significa appartenere a suo Figlio e alla comunità dei redenti che Egli unisce a sé con alleanza sponsale; con questa preghiera, ogni giorno, la Compagnia Missionaria si consegna alla Madre di Dio, perché, come regina – madre, guida e custode – ne prenda possesso e la formi alla scuola delle sue virtù, così da appartenere totalmente al Cuore di suo Figlio, trafitto sul trono della croce, dal quale venne proclamato re. Oltre che maestra di contemplazione, Maria lo è anche di silenzio e di ascolto di quella Parola, che in lei si è fatta carne, che ha sempre conservato, meditandola, nel suo cuore. Nel carisma e nella missione Nella spiritualità di amore e di oblazione che si alimenta alla contemplazione del Cuore trafitto di Cristo, si radica il carisma che la Compagnia Missionaria accoglie dallo Spirito e del quale si impegna a dare testimonianza. «Come missionarie del Sacro Cuore, siamo chiamate a vivere la vita d’amore fino a farci comunione con Dio e con i fratelli, secondo il modello che Cristo ci ha lasciato, e ad imitazione della prima comunità cristiana (cf. At 2,42)» (St 6). Secondo gli Atti degli Apostoli, al centro della comunità dei discepoli è Maria, la Madre di Gesù. «Con lei che “serbò fedelmente la sua unione col Figlio fino alla croce “ (LG n.58) vivremo gli impegni della comunione anche quando essi richiedono l’immolazione di noi stesse» (St 78). Espressione di comunione e servizio ad essa è l’incarico di responsabilità, che riguardi tutto l’istituto, o un gruppo o la formazione. «Alla Vergine Santissima è stata affidata la Compagnia Missionaria. Coloro che sono chiamate ad assumerne la guida, si lascino condurre da Maria, sicure che potranno obbedire con lei allo Spirito Santo e mostrare a tutti e in tutto Gesù» (St 84). Poiché un’espressione del carisma della comunione, nella Compagnia Missionaria, è la possibilità, per le missionarie, di vivere in gruppi di vita fraterna, Maria ne è il modello, lei che ha vissuto intensamente l’unione con Dio e con i fratelli. Il carisma e la spiritualità, insieme con la consacrazione secolare, informano la missione di evangelizzazione e promozione umana: «La disposizione con cui vivremo la nostra missione sarà di continua comunione con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, con tutta la Chiesa, le sorelle e i fratelli di ideale. Ci lasceremo guidare da Maria perché, ovunque ci troviamo e lavoriamo, possiamo essere testimoni credibili della missione salvifica di Cristo» (St 18), quella missione che, da Nazaret a Gerusalemme, ha trovato le più diverse espressioni. Nella consacrazione Anche la vita di consacrazione, che è partecipazione alla consacrazione di Gesù al Padre per la salvezza del mondo, trova in Maria sua madre, vergine obbediente piena di grazia, il modello, la guida, il sostegno dell’intercessione. «Maria, nella castità più perfetta, è divenuta la porta di Dio disceso tra gli uomini. Ci affideremo tutti i giorni all’amore e alla guida di questa tenera madre per poter, come lei, fare di noi stesse un dono gioioso di Dio agli uomini». «Come l’obbedienza di Cristo, così la nostra obbedienza è comunione con la volontà del Padre e attua il “sacrificio spirituale” di noi stesse nelle condizioni ordinarie della vita. Così ripetiamo l’oblazione del Verbo che entrando nel mondo disse al Padre: “Ecce venio” e la risposta di Maria dinanzi al progetto di Dio: “Ecce ancilla” ». Al momento della prima emissione dei voti e nella rinnovazione durante l’incorporazione temporanea, Maria viene invocata e accolta come modello e guida, perché la vita di colei che Dio consacra diventi, come quella di Gesù, un servizio di amore. Nella formula di consacrazione per l’incorporazione perpetua è ancora invocata l’intercessione di Maria. Per imparare l’amore La Compagnia Missionaria del Sacro Cuore sente di avere uno speciale legame con la Madre di Gesù. Guidate da lei, divenuta sul Calvario madre dell’umanità e quindi anche nostra, sostiamo ai piedi del Crocifisso per contemplare, con lei e con il discepolo dell’amore, il Cuore trafitto da cui sgorga la fonte della vita e imparare cosa significa vivere l’ amore: nell’accoglienza, nella semplicità, nel dono di sé, nel sacrificio oblativo, nel perdono, nell’ascolto, nella dolcezza, nella disponibilità, nella comunione con tutta l’umanità, fino a «perdersi» per ritrovarsi in Lui. A Maria, che ha custodito nel cuore la luce della fede anche sui sentieri più bui della vita, noi consegniamo la nostra fede e la nostra vita perché sia lei a custodirle nella fedeltà. Mentre nelle vie quotidiane, nascoste o manifeste, semplici o impervie della vita del mondo, lo Spirito ci invia a testimoniare e evangelizzare l’Amore, a servire la vita di ogni uomo e di ogni donna creati a immagine di Dio, ci consegniamo alla guida e alla custodia di Maria che «in fretta raggiunse una città di Giuda» (Lc 1, 39) per servire Elisabetta e, nel cenacolo, divenne regina degli apostoli, inviati sino agli estremi confini della terra.
guardare lontano
 
Missionarietà è intesa come il contesto dentro il quale si respira e ci si muove. Dentro questa sensibilità missionaria globale si sviluppa e si concretizza anche la dimensione missionaria ad gentes. C'è stato fin dall'inizio della Compagnia Missionaria lo zelo e il fervore per questo aspetto di partire per altre terre, e il motto "Guardare lontano" guidava i primi passi delle missionarie. Il Mozambico è stato per noi la prima esperienza di missione ad gentes. Un'esperienza che ha segnato profondamente non solo le missionarie che l'hanno vissuta in prima persona, ma anche l'intero Istituto... E da allora questa dimensione ad gentes è sempre stata ben caratterizzata e ben presente. Attraverso questo servizio di collaborazione alle giovani chiese e alle terre dove l'evangelizzazione e la promozione umana sono più urgenti, si esprime e si realizza uno degli aspetti specifici della nostra missione di amore e di servizio. La nostra presenza missionaria è stata orientata da queste scelte: * l'inserimento di tipo professionale, in strutture sociali ed ecclesiali, promuovendo i valori di giustizia, unità, speranza, pace e solidarietà; * la condivisione della vita della gente, con semplicità, rispetto e cercando di vivere la solidarietà con i poveri; * la partecipazione, insieme ad altri laici, a progetti di organismi di volontariato internazionale; * i vivi legami di comunione con la Chiesa locale, partecipando attivamente alla sua vita e alle sue iniziative.
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